Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 23 settembre 2004, n. 37395 (ud. 2 luglio 2004). Pres. Papadia - Est. Fiale - P.M. Albano (parz. diff.) - Ric. A.M.

Violenza sessuale - Elemento oggettivo - Atti sessuali - Nozione - Limitazione della libertà di autodeterminazione del soggetto passivo - Sufficienza - Fattispecie.

Atti, pubblicazioni e spettacoli osceni - Atti osceni - Violenza sessuale - Concorso - Ammissibilità.

Il concetto attuale di «atti sessuali», alla luce della previsione ex art. 609 bis c.p., è da intendersi quale somma dei concetti previgenti di congiunzione carnale e atti di libidine. Ne deriva che la condotta vietata dal citato articolo ricomprende - se connotata da costrizione (violenza, minaccia o abuso di autorità), sostituzione ingannevole di persona ovvero abuso di condizioni di inferiorità fisica o psichica - oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo tra soggetto attivo e soggetto passivo, ancorché fugace ed estemporaneo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale di quest'ultimo, sia finalizzato e normalmente idoneo a porre in pericolo la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale. (La fattispecie riguardava il toccamento lascivo dei glutei di alcune impiegate presso la Cassazione, con violenza consistita nell'aggressione da tergo e proditoria, eludendone la vigilanza, con abuso di relazioni di ufficio, da parte di un magistrato della medesima Corte). (Mass. Redaz.). (C.p., art. 609 bis) (1).

Il delitto di atti osceni e quello di violenza sessuale possono concorrere tra loro poiché, mentre col primo si punisce l'offesa al pudore come specificazione del buon costume e si tutela la morale pubblica, con il secondo l'ordinamento intende accordare tutela alla persona e, più segnatamente, alla libertà di autodeterminazione della propria corporeità sessuale. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 527; c.p., art. 609 bis) (2).

    (1) Pronuncia ben articolata in parte motiva con ampi riferimenti giurisprudenziali ai quali si rinvia. Si veda anche Corte cost. 17 luglio 2000, n. 295, in questa Rivista 2000, 880, che si è pronunciata ritenendo inammissibile la questione di legittimità costituzionale sorta in merito alla presunta indeterminatezza della nozione di «atto sessuale» ex art. 609 bis. In dottrina cfr. ROMANO BARTOLOMEO, La tutela penale della sfera sessuale, Ed. Giuffrè, Milano 2000; G. INZERILLO, La nozione di «atto sessuale» al vaglio della Corte costituzionale, in Giur. it. 1999, 830; G. CAMPISI, Note sulle modifiche in tema di violenza sessuale, in questa Rivista 1996, 681 e B. MARZO, La libertà personale quale elemento centrale delle nuove norme sulla violenza sessuale: prime osservazioni, ivi 1996, 129.


    (2) Nulla in termini.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - La Corte di appello di Roma, con sentenza del 24 gennaio 2002, confermava la sentenza 13 marzo 2001, pronunziata dal Gip del Tribunale di Roma in esito a giudizio celebrato con il rito abbreviato, che aveva affermato la penale responsabilità di A.M. in ordine ai reati di cui:

a) agli artt. 609 bis e 61, n. 11, c.p. (per avere costretto P.M., funzionario direttivo in servizio presso la Corte di cassazione, a subire atti sessuali e segnatamente, il toccamento lascivo dei glutei, con violenza consistita nell'aggredirla da tergo e proditoriamente, eludendone la vigilanza, con abuso di relazioni di ufficio, in quanto magistrato della stessa Corte Suprema di Cassazione - in Roma, il 21 giugno 2000);

b) all'art. 527 c.p. (perché compiva gli atti osceni dianzi descritti nei locali della cancelleria della I sez. civile della Corte Suprema di Cassazione - in Roma, il 21 giugno 2000);

c) agli artt. 609 bis e 61, n. 11, c.p. (per avere costretto S.C., operatore amministrativo in servizio presso la I sez. civile della Corte di cassazione, a subire atti sessuali e, segnatamente, il toccamento lascivo dei glutei, con violenza consistita nell'aggredirla da tergo e con movimento repentino tale da eluderne la vigilanza, con abuso di relazioni di ufficio, in quanto magistrato della stessa Corte Suprema di Cassazione - in Roma, il 9 marzo 2000);

d) all'art. 527 c.p. (perché compiva gli atti osceni dianzi descritti nei locali della cancelleria della I sez. civile della Corte Suprema di Cassazione - in Roma, il 9 marzo 2000);

e) agli artt. 609 bis e 61, n. 11, c.p. (per avere costretto M.A., in servizio presso la III sez. civile della Corte di cassazione, a subire atti sessuali e, segnatamente, il toccamento lascivo dei glutei, con violenza consistita nell'aggredirla da tergo e con movimento repentino tale da eluderne la vigilanza, con abuso di relazioni di ufficio, in quanto magistrato della stessa Corte Suprema di Cassazione - in Roma, nel maggio 2000);

f) all'art. 527 c.p. (perché compiva gli atti osceni dianzi descritti nei locali della cancelleria della III sez. civile della Corte Suprema di Cassazione - in Roma, nel maggio 2000) e, riconosciute sia la diminuente di cui al terzo comma dell'art. 609 bis c.p. sia circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate, unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., lo aveva condannato alla pena principale complessiva di anni uno di reclusione ed alla pena accessoria di legge, con i doppi benefici, nonché al risarcimento del danno, liquidato nella misura di lire una in conformità alla richiesta, ed alla rifusione delle spese in favore della parte civile costituita P.M.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso A.M., il quale ha eccepito:

a) l'erronea applicazione dell'art. 442 c.p.p., in quanto sarebbero state illegittimamente utilizzate, ai fini probatori, le dichiarazioni raccolte dal funzionario di cancelleria dr. P. nell'ambito di un'indagine amministrativa interna disposta dal P.G. e dal Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione. I risultati di tale indagine avrebbero dovuto essere considerati esclusivamente come notitia criminis, dalla quale il P.M. avrebbe potuto solo trarre spunto per acquisire gli elementi di prova a sostegno dell'accusa;

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b) l'insussistenza dei reati di cui all'art. 609 bis c.p., per carenza della connotazione oggettiva, in quanto la sfera sessuale delle parti offese non sarebbe stata minimamente attinta dalle condotte contestate «che, se mai ci sono state, altro non erano che comportamenti volgari, ma non incidenti sulla libertà di determinazione sessuale dei soggetti passivi»;

c) l'insussistenza dei reati di cui all'art. 527 c.p., non potendo configurarsi, nei comportamenti contestati, alcuna offesa giuridicamente rilevante al pubblico pudore.

Il ricorrente ha sollevato, infine, eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 609 bis c.p., in relazione agli artt. 3 e 25 della Costituzione, per assunta violazione del principio di determinatezze della fattispecie incriminatrice (in funzione sia di garanzia della libertà sia di tutela dell'uguaglianza), non essendo rinvenibile nel linguaggio corrente e nella letteratura scientifica un concetto comunemente e univocamente accettato di «atto sessuale».

La questione di incostituzionalità è stata ulteriormente illustrata con «motivi aggiunti» depositati il 6 marzo 2003 e con «note di udienza».

MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - L'eccezione di inutilizzabilità degli atti raccolti nell'indagine amministrativa.

La doglianza riferita alla pretesa illegittimità dell'acquisizione probatoria nel rito abbreviato è infondata.

L'art. 442, comma 1 bis, c.p.p. stabilisce che, ai fini della deliberazione, il giudice utilizza gli atti contenuti nel fascicolo di cui d'art. 416, comma 2, la documentazione di cui l'art. 419, comma 3, e le prove assunte nell'udienza.

Nella specie (a prescindere da ogni questione circa la necessità di dedurre al momento della richiesta e del consenso, nel rito abbreviato, le eventuali cause di inutilizzabilità della prova) risultano utilizzate, quali fonti di prova, le deposizioni delle persone offese dal reato rese nella fase delle indagini preliminari - dalla M. al P.M. il 21 settembre 2000 e quelle rese dalla A. e dalla C. alla P.G., su delega del P.M., il 28 settembre 2000, legittimamente confluite nel fascicolo del pubblico ministero; mentre gli sporadici accenni che vengono fatti dalla Corte territoriale all'inchiesta amministrativa appaiono sostanzialmente privi di qualsiasi valenza probatoria ed irrilevanti ai fini della decisione.

  1. - La condotta tipica del reato di «violenza sessuale». L'individuazione della condotta tipica del reato di «vio lenza sessuale» si riconnette alla definizione della nozione, del contenuto e dei limiti della locuzione «atti sessuali», di cui alla legge 15 febbraio 1996, n. 66, in quanto l'art. 609 bis c.p. (introdotto appunto da tale legge) ha concentrato in una fattispecie unitaria le previgenti ipotesi criminose previste dagli artt. 519 e 521, individuando quale unica condotta composita,idonea a ledere il bene giuridico della libertà sessuale, in luogo della «congiunzione carnale» e degli «atti di libidine violenti», il fatto di chi con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità «costringe» taluno a compiere o a subire «atti sessuali».

    Le posizioni della dottrina, di fronte al problema dell'individuazione del minimum di condotta penalmente rilevante perché resti integrato il delitto di violenza sessuale, possono ricondursi a tre principali orientamenti:

    a) la tesi della maggiore ampiezza dell'espressione «atti sessuali» rispetto a quella di «atti di libidine», che ricomprende nella nuova categoria, perlomeno in astratto, qualsiasi atto che sia comunque riconducibile (quanto ai motivi che lo ispirano, alle modalità di realizzazione, alle finalità perseguite) alla sfera della sessualità umana;

    b) l'opinione che tra gli atti di libidine e gli atti sessuali vi è invece una fondamentale identità concettuale e che la fattispecie dell'art. 609 bis, unificando i precedenti reati di violenza carnale e...

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