Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine395-453

Page 395

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, 28 maggio 2002, n. 20897 (c.c. 10 aprile 2002). Pres. Trojano - Est. Piccininni - P.M. Monetti (conf.) - Ric. Domingo.

Misure cautelari personali - Estinzione - Termini di durata massima della custodia cautelare - ScarcerazioneApplicazione di misure cautelari diverse dalla carcerazione - Basate sulla permanenza delle originarie esigenze cautelari - Ammissibilità.

Misure cautelari personali - Condizioni di applicabilità - Gravi indizi di colpevolezza - Disposto di cui all'art. 307, comma 1 bis, c.p.p. - Interpretazione.

L'applicazione, ai sensi dell'art. 307, comma 1, c.p.p., di misure cautelari diverse dalla custodia nei confronti di imputato scarcerato per decorrenza dei termini può essere disposta anche con ordinanza emessa successivamente alla scarcerazione, indipendentemente dalla circostanza che il provvedimento si basi sulla ritenuta persistenza delle originarie esigenze cautelari ovvero sulla loro ritenuta sopravvenienza. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 307) (1).

Il disposto di cui al comma 1 bis dell'art. 307 c.p.p., inserito dall'art. 2, comma 6, del D.L. 24 novembre 2000 n. 341, conv. con modif. in legge 19 gennaio 2001 n. 4 (secondo il quale, quando si proceda per taluno dei reati indicati nell'art. 407, comma 2, lett. A, il giudice dispone le misure cautelari indicate negli artt. 281, 282 e 283 anche cumulativamente), non può che essere interpretato nel senso che con esso si sia inteso introdurre una presunzione di pericolosità (salva prova contraria), dalla quale far discendere automaticamente l'applicazione delle misure cautelari sostitutive in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 307) (2).

    (1) Difforme, sul punto, Cass. pen., sez. I, 24 settembre 1997, P.M. in proc. Novembre, in questa Rivista 1998, 284, emanata, peraltro, precedentemente all'entrata in vigore del D.L. n. 341/2001, che ha modificato l'art. 307 c.p.p.


    (2) Nulla risulta edito sullo specifico punto.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con ordinanza del 25 gennaio 2001 il Tribunale di Palermo rigettava l'appello proposto da Francesco Domingo avverso l'ordinanza con la quale la Corte di assise di Trapani gli aveva applicato la misura dell'obbligo di dimora con prescrizioni.

In particolare il Domingo era stato scarcerato per decorrenza dei termini di fase dal tribunale della libertà e la Corte di assise di Trapani, che aveva successivamente rigettato istanza di applicazione di analoga misura da parte del P.M. deducendo la propria incompetenza al riguardo, aveva poi accolto identica richiesta, in ragione dell'entrata in vigore del decreto legge 24 novembre 2000, n. 341, poi convertito senza modifiche sul punto dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4.

Più precisamente secondo la Corte di assise di Trapani, ed il giudizio era stato poi condiviso dal Tribunale di Palermo, l'applicazione delle misure in questione nei confronti di soggetti scarcerati per decorrenza dei termini di custodia cautelare in relazione ad imputazione per delitto di cui all'art. 416 bis c.p., quale quello contestato al Domingo, non sarebbe più rimessa alla discrezionalità del giudice, che dovrebbe invece limitarsi a determinarne il quantum; anche i profili relativi alla competenza sarebbero poi da ritenere superati poiché, per effetto della innovazione normativa sopra considerata, il giudice procedente avrebbe potuto disporre, su richiesta del P.M., le misure sostitutive oggetto dell'impugnazione.

Avverso detto provvedimento proponeva ricorso per cassazione il Domingo, il quale denunciava violazione di legge sostanziale e processuale nonché carenza di motivazione sotto un duplice aspetto.

Innanzitutto, per il preteso automatismo con il quale le misure cautelari sostitutive, secondo il giudice di merito, dovrebbero essere applicate, dovendosi invece ritenere che al più il legislatore abbia inteso introdurre una presunzione di pericolosità, che nel caso di specie sarebbe evidentemente smentita dalle risultanze processuali, considerato che nei mesi di libertà goduti il ricorrente non avrebbe posto in essere comportamenti delittuosi o comunque contrari alla legge.

Inoltre, per l'incompetenza della Corte di assise di Trapani desumibile dal fatto che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, competente ad applicare eventuali misure cautelari sostitutive sarebbe soltanto il giudice che ha disposto la liberazione dell'imputato, come d'altra parte in un primo momento affermato dallo stesso giudice procedente, e pertanto, dovendosi ritenere che la modifica normativa nulla abbia mutato in proposito, nella specie solo il Tribunale di Palermo, che aveva a suo tempo disposto la scarcerazione del Domingo, avrebbe potuto infliggere le misure cautelari sostitutive in esame.

Chiedeva conclusivamente l'annullamento dell'impugnata ordinanza, con l'adozione dei provvedimenti conseguenziali.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il ricorso è infondato. Il ricorrente deduce invero l'erroneità dell'ordinanza impugnata denunziando violazione di legge e difetto di motivazione sotto un duplice aspetto, e cioè: a) per il fatto che il giudice di merito avrebbe a torto ritenuto che la modifica dell'art. 307 c.p.p., intervenuta con D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito con L. 19 gennaio 2001, n. 4, avesse apportato modifiche alla disciplina vigente in tema di competenza per l'applicazione delle misure cautelari sostitutive; b) per la circostanza che pur volendo accedere alla tesi, seguita dagli stessi giudici, secondo cui con la nuova normativa si sia inteso prevedere una presunzione di pericolosità a fronte della commissione di alcuni reati considerati di significativa gravità, detta presunzione nella specie sarebbe venuta meno considerato che nei quattro mesi di libertà goduti non sarebbe stato «posto in essere alcun comporta-Page 396mento che in qualche misura possa ritenersi delittuoso o contrario alla legge».

Per quanto attiene al primo profilo il ricorrente invoca a sostegno dell'incompetenza del giudice procedente (nella specie corte d'assise) la sentenza sez. I c.c. 24 settembre 1997, n. 4238, Novembre, emanata per altro nella vigenza del testo originario dell'art. 307 primo comma c.p.p.

Ma l'orientamento recepito da tale sentenza non appare condivisibile alla stregua della struttura complessiva del precetto di cui alla suddetta norma, così come modificata dal decreto-legge n. 341/2000, convertito nella legge 4/ 2001.

La citata sentenza trae dall'espressione «qualora permangono le ragioni che avevano giustificato la custodia», contenuta nel testo originario dell'art. 307, primo comma, il convincimento che - salva l'ipotesi della sopravvenienza - le misure cautelari sostitutive debbano essere inflitte contestualmente all'ordinanza di scarcerazione, stante la stretta connessione con questo provvedimento evidenziata sia dall'espressione «permangono», sia dal rilievo che esse sono finalizzate a salvaguardare quelle medesime originarie esigenze, che non è ormai consentito fronteggiare con la più grave misura della custodia, esauritasi per scadenza del termine.

Ha rilevato inoltre l'assenza di dati ermeneutici da cui potesse inferirsi che il nuovo codice abbia immutato il sistema di cui all'art. 270 decimo comma c.p.p. abrogato, che espressamente distingueva l'ipotesi in cui le esigenze cautelari sussistevano alla data dell'ordinanza di scarcerazione - nel qual caso le misure sostitutive dovevano essere imposte nella medesima ordinanza - dalla diversa ipotesi della loro sopravvenienza - in cui tali misure erano applicabili anche con provvedimento successivo.

Sennonché il testo novellato dall'art. 307 primo comma - al pari del testo precedente - non riproduce siffatta distinzione.

Esso al contrario, sfumando peraltro il concetto di «permanenza» in quello più generico di «sussistenza», si limita a consentire l'applicabilità delle misure sostitutive «solo se sussistono le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare».

Trattasi di un inciso che, come del resto quello contenuto nel testo originario della norma, deve essere interpretato in senso estensivo, come, cioè, riferito all'accertamento di una situazione di fatto che imponga comunque, al pari di quella iniziale, una tutela cautelare, sia pure assicurabile, stante la scadenza del termine della custodia, solo mediante misure attenuate, e ciò sia nell'ipotesi della persistenza, all'atto della scarcerazione, delle medesime esigenze originarie, sia in quella della sopravvenienza di esigenze diverse, intervenute alla stessa data di tale provvedimento ovvero in epoca anche successiva.

Non vi è infatti alcuna ragione plausibile per ritenere che l'art. 307 c.p.p., diversamente dalla norma abrogata, abbia inteso regolare espressamente soltanto la prima ipotesi ovvero, ancor più, limitare - cosa peraltro negata dalla sentenza in discorso - l'applicabilità della nuova misura soltanto ad essa.

Se così è, deve concludersi che l'art. 307 c.p.p. ha accomunato in un unico precetto generico ed onnicomprensivo tutte le ipotesi di esigenze cautelari, senza introdurre, al contrario dell'art. 272/10 codice abrogato, diverse modalità e tempi distinti di applicazione per l'una o l'altra ipotesi.

Ne discende che proprio per la rilevata onnicomprensività del precetto, è consentito anche nella prima ipotesi (quella cioè della persistenza delle originarie esigenze cautelari) disporre come nella seconda ipotesi (quella della sopravvenienza) l'applicazione delle misure sostitutive pure con ordinanza successiva alla scarcerazione.

Tale conclusione trova conferma in un duplice ordine di considerazioni.

Innanzitutto non sussiste alcuna plausibile giustificazione per il sacrificio delle suddette esigenze originarie sol perché non tempestivamente rilevate dal pubblico ministero o per dimenticanza o per erroneo apprezzamento della situazione concreta; salvo - ma trattasi di questione di merito e non di competenza - che il ritardo della richiesta del pubblico ministero sia...

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