Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine623-669

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. IV, 3 aprile 2008, n. 13942 (ud. 31 gennaio 2008). Pres. Brusco - Est. Kovarech - P.M. D'Angelo (conf.) - Ric. P.M. e P.C. in proc. X

Reato - Elemento soggettivo (psicologico) - Colpa - Colpa professionale «per assunzione» - Imperizia in una situazione d'urgenza indifferibile - Esclusione.

Non versa in colpa colui che cagiona delle lesioni personali per la propria imperizia, quando, pur privo delle necessarie competenze e capacità, si assume in condizioni di urgenza indifferibile un compito riservato a soggetto qualificato, atteso che in tal caso l'agente non era tenuto a prevedere le possibili conseguenze della sua condotta. (Fattispecie in cui una ostetrica, cui è vietato procedere a parti non fisiologici, in presenza di una dilatazione oramai completa e non riuscendo ad ottenere l'intervento del medico, pur dalla stessa inutilmente sollecitato, aveva autonomamente proceduto a manovre di competenza del ginecologo dalla cui errata esecuzione era conseguita al neonato una lesione permanente). (Mass. Redaz.). (C.p., art. 582; c.p., art. 40) (1).

    (1) Fattispecie singolare. Si veda Cass. pen., sez. IV, 12 luglio 2001, Barese, in questa Rivista 2001, 806, che esclude la configurabilità dell'omicidio preterintenzionale (in luogo dell'omicidio colposo), a carico del medico-chirurgo il quale, pur in assenza di oggettive ragioni di urgenza e travalicando i limiti del previo consenso prestato dal paziente, effettui un intervento chirurgico demolitorio da lui erroneamente ritenuto necessario e dalla cui maldestra esecuzione derivi la morte del paziente medesimo. Non può dirsi, infatti, in detta ipotesi, che fosse presente nell'agente l'elemento soggettivo del delitto di lesioni volontarie, per la cui sussistenza (trattandosi di fatto commesso nell'esercizio di attività medico-chirurgica), occorre che il sanitario agisca essendo conscio che il suo intervento produrrà una non necessaria menomazione dell'integrità fisica o psichica del paziente. Di utilità anche Cass. pen., sez. IV, 11 febbraio 1998, Azzini, ivi 1998, 358, secondo cui quando il medico debba risolvere problemi diagnostici e terapeutici in presenza di quadro patologico complesso e passibile di diversificati esiti, nonché della necessità di agire con urgenza, l'eventuale suo errore, conducente a morte o lesione personale del paziente, può essere valutato sulla base del parametro individuato dall'art. 2236 c.c. Al contrario, quando non si presenti una situazione emergenziale, ovvero quando il caso non implici problemi di particolare difficoltà, così come quando venga in rilievo negligenza o imprudenza, i canoni valutativi della condotta colposa non possono essere che quelli ordinariamente adottati nel campo della responsabilità penale per la causazione di danni alla vita o all'integrità fisica delle persone, con la particolarità che il medico deve sempre attenersi alla regola della massima diligenza e prudenza.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - X ostetrica presso l'Ospedale (Omissis), veniva tratta a giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli per rispondere del reato di cui all'art. 590 c.p. perché, per negligenza, imprudenza, imperizia - consistita in una errata condotta di assistenza ostetrica, nel corso dell'assistenza al parto di Y in data 9 giugno 2001 - cagionava alla neonata Z una paresi al braccio sinistro, tuttora perdurante e irreversibile.

1.1. - All'esito del giudizio il Tribunale di Napoli - preso atto che (secondo quanto affermato dal consulente della difesa, a domanda della parte civile) «quando si produce una paresi ostetrica significa che le manovre sono state fatte con forza e non con arte» - ha ritenuto che l'imputata X avesse posto in essere una manovra grossolana, provocando lesioni alla neonata e, con sentenza in data 26 gennaio 2005, la dichiarava colpevole del reato a lei ascritto e, concesse le attenuanti generiche, la condannava alla pena di tre mesi di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali. La condannava, altresì, al risarcimento del danno, in favore della costituita parte civile da liquidarsi in separata sede nonché al pagamento delle spese di costituzione e giudizio a favore della parte lesa. Assegnava alla costituita parte civile una provvisionale di Euro 3.000,00 da imputarsi alla liquidazione definitiva del danno.

  1. - Avverso detta sentenza proponeva appello l'imputata X, la quale chiedeva l'assoluzione rilevando che l'evento lesivo doveva ritenersi addebitabile a soggetti rimasti estranei al procedimento, i quali non avevano posto in essere i preventivi controlli sulla partoriente che avrebbero potuto accertare che si era in presenza di un parto non fisiologico (per il quale l'ostetrica non era abilitata ad intervenire, ai sensi del D.P.R. n. 163/75 e del D.M. 740/94).

    2.1. - La Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli, assolveva l'imputata X dal reato ascrittole «perché il fatto non costituisce reato».

    La Corte distrettuale - operando una ricostruzione degli eventi, secondo la sequenza ricavabile dalla deposizione dell'infermiere L, presente in sala parto - motivava il proprio convincimento, circa la ritenuta non colpevolezza dell'imputata, ai fini che in questa sede rilevano, sottolineando in particolare che:

    - l'ostetrica X, chiamata ad intervenire in sala travaglio, dove era ricoverata Y, si rese conto di trovarsiPage 624 di fronte ad un parto non fisiologico, ma complicato dal fatto che il nascituro era più grosso del normale;

    - la stessa, chiese l'intervento di uno dei due ginecologi di turno, senza esito perché impegnati con altre partorienti;

    - essendo la dilatazione ormai completa, la X fu costretta a prendere il parto «non potendo abbandonare la Y a se stessa»;

    - non riteneva, in sostanza, logico il fatto di addebitare all'ostetrica - che non è per legge abilitata a prendere parti non fisiologici - una condotta posta in essere in una situazione di emergenza.

  2. - Hanno presentato ricorso per cassazione:

    a) il difensore della parte civile Y, ai sensi dell'art. 576 c.p.p. - ai soli effetti della responsabilità civile - denunciando: violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p. in relazione all'art. 4 D.P.R. 163/75 e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p.;

    b) il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Napoli, ex art. 572 c.p.p., denunciando, a sua volta, motivazione illogica e contraddittoria ai sensi dell'art. 606, lett. e) c.p.p.

    Le censure mosse da entrambi i ricorrenti (da esaminarsi congiuntamente per la sostanziale omologia di censure) pongono sostanzialmente due questioni:

    la prima attiene alla legittimazione da parte dell'ostetrica, in caso di parti non fisiologici come quella in argomento, a compiere manovre quali quelle oggetto di imputazione, nonostante il divieto di cui al D.P.R. 163/75, art. 4 e al D.M. 740/94;

    la seconda attiene all'effettivo compimento di manovre anomale da parte dell'imputata.

    3.1. - Secondo entrambi i ricorrenti, è illogico il ragionamento che ha indotto la corte di appello a ritenere esclusa la responsabilità dell'imputata considerando soddisfatta l'esigenza della sopra citata normativa soltanto sotto il profilo del richiesto aiuto del medico di turno «non intervenuto perché impegnato altrove», trascurando «l'assoluto divieto» che si imponeva all'imputata, una volta verificata la difficoltà del parto, «di praticare interventi manuali o strumentali, fatta eccezione per quelli consentiti dalle istruzioni tecniche emanate dal Ministero della Sanità» (cfr. Cass., sez. VI, 27 agosto 1986, n. 12973, Bertucci RV 174340). Viene in sostanza rilevata l'illogicità del riferimento operato dalla Corte all'art. 4 del D.P.R. 7 marzo 1975, n. 163 «unicamente quanto alla necessità di avvertire il ginecologo, ma non quanto al divieto di agire».

    3.2. - I ricorrenti censurano, altresì, la sentenza nella parte in cui afferma che la X non pose in essere manovre anomale, contraddicendo, sul punto, il consulente del P.M., il consulente della difesa e lo stesso apparato argomentativo; dapprima afferma che «non è dimostrato che la X pose in essere una manovra grossolana ed imperita» e poi che «le manovre descritte dai due consulenti necessarie per una buona riuscita del parto erano di certo di competenza del ginecologo e, seppure la X, in ipotesi, non fu in grado di eseguirle non può ritenersi nella sua condotta alcuna colpa non rientrando nelle sue mansioni anche l'assistenza a parti anomali».

    Concludono quindi con la richiesta di annullamento della sentenza impugnata.

    Il difensore della parte civile chiede, altresì, che l'imputata sia condannata al risarcimento dei danni alla parte lesa, da quantificarsi e liquidarsi in separata sede; condannare in sentenza alla provvisionale statuita dal giudice di prime cure, nonché al pagamento delle spese processuali.

  3. - La Corte non può che prendere atto della ricostruzione dei fatti compiuta, in modo argomentato e certamente non illogico, dalla Corte territoriale.

    I motivi di ricorso sono incentrati fondamentalmente sul problema dell'«assoluto divieto», per l'ostetrica, di praticare interventi manuali o strumentali diversi da quelli espressamente consentiti dalle istruzioni tecniche sull'esercizio professionale emanate dal Ministero della Sanità.

    4.1. - Invero, il dovere di astenersi dai suddetti interventi è sancito dall'art. 4 del D.M. 15 settembre 1975 (aggiornato dal D.M. 15 giugno 1981) ma si ricava in via più generale dalla indicazione analitica degli interventi specifici consentiti contenuta nell'art. 10 dello stesso decreto ministeriale che chiude l'elenco con l'inequivocabile divieto: «ogni altro intervento manuale o strumentale è vietato all'ostetrica». Inoltre, il regolamento per l'esercizio professionale delle ostetriche (D.P.R. 7 marzo 1975, n. 163) è esplicito nell'imporre all'ostetrica di richiedere l'intervento del medico, sia durante la gravidanza sia durante...

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