Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 15 gennaio 2001, n. 35 (ud. 13 dicembre 2000). Pres. Vessia - Est. Cognetti - P.M. Galgano (conf.) - Ric. Sagone.

Tributi e finanze (in materia penale) - Imposta sui redditi - Imposta sul valore aggiunto - Dichiarazione annuale - Omessa presentazione - Nuova disciplina - Continuità normativa con riferimento alla vecchia disciplina - Configurabilità - Esclusione.

Tributi e finanze (in materia penale) - Scritture contabili - Omessa o irregolare tenuta di registri obbligatori - Ipotesi di reato ex art. 1, comma 6, D.L. n. 429/82 - Nuova disciplina - Permanenza del rilievo penale della fattispecie - Esclusione.

In tema di reati tributari, tra la contravvenzione di omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, già prevista dall'art. 1, comma 1, D.L. 10 luglio 1982, n. 429, convertito con L. 7 agosto 1982, n. 516, ed il delitto di omessa dichiarazione, introdotto dall'art. 5 D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, non sussiste, stante la disomogeneità strutturale fra le due fattispecie, alcuna continuità di illecito, con la conseguenza che, a seguito dell'abrogazione disposta dall'art. 25 del medesimo D.L.vo n. 74/2000, le condotte sanzionate dalla contravvenzione predetta non assumono più, in applicazione del principio di cui all'art. 2, secondo comma, c.p. in tema di successione nel tempo delle norme incriminatrici, alcun rilievo penale. (D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 1; D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, art. 5) (1).

In tema di violazioni tributarie, le condotte di omessa o irregolare tenuta o conservazione delle scritture contabili, già previste come reato dall'art. 1, comma 6, D.L. 10 luglio 1982, n. 429, convertito con L. 7 agosto 1982, n. 516, a seguito dell'abrogazione di tale disposizione ad opera dell'art. 25 D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, non assumono più, di per sé, alcun rilievo penale, non trovando esse corrispondenza in nessuna delle ipotesi criminose introdotte con il medesimo D.L.vo n. 74/2000. (D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 1; D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, art. 8) (2).

    (1) In senso difforme, cfr. oltre ai precedenti citati in motivazione, Trib. Voghera, 15 giugno 2000, Bellomi, in questa Rivista 2000, 833 con nota di richiami giurisprudenziali e dottrinali cui si rinvia.


    (2) Nulla in termini. In dottrina, si vedano U. NANNUCCI e A. D'AVIRRO, La riforma del diritto penale tributario, Ed. Cedam, Padova, 2000 e G. MEZZETTI, La riforma del diritto penale tributario in materia di imposte sui redditi e di IVA, Ed. Maggioli, Rimini, 2000.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - 1. Con sentenza in data 2 febbraio 1995, il Tribunale di Roma dichiarava Sagone Riccardo colpevole del reato di cui all'art. 1, primo comma, legge 7 agosto 1982, n. 515 (capo A della rubrica) e del reato di cui all'art. 1, ultimo comma, legge citata (capo B), condannandolo, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, alla pena di mesi cinque di arresto e lire 12.000.000 di ammenda, applicando altresì le pene accessorie di cui all'art. 7 della legge citata. All'imputato, nella sua qualità di amministratore della s.r.l. "Doppia Esse", veniva addebitato di avere omesso di presentare la dichiarazione, ai fini delle imposte dirette per l'anno 1991, di quanto percepito dalla suddetta società per la vendita, effettuata in data 13 maggio 1991, di uno stabilimento tipografico per un importo complessivo di lire 6.688.712.000, portato in 18 fatture emesse nei confronti della "Palladio" s.r.l., e veniva altresì addebitato di avere omesso, per l'anno 1991, di istituire le scritture contabili obbligatorie.

A seguito di appello dell'imputato, la Corte d'Appello di Roma, con sentenza in data 30 aprile 1999, confermava l'impugnata decisione.

  1. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Sagone, il quale, con primo motivo, deduce erronea applicazione della legge penale in relazione ad una prova decisiva, assumendo in relazione al reato di cui all'art. 1, primo comma, legge n. 516/1982 di avere regolarmente presentato la dichiarazione ed assumendo altresì, quanto al reato di cui all'art. 1, sesto comma, legge cit., di avere informato Guardia di Finanza e Procura della Repubblica che la prescritta documentazione era stata consegnata a tale Cavalli Giuseppe; con secondo motivo deduce manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

  2. Il ricorso, assegnato alla terza sezione penale della Corte di Cassazione, è stato rimesso da quest'ultima alle Sezioni Unite con ordinanza del 14 giugno 2000.

    L'ordinanza suddetta premette che la trattazione del presente ricorso deve essere necessariamente preceduta dalla valutazione dei reati fiscali oggetto di giudizio alla stregua delle disposizioni introdotte dal D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74 (che ha riformato il sistema penale-tributario in attuazione dell'art. 9 legge 25 giugno 1999, n. 205), al fine di verificare - tenuto conto che il nuovo testo normativo non contiene un regime transitorio di raccordo e che l'art. 24 D.L.vo 30 dicembre 1999, n. 507 ha abrogato il principio di ultrattività delle disposizioni penali delle leggi finanziarie posto dall'art. 20 legge 7 gennaio 1929, n. 4 - se i fatti contestati, già incriminati ai sensi del D.L. 10 luglio 1982, n. 429 convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1982, n. 516, mantengano rilevanza penale anche dopo la riforma e l'abrogazione espressa del titolo I della stessa legge n. 516 (art. 25, primo comma lett. d, D.L.vo n. 74/2000).

    L'ordinanza di rimessione, alla luce del criterio del rapporto strutturale delle norme integrato da quello della continenza, ritiene che la fattispecie già sanzionata dall'art. 1, sesto comma, legge 7 agosto 1982, n. 516 (omessa o irregolare tenuta o conservazione delle scritture contabili) sia sicuramente depenalizzata ai sensi dell'art. 9 legge 25 giugno 1999, n. 205 e del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, perché nel nuovo sistema penale-tributario degrada a mera modalità di estrinsecazione di una condotta, che solo unitamente ad altri elementi, integra una diversa fattispecie di reato tributario.

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    Con riguardo al reato di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi o IVA, già sanzionato dall'art. 1, primo comma, legge n. 516/1982, rileva, invece, la sussistenza di divergenze interpretative in ordine alla sostenibilità di una permanente criminalizzazione delle condotte già sanzionate ai sensi dell'art. 1, primo comma, legge n. 516/1982. Correlativamente ha ritenuto, attesa la particolare rilevanza della questione e l'elevata probabilità di contrasti, di dirimere gli stessi in via preventiva rimettendo appunto il ricorso alle Sezioni Unite. La suddetta ordinanza evidenzia l'assenza, nella giurisprudenza di legittimità, di un orientamento univoco in ordine alla questione concernente la verifica della continuità normativa, nell'ipotesi di abrogazione di una norma incriminatrice, in quanto sul tema si procede a combinare i vari criteri suggeriti dalla dottrina, utilizzando ora il criterio della continuità del tipo di illecito, ora quello del rapporto di continenza tra nuova e vecchia fattispecie, ora quello del rapporto strutturale tra le fattispecie, quest'ultimo anche in combinazione con il criterio di continenza; quindi enuclea i termini del contrasto interpretativo con riguardo alla fattispecie in esame. Rileva che in dottrina e nelle prime applicazioni giurisprudenziali si sono manifestate difformi opinioni circa la sostenibilità di una permanente criminalizzazione delle condotte già sanzionate ai sensi del citato art. 1, primo comma, legge n. 516/1982. La possibilità di configurare una continuità normativa (di tipo illecito) con il reato di cui all'art. 5 D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74 viene esclusa con riferimento alla natura delittuosa della nuova fattispecie incriminatrice, alla diversa struttura del suo profilo soggettivo, essendo richiesto il dolo specifico, all'esistenza di una soglia di punibilità commisurata all'imposta evasa e dunque ontologicamente diversa da quella prevista nella previgente contravvenzione, che era riferita agli imponibili sottratti all'imposizione, nonché alla violazione dell'art. 521 c.p.p. in caso di mancata contestazione della specifica finalità di evasione delle imposte e dell'ammontare dei tributi effettivamente evasi.

    L'affermazione della continuità normativa, al contrario, si fonda sulle considerazioni che l'omessa contestazione espressa del dolo specifico di evadere l'imposta e dell'ammontare effettivo del tributo evaso non determina una violazione dell'art. 521 c.p.p. tutte le volte in cui l'ammontare dell'imposta evasa risulti dagli atti a conoscenza dell'imputato e dagli atti medesimi si evinca comunque l'esistenza del dolo di evasione anche se non perseguito in via esclusiva, oppure tali circostanze appaiano, sia pure in maniera implicita, contestate nell'imputazione oppure abbiano, comunque, formato oggetto della difesa, giacché detti elementi non si pongono in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità con i contenuti del precedente addebito, ma ne costituiscono la normale conclusione, tanto più che secondo unanime giurisprudenza di questa Corte, la violazione dell'art. 521 c.p.p. richiede una trasformazione radicale del fatto nei suoi elementi essenziali, in modo tale che il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di ontologica eterogeneità e incompatibilità, non potendosi basare la correlazione tra accusa contestata e ritenuta nella decisione sul mero confronto letterale tra imputazione e sentenza (Cass., sez. III, 29 maggio 2000, n. 6228, Bellavia). Si aggiunge, infine, nell'ordinanza di rimessione, che la previsione di una soglia quantitativa di rilevanza penale, ragguagliata all'entità dell'imposta evasa, implica una complessa operazione di calcolo che va ben oltre la verifica dell'omessa indicazione di elementi di facile...

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