Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine857-885

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@TRIBUNALE DI CATANIA Sez. V, decr. 31 maggio 2004. Pres. ed est. Passalacqua - Ric. Garozzo.

Invasione di terreni o edifici - Elemento oggettivo - Istallazione di cartelloni pubblicitari su terreno demaniale - Esclusione - Fondamento - Effettivo godimento del bene da parte del proprietario - Necessità.

Non incorre nel delitto di invasione di terreni o edifici, di cui all'art. 633 c.p., chi abbia installato cartelloni pubblicitari su telai poggianti su aste metalliche ancorate in terreno demaniale limitrofo ad una strada viabile extraurbana, terreno abbandonato e comunque destinato ad una utilizzazione non significativamente ostacolata dai cartelloni medesimi. (C.p., art. 633) (1).

    (1) La sentenza citata in motivazione è stata pubblicata in questa Rivista 2003, 1113. In tema di elemento psicologico caratterizzante la fattispecie in esame, si veda anche Cass. pen., sez. II, 28 marzo 2003, Ruffino, ivi 2003, 487, secondo cui la sola consapevolezza della illegittimità dell'invasione di un altrui bene immobile non vale, di per sé, a rendere configurabile il dolo specifico richiesto per la sussistenza del reato di cui all'art. 633 c.p., caratterizzato dalla finalità di occupare l'immobile o di trarne altrimenti profitto, non potendosi, in particolare, confondere - nel caso di beni demaniali, per i quali il reato è perseguibile d'ufficio, ai sensi dell'art. 639 bis c.p. - l'elemento soggettivo richiesto per la fattispecie criminosa con quello sufficiente per l'illecito amministrativo dell'omesso pagamento della tassa di occupazione di suolo pubblico. Così anche Cass. pen., sez. II, 27 luglio 1990, P.M. in proc. c. D'Anna, ivi 1991, 267, secondo cui, ai fini del dolo specifico richiesto dall'art. 633 c.p., trattandosi di fattispecie contraddistinta da illiceità speciale, in relazione all'interesse pubblico tutelato, concretantesi nella inviolabilità del patrimonio immobiliare, occorrono non soltanto la coscienza e la volontà di invadere l'altrui bene, ma anche il fine di occupare l'immobile o di trarne profitto. Ne deriva che qualora il possesso sia pacifico e continuo (nella specie esercitato anche in forza di titoli legittimi) manca l'estremo dell'arbitrarietà dell'invasione, essendo questo incompatibile con detta situazione di fatto produttiva di effetti giuridici, indipendentemente dalla titolarità del diritto.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECI-SIONE. - Preliminarmente si osserva in diritto che, pur essendo pienamente condivisibile l'assunto secondo il quale, in tema di applicazione di una misura cautelare reale, il controllo di legittimità da parte del giudice deve avere ad oggetto l'astratta configurabilità del reato ipotizzato, senza estendersi alla ricerca della sussistenza o meno di gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati, ciò però non significa che il giudice debba esclusivamente prendere atto della tesi accusatoria, perché egli ha sempre il poteredovere di espletare un controllo di legalità, sia pure nell'ambito delle indicazioni di fatto offerte dal P.M.

Ne consegue che la sussistenza del fumus commissi delicti va sempre riferito alla realtà effettuale, e non a quella virtuale, con doverosa verifica della congruità degli elementi di fatto indicati dall'accusa e con una indispensabile attività di raccordo tra ipotesi tipica e fattispecie concreta, ai fini di verificare la sussumibilità o meno del fatto nel reato ipotizzato (cfr. in tal senso Cass. sez. un., 20 novembre 1996, n. 23 - che ha chiarito, precisandolo anche alla luce della sentenza n. 48 del 1994 della Corte Costituzionale, quanto affermato dalle stesse sezioni unite con la sentenza n. 4/1993 citata dal Gip nel provvedimento impugnato - e, più di recente, sez. III, n. 36538 del 2002, sez. I, n. 4496 del 1999 e sez. VI, n. 731 del 1998).

Orbene, va detto che il Tribunale, pur ritenendo certamente illegittimo il comportamento di chi, senza averne l'autorizzazione, istalli su beni immobili demaniali cartelloni pubblicitari (non accedendo così alla tesi difensiva secondo la quale la condotta omissiva del Comune di Acireale nel dotarsi degli strumenti previsti dall'art. 3 del D.L.vo n. 507/93 costituirebbe una sorta di esimente, reale o putativa, per tale condotta, che non sarebbe più arbitraria), non ritiene però che tale condotta possa essere sussunta nella fattispecie penale tipica descritta nell'art. 633 c.p.

Infatti, giurisprudenza e dottrina pressoché unanimemente ritengono che non ogni invasione di beni immobili al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto integri l'elemento materiale della fattispecie penale in esame, ma «soltanto la turbativa del possesso che realizzi un apprezzabile depauperamento della facoltà di godimento del terreno o dell'edificio da parte del titolare dello ius excludendi, secondo quella che è la destinazione economico-sociale del bene o quella specifica impressa dal dominus»: così, tra tutte, Cass. sez. II, n. 6492/03.

Il Tribunale condivide tale interpretazione della norma, anche perché, accedendosi alla tesi contraria, non si spiegherebbe perché mai non si proceda penalmente d'ufficio in tutti i casi analoghi di omessa autorizzazione ad occupare per un tempo apprezzabile il suolo pubblico e di omesso pagamento della relativa tassa, cioè, per esempio, in tutti i casi di "occupazione" selvaggia dei marciapiedi di tutte le città - ed in particolare di Catania - da parte dei titolari degli esercizi pubblici antistanti, al fine di ottenerne una maggiore visibilità e, conseguentemente, un profitto, od al fine di allocarvi ogni giorno merci varie, ecc.

Conseguentemente, il Tribunale non ravvisa nella specie le suddette caratteristiche nella condotta di chi abbia istallato alcuni cartelloni pubblicitari su telai poggianti su aste metalliche ancorate in terreno demaniale limitrofo ad una strada viabile extraurbana, terreno spesso incolto e comunque destinato ad una utilizzazione non significativamente ostacolata dai cartelloni medesimi. (Omissis).

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@TRIBUNALE DI PERUGIA 5 maggio 2004. Est. Ricciarelli - Imp. Sassi.

Stampa - Diffamazione commessa col mezzo della stampa - Intento diffamatorio - Possibilità di raggiungerlo con mezzi indiretti e subdole allusioni - Pubblicazione di fotografie della persona offesa - Correlazione al contenuto dell'articolo diffamatorio.

Stampa - Diffamazione commessa col mezzo della stampa - Responsabilità - Mancanza di firma in calce all'articolo - Imputabilità del fatto al capo redattore - Fondamento.

Il reato di diffamazione a mezzo stampa, ex art. 596 bis c.p., si configura anche mediante la semplice pubblicazione di riproduzioni fotografiche della persona offesa, in corrispondenza di notizie concernenti fatti che non la coinvolgono direttamente, ma che inducono il lettore ad accostarla ad essi. (C.p., art. 596 bis) (1).

In materia di diffamazione a mezzo stampa, qualora l'articolo diffamatorio non contenga altra firma che un generico riferimento alla sezione redazionale del quotidiano (nella specie: «Re.Vi.» per «redazione Viterbo»), è configurabile una penale responsabilità del capo redazione, posto che la scelta del materiale da pubblicare e quindi anche la valutazione della bontà delle fonti, rientra tra le mansioni e responsabilità cui è contrattualmente tenuto. (C.p., art. 596 bis) (2).

    (1) Il principio espresso dalla massima in epigrafe risolve positivamente la dibattuta questione dell'intrinseca capacità lesiva dell'allusione, mediante la semplice pubblicazione della fotografia della persona offesa, accostata a notizie concernenti altri episodi che non la coinvolgono.


    (2) Per utili riferimenti, si veda Cass. pen., sez. V, 12 aprile 1995, Melati, in questa Rivista 1996, 121 e Cass. pen., sez. V, 12 febbraio 1992, Cecchetti, ivi 1992, 1101. In dottrina, si vedano: NUVOLONE, Il sistema del diritto penale, Padova 1975, pp. 345 ss.; E. FIANDACA, È ripartibile la responsabilità penale del direttore di stampa periodica?, in Foro it. 1983, II, 570.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - All'esito dell'udienza preliminare veniva disposto il rinvio a giudizio di Sassi Arnaldo, perché rispondesse dell'imputazione in epigrafe riportata, a seguito di querela del dott. Gaetano Mautone, giudice delegato ai fallimenti presso il tribunale di Viterbo.

Il querelante si costituiva parte civile e chiedeva la citazione, quale responsabile civile, de «Il Messaggero Spa», che peraltro non si costituiva in giudizio.

Ammesse le prove all'udienza del 24 novembre 2003, in data odierna si è proceduto all'escussione dei testi a carico Mautone Gaetano e Matteucci Alfredo, all'esame dell'imputato e all'escussione del teste a discarico Vogliotti Rossella.

P.M., P.C. e difesa hanno infine concluso come da verbale e da note scritte allegate.

Sulla prima pagina della cronaca di Viterbo del quotidiano «Il Messaggero», pubblicato in data 11 maggio 2001, compariva un articolo non firmato nel quale si dava conto di un'indagine avviata dalla Procura della Repubblica presso il tribunale di quella città, avente ad oggetto un'ipotesi di peculato, addebitata a tal Massimo Grazini, curatore del fallimento «Hotel dell'Eremo Srl» e correlata ad un preteso ammanco di somme rivenienti dall'esercizio provvisorio dell'attività della società fallita.

Nel sottotitolo dell'articolo veniva posto, anche graficamente, in evidenza che era «sotto osservazione anche l'operato del giudice Gaetano Mautone».

Nel pezzo inoltre si precisava che «nella vicenda si inserisce anche un comportamento quanto meno omissivo del giudice delegato al fallimento, dott. Gaetano Mautone, responsabile di non aver controllato o di aver controllato troppo poco (cosa che invece la legge fallimentare impone) la discussa gestione provvisoria ... tanto da consentire - anche se inconsapevolmente - che venissero distratti fondi necessari per far fronte ai creditori del fallimento».

Poco oltre si faceva rilevare che i rendiconti della gestione, successivi al primo...

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