Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine887-930

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. V, 8 agosto 2000, n. 8891 (ud. 16 maggio 2000). Pres. Foscarini - Est. Fumo - P.M. Abbate (conf.) - Ric. Callegari.

Falsità in atti - In atti pubblici - Carta d'identità - Falsa denuncia di smarrimento - Assimilabilità alla falsa denuncia di smarrimento di assegno bancario - Esclusione - Configurabilità del reato ex art. 483 c.p. - Sussistenza.

La denuncia di smarrimento di un documento d'identità non è assimilabile a quella che abbia ad oggetto un assegno bancario, atteso che essa è dotata di giuridica rilevanza, siccome condizione indispensabile per il rilascio di un duplicato del documento smarrito. Ne consegue che, in caso di falsità di detta denuncia, è configurabile il reato di cui all'art. 483 c.p. (Mass. redaz.). (C.p., art. 483) (1).

    (1) Nel senso di escludere la configurabilità del reato ex art. 483 c.p. in caso di falsa denuncia di smarrimento di un assegno bancario si vedano Cass. pen., sez. un., 9 marzo 2000, Gabrielli, in questa Rivista 2000, 620 e la citata sentenza Cass. pen., sez. un., 31 marzo 1999, Lucarotti, ivi 1999, 454. Per un'ampia panoramica giurisprudenziale in merito al reato de quo, si rinvia alla rubrica Rassegna di giurisprudenza, pubblicata ivi 2000, 755.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il Callegari è stato riconosciuto colpevole, anche in sede di appello, del delitto di cui all'art. 483 c.p. per avere falsamente denunziato ai Carabinieri di Moncalieri lo smarrimento, in data e luogo imprecisati, della sua carta di identità.

Si legge nella sentenza di secondo grado che, verso le tre del mattino del 14 luglio 1995, in località Vinovo, si verificò uno scontro tra due vetture. Gli occupanti di una, riavutisi dallo spavento, si resero conto che, nel frattempo, gli occupanti dell'altra vettura (poi risultata rubata) si erano dileguati. A bordo di tale ultima vettura fu ritrovata la carta di identità del Callegari. Poco dopo, due ragazze, qualificatesi, "forse", come appartenenti alla Polstato, comparvero sul luogo dell'incidente e verificarono che a bordo della vettura abbandonata si trovava il predetto documento. Il giorno successivo il Callegari si presentò ai Carabinieri di Moncalieri e sporse denuncia di smarrimento della sua carta di identità.

La Corte di appello, condividendo, sul punto, la decisione del primo giudice, condannò il Callegari alla pena in epigrafe riportata, riducendo la originaria sanzione, per essere venuta meno la aggravante ex art. 61 n. 2 c.p., essendo stato l'imputato assolto dal delitto di ricettazione dell'auto.

Propone ricorso per Cassazione il Callegari, unitamente al suo difensore (Omissis).

Il ricorso è infondato e va, quindi, rigettato. Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del procedimento.

Deve innanzitutto essere chiarito che le dure recenti pronunzie delle Sezioni unite in tema di delitto ex art. 483 c.p. (RV 212782, Lucarotti ed RV 215413, Gabrielli), sono inconferenti nel caso che occupa. Ed infatti, in ipotesi di falsa denunzia di smarrimento di un documento di identità, la dichiarazione di colui che tale smarrimento segnala alla competente autorità è, senza dubbio, giuridicamente rilevante, in quanto essa appare indispensabile per la emissione di un duplicato del documento che si assume non più in possesso del suo titolare. In alcuni casi poi, l'ordinamento addirittura esplicitamente fa obbligo a colui che ha smarrito il documento di presentare denunzia alla autorità di polizia. Così ad esempio la legge 21 novembre 1967, n. 1185 dispone all'art. 13 che "chi smarrisce il passaporto deve farne circostanziata denuncia" all'Ufficio locale distaccato di pubblica sicurezza o al locale comando Carabinieri; analogo obbligo è imposto dall'art. 27 bis D.P.R. 28 aprile 1981, n. 336 con riferimento alla c.d. carta del correntista postale. È dunque evidente che, in caso di smarrimento di un documento di identità l'ordinamento attribuisce alla dichiarazione dell'interessato proprio quella funzione di provare la verità che l'art. 483 c.p. prevede come elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice.

Si tratta, a ben vedere, di situazioni del tutto assimilabili allo smarrimento dei documenti di circolazione di un autoveicolo, con riferimento al quale, in caso di non veridicità della dichiarazione, la giurisprudenza (cfr. RV 214853, Michelotti, 214192, De Salve) riconosce la sussistenza del delitto di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico.

Tutt'altra è, viceversa, la ipotesi affrontata dalle due sentenze delle Sezioni unite, ipotesi nella quale, trattandosi di falsa denunzia di smarrimento di assegni bancari, la denuncia, finalizzata allo scopo di togliere efficacia al titolo, ha sostanzialmente natura di "dichiarazione a carattere negoziale" (cfr. cit. sentenza Gabrielli). (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, 2 agosto 2000, n. 8769 (ud. 12 luglio 2000). Pres. Sansone - Est. Fulgenzi - P.M. Cedrangolo (conf.) - Ric. P.M. in proc. Lamghani.

Calunnia e autocalunnia - Calunnia - Assunzione da parte del vero colpevole di generalità di altra persona - Configurabilità del delitto di calunnia - Condizioni - Fattispecie.

In tema di calunnia, mentre risponde di tale reato colui che per commettere un delitto fa uso delle generalità di una diversa persona effettivamente esistente, ovvero, per procurarsi l'impunità, riconduce ad altra persona la commissione del fatto da lui invece commesso (giacchè in entrambe tali ipotesi la falsa incolpazione può essere idonea ad indirizzare le indagini verso l'innocente), lo stesso non può dirsi quando non vi sia la detta attribuzione di identità e manchi quindi la concreta possibilità che un innocente venga perseguito. (Nella specie, in applicazione di tale principio, è stato escluso che fosse da considerare responsabile di calunnia un soggetto il quale, arresta-Page 888to in flagranza di furto, aveva declinato come proprie le generalità di altra persona). (Mass. redaz.). (C.p., art. 368) (1).

    (1) Difforme, secondo la stessa Corte, la citata sentenza Cass. pen., sez. I, 28 luglio 1989, Gaspano, in questa Rivista 1990, 482.


MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con sentenza suddetta Lamghani Noureddine è stato ritenuto colpevole dei delitti di cui agli artt. 81 primo comma, 368 e 495, commi primo e terzo, n. 2 c.p., per avere - dichiarato falsamente ai carabinieri che lo arrestavano in flagranza di furto di chiamarsi Rachid Bensalem, nato a Rabat il 14 novembre 1961 - incolpato quest'ultimo del suddetto reato pur sapendolo innocente, nonché per avere dichiarato ai carabinieri e al pretore di Piacenza le false generalità di cui sopra.

Ricorre il P.M., deducendo che la semplice declinazione di generalità mendaci, quand'anche riferite a persona individuata o individuabile, non integra il reato di calunnia, neppure nella c.d. forma indiretta, "non potendosi dare rilievo, nell'operazione interpretativa di sussunzione, alle possibili conseguenze pregiudizievoli (anche di ordine esecutivo) che il terzo verrebbe a patire in conseguenza della falsa declinazione delle sue generalità da parte del vero colpevole". Chiede quindi il ricorrente che questa Corte annulli senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pronuncia di condanna per calunnia e ridetermini la pena per il secondo reato.

Questa Corte ha già avuto occasione di affermare (Sez. I, 7 luglio 1989, Gaspano, RV 181917) che l'assunzione da parte del vero colpevole di generalità proprie di altra persona, in relazione ad un procedimento penale svolgentesi a suo carico, integra anche il delitto di calunnia e non solo quello di false dichiarazioni sulla propria identità. Nella fattispecie, un uomo, arrestato in flagranza di rapina, aveva declinato le generalità del fratello, venendo giudicato e condannato in primo grado sotto tali false generalità.

Il principio affermato nella citata decisione non trova però consenziente questo Collegio.

Perché possa concretarsi nella sua materialità il reato di cui all'art. 368 c.p. è infatti necessario che, attraverso l'informazione di accadimento di un illecito penalmente perseguibile pervenuta all'autorità, sorga la possibilità di inizio di indagini e del promuovimento dell'azione penale a carico di persona che sia estranea al reato del quale essa viene direttamente o indirettamente incolpata dal calunniatore. Quest'ultimo non deve necessariamente essere animato dal dolo specifico di accusare un innocente al fine di provocare la sua condanna, essendo sufficiente il dolo generico, sicché integra l'elemento psicologico del reato anche la sola volontà di scagionare se stesso da responsabilità in ordine a un fatto in cui sia coinvolto l'agente.

Da ciò deriva che dovrà rispondere del delitto di calunnia colui che si rende responsabile di un delitto e che per commetterlo fa uso delle generalità di una persona effettivamente esistente, o che, al fine di allontanare dalla sua persona i sospetti, e quindi per procurarsi l'impunità, riconduce a persona diversa da sé la commissione del fatto da lui invece commesso. In entrambe le ipotesi evidentemente la falsa informazione sarà idonea a indirizzare le indagini verso l'innocente.

Ma quando non vi è tale attribuzione di identità, dovrà escludersi la ipotizzabilità di un'informazione calunniosa, difettando il presupposto necessario per la sussistenza del delitto, che mai potrà concretarsi in tutti quei casi in cui la condotta dell'agente non sia tale da arrecare danno, nel senso sopra precisato, a chi al fatto sia estraneo e alla amministrazione della giustizia, che a causa della denuncia a carico di un innocente vede pregiudicato l'interesse al suo corretto funzionamento.

Ora, nel caso di specie l'autore del furto era stato identificato, tratto in arresto e sottoposto a procedimento penale, né gli si poteva addebitare di avere accusato di questo delitto una persona diversa solo per il fatto di essersi attribuito le generalità di quest'ultima. Nessun pericolo di avvio di indagini e di...

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