Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine737-754

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, 15 luglio 2009, n. 28908 (c.c. 8 luglio 2009). Pres. Mannino - Est. Citterio - P.M. Iacoviello (diff.) - Ric. Picone.

Misure di sicurezza - Applicazione - Provvisoria Applicabilità dei termini di durata massima previsti per le misure cautelari personali - Esclusione.

Le misure di sicurezza applicate in via provvisoria in base al combinato disposto degli artt. 206 c.p., 312 e 313 c.p.p., non sono soggette ai termini di durata massima stabiliti dall’art. 303 c.p.p. per le misure cautelari personali. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 303; c.p.p., art. 312; c.p.p., art. 313; c.p., art. 206) (1).

(1) Nulla in termini. Cfr. Cass. pen., sez. V, 24 novembre 2000, Mazzanti, in questa Rivista 2001, 349, che non ritiene necessaria, ai fini dell’applicazione provvisoria di una misura di sicurezza ed accertata la persistente pericolosità del soggetto, la prova piena del fatto, essendo sufficienti i gravi indizi della sua sussistenza, atteso l’indubbio parallelismo tra applicazione provvisoria di una misura di sicurezza e applicazione di misura cautelare personale, come evincibile dal diretto riferimento dell’art. 313 c.p.p. all’art.292 c.p.p., in relazione alle modalità di valutazione ed applicazione della misura, e del fatto che il citato art. 313, al terzo comma, equipara, ai fini dell’impugnazione, la misura prevista all’art. 312 c.p.p. alla custodia cautelare.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. – In data 3 febbraio 2009 il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria accoglieva l’appello del pubblico ministero avverso l’ordinanza 16 agosto 2008 del locale Gip e, per l’effetto, applicava nei confronti di Picone Paolo la misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario.

In esito all’arresto in flagranza per i delitti di violenza a pubblico ufficiale, lesioni aggravate e danneggiamento aggravato, era disposta nei confronti del Pi- cone e con incidente probatorio una perizia psichiatrica che concludeva per la scemata capacità di intendere e volere al momento della consumazione del fatto, l’incapacità di partecipare coscientemente al giudizio e la persistente pericolosità sociale. Sulla richiesta difensiva di dichiarazione della sopravvenuta inefficacia del titolo custodiale detentiva per decorso del termine di fase ex art. 303.1 lett. a) n. 1 c.p.p., il pubblico ministero esprimendo parere favorevole chiedeva l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in o.p.g. Con l’impugnato provvedimento il Gip rigettava quest’ultima richiesta, ritenendone l’equivalenza con la misura coercitiva ordinaria ai fini del decorso dei termini di fase.

A giudizio del tribunale, invece, le misure di sicurezza, anche applicate in via provvisoria, non dove- vano ritenersi sottoposte a termini massimi di durata, trattandosi di misure dalla durata massima indeterminata sottoposta esclusivamente alla verifica del venir meno della pericolosità del soggetto.

  1. – Ricorre per cassazione personalmente il Picone (il deposito dell’atto a mezzo di persona espressamente incaricata supera il difetto di autentica della sottoscrizione, operata da difensore non iscritto all’albo speciale della Corte di cassazione: sez. VI, sent. 7514 del 12-20 febbraio 2009 in proc. Berisha).

    Con primo motivo denuncia mancanza di motivazione sulla pericolosità sociale: il tribunale del riesame avrebbe argomentato solo sulla questione dei termini di fase, unica devolutagli dal pubblico mini- stero appellante, ma avendo adottato provvedimento di applicazione della misura avrebbe dovuto motivare anche in ordine alla sussistenza dei presupposti, tanto più in un contesto di applicazione provvisoria ed anticipata della misura di sicurezza; presupposti per il ricorrente assenti, per le ragioni dedotte nel ricorso da p. 2 a p. 6.

    Con secondo motivo è dedotta la mancanza di motivazione in ordine alla scelta della misura di sicurezza da applicare, particolarmente rilevante dopo le modifiche introdotte dalla sentenza 253 del 2003 della Corte costituzionale.

    Il terzo motivo ripropone la tesi della sostanziale equivalenza tra gli istituti della provvisoria esecuzione della misura di sicurezza e della custodia cautelare anche ai fini della determinazione dei termini di fase, con l’irrilevanza dell’assenza di un’esplicita previsione normativa di un termine di fase proprio delle misure di sicurezza.

    MOTIVI DELLA DECISIONE. 3.1. – Il terzo motivo, che deve essere esaminato per primo stante il suo carattere eventualmente assorbente, è infondato.

    L’assunto secondo il quale l’applicazione provvisoria di una misura di sicurezza – disposta ai sensi degli artt. 206 c.p. e 313 c.p.p. – sarebbe soggetta a ter- mini di durata massima di fase, ed in particolare a quelli che l’art. 303 c.p.p. disciplina per la cusotdia preventiva, contrasta con la ratio dell’istituto e con la normativa specifica quale ricavabile dal combinato disposto degli artt. 206.2 c.p., 313.2, 72 e 313.3 c.p.p.

    Infatti, l’art. 206 c.p. disciplina specificamente ed esclusivamente l’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza, prevedendo al capoverso la revoca della misura nel solo caso in cui venga meno la peri-Page 738colosità sociale (nell’eccezione di cui all’art. 203 c.p.). Tale norma sostanziale trova esatta e conforme corrispondenza nel capoverso dell’art. 313 c.p.p. che, al fine di assicurare una revoca tempestiva della misura per il caso che venga meno il suo presupposto peculiare, prevede l’applicazione dell’art. 72 c.p.p., ed in particolare nuovi accertamenti ogni sei mesi ovvero anche prima quando il giudice ne ravvisi l’esigenza.

    Si tratta all’evidenza di un sistema che disciplina l’istituto specifico della durata dell’applicazione provvisoria di misura di sicurezza custodiale in modo razionale e compiuto, pienamente coerente al presupposto peculiare dell’accertata attuale pericolosità sociale dell’interessato, senza che residui alcuna esienza di tutela o di ambiguità o di insufficienza sistematica che legittimi il ricorso all’applicazione analogica della disciplina sulla durata del diverso istituto della custodia cautelare. Il duplice espresso richiamo che il terzo comma dell’art. 313 c.p.p. opera all’applicazione delle norme per la riparazione per ingiusta detenzione e di quelle previste per la custodia cautelare quanto al sistema delle impugnazioni conferma, da un lato, la compiutezza ed esaustività della disciplina positiva dell’istituto e, dall’altro, che il legislatore ha avuto ben presente il rapproto dello stesso con la custodia cautelare operando limitati consapevoli e coerenti rinvii, insuscettibili di interpretazioni analogiche.

    È del resto significativo che le norme richiamate dal ricorrente e la pertinente giurisprudenza affermino il diverso principio secondo cui, quando invece occorre determinare l’entità della pena da scontare ovvero la durata della custodia cautelare, si calcola anche il periodo di pregressa eventuale applicazione provvisoria della misura di sicurezza.

    Sono invero situazioni del tutto differenti, dove la parificazione unilaterale è giustificata dalla considerazione per cui la misura di sicurezza di tipo sostanzialmente detentivo – pur adottata sulla base di un presupposto del tutto autonomo e peculiare, la pericolosità sociale, rispetto a quelli della custodia cautelare – costituisce comunque una restrizione della libertà personale omogenea, quanto agli effetti, a quella che consegue alla custodia cautelare: in altri termini, ogniqualvolta rileva la durata della custodia cautelare rileva anche la durata dell’applicazione provvisoria della misura di sicurezza di tipo detentivo/custodiale che, anche se adottate per presupposti diversi, costituisce restrizione di libertà.

    Tale parificazione non è tuttavia reversibile o speculare, in quanto il presupposto dell’applicazione provvisoria della misura di sicurezza custodiale è incompatibile con una limitazione temporale interna al procedimento che non sia quella del venir meno della pericolosità.

    Deve pertanto affermarsi il principio di diritto che l’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza, disposta ai sensi degli artt. 206 c.p., 312 e 313 c.p.p., non è soggetta a termini di durata massima di fase ed in particolare a quelli previsti per la custodia cautelare.

    3.2. – Sono invece fondati i residui motivi che vanno trattati insieme, evidenziando in realtà il medesimo vizio motivazionale.

    Nel momento in cui il tribunale ha deciso di appli- care la misura, superando condivisibilmente la questione procedurale dei termini di fase, avrebbe dovuto anche motivare specificamente non solo sulla sussistenza dei gravi indizi di commissione del fatto (e ciò è avvenuto attraverso un legittimo ed efficace rinvio all’ordinanza del Gip, in assenza di deduzioni contrarie specifiche dell’interessato) e sulla non ricorrenza delle condizioni previste dal secondo comma dell’art. 273 c.p.p. (del che è stato dato conto), ma pure sui due punti della sussistenza della pericolosità e della scelta della misura.

    Dal provvedimento impugnato risulta invece che la pericolosità dell’indagato è stata ritenuta dato acquisito, attraverso un richiamo, ed invero più presunto che criptico, alle conclusioni peritali (come sembrerebbe evinceresi dalla sottolineatura a p. 2 dell’ordinanza, nella parte che ricostituisce le vicende procedimentali).

    Ma ciò costituisce violazione dell’obbligo di motivazione, e quindi vizio di omessa motivazione, posto che il giudice è sempre tenuto a dar conto di una valutazione autonoma e critica rispetto alle conclusioni peritali ed alle argomentazioni che le sostengono, nella specie assente, mancando così del tutto la possibilità di comprendere quale sia stato l’iter logico dell’apprezzamento della pericolosità sociale.

    Altrettanto omessa è stata la motivazione sul punto della scelta della misura applicata in via provvisoria, invece doverosa e particolarmente pregnante special- mente dopo che la Corte costituzionale con la sentenza 367 del 2004 ha...

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