Le attenuanti generiche: strumento inflazionato o elemento risocializzante?

AutoreDiglio Paolo
Pagine685-705
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Rivista penale 7-8/2012
Dottrina
LE ATTENUANTI GENERICHE:
STRUMENTO INFLAZIONATO O
ELEMENTO RISOCIALIZZANTE?
di Paolo Diglio
SOMMARIO
1. Introduzione. 2. La genesi evolutiva “vichiana” delle circo-
stanze attenuanti generiche. 3. Il “giro di vite” del 2005. 3.1.
L’ulteriore “stretta” del 2008. 3.2. Il lieve “allentamento” del
2011. 4. La ratio e i presupposti applicativi. 5. L’inquadra-
mento dogmatico. 6. La casistica. 7. I “reati culturali” e le
attenuanti generiche. 8. Il comportamento processuale e le
attenuanti generiche. 9. Questioni di compatibilità. 10. Con-
clusioni.
1. Introduzione
L’argomento che ci accingiamo a trattare non è cer-
tamente tra quelli meno presenti nel panorama della
letteratura giuridica. La sua costante afferenza col diritto
vivente lo rende, tuttavia, sempre attuale, scongiurando
qualsiasi forma di obnubilamento dovuta al tempo. Stiamo
parlando di uno degli istituti di diritto penale sostanziale
più ricorrenti nei dispositivi delle sentenze di merito: le
circostanze attenuanti generiche (art. 62 bis c.p.).
L’occasione per questa trattazione ci viene fornita
da una pronuncia della Corte Costituzionale, emanata a
giugno dello scorso anno (1), la quale stimola il nostro
spirito analitico ad affrontare il tema con un angolo di
visuale tendenzialmente particolareggiato. Le articolate
argomentazioni della Consulta, contenute nella sentenza
n. 183/11, rappresentano il punto di partenza di un’esplo-
razione ben più ampia. In particolare, esse offrono uno
stimolante abbrivio non solo per percorrere, storicamente
ed eziologicamente, le diverse tappe evolutive che hanno
contraddistinto la f‌igura giuridica in parola, ma anche
per tracciare un’analisi comparativa tra le nozioni della
manualistica e gli approdi dei repertori giurisprudenziali.
Una disamina sinergica tra aspetto dogmatico e prof‌ilo
effettuale, che si propone di valutare la correttezza e l’ef-
fettività di quell’opinione tralatizia, a mente della quale
le attenuanti generiche, analogamente a un bicchier d’ac-
qua, o all’ultima sigaretta in caso di condanna capitale,
“non si negano mai a nessuno”.
2. La genesi evolutiva “vichiana” delle circostanze atte-
nuanti generiche
L’ambizioso disegno di realizzare un unico codice
penale, che fosse valido in ogni angolo di territorio del
neonato Regno d’Italia, si materializzò solo il primo gen-
naio del 1890, con l’entrata in vigore del codice Zanardelli.
Questo corpo normativo, frutto di un lungo periodo di ge-
stazione, contemplava all’art. 59 le circostanze attenuanti
generiche (2), un istituto che è giunto sino ai giorni no-
stri attraverso uno zigzagante percorso. Nell’arco di oltre
un secolo di codif‌icazione nazionale, la disciplina positiva
di quest’accessorio del reato ha seguìto un particolare
andamento, contraddistinto da un succedersi di fasi che
sembra suggellare la “teoria dei corsi e ricorsi storici”: la
celeberrima linea di pensiero elaborata da Giambattista
Vico nella prima metà del XVIII secolo all’interno della sua
Scienza nuova e poi valorizzata, agli inizi del Novecento,
da Benedetto Croce.
Le varie modif‌iche che la f‌igura giuridica de qua ha
subìto durante questo lasso di vita del nostro Paese sono
il portato delle differenti opzioni di politica criminale
avvicendatesi, a loro volta prodromiche dei mutamenti so-
cio-politici intervenuti. Il periodico alternarsi del primato
di determinate esigenze a scapito di altre, puntualmente
invocato a suffragazione di ognuna di tali variazioni norma-
tive, pare ratif‌icare quella concezione ciclica della storia,
teorizzata da Vico (historia se repetit). Come avremo modo
di appurare, infatti, la normazione afferente alle attenuan-
ti generiche è stata ripetutamente contraddistinta, almeno
sotto l’aspetto teleologico, da quel ritorno al passato, in
cui l’insigne f‌ilosofo partenopeo individuava l’incipit di un
nuovo ciclo nel modello di sviluppo di una nazione.
Questa categoria di elementi accidentali del reato,
presente nel liberale codice Zanardelli, non venne ri-
prodotta nel codice Rocco, in quanto inconciliabile con la
sua rigoristica tendenza a minimizzare la discrezionalità
giudiziale in materia di limiti edittali. La sua abolizione
venne ascritta all’errata applicazione che sino ad allora
ne era stata data nelle aule giudiziarie. Giusta la Relazio-
ne del Guardasigilli sul Libro I del Progetto (3), questa
tipologia circostanziale, a causa della sua genericità e
indeterminatezza, era divenuta un mezzo per diminuire la
pena, utilizzabile ad libitum dal giudice e insindacabile;
una sòrta di concessione, che sovente, in nome di una pre-
sunta equità, veniva arbitrariamente fatta dal magistrato,
senza motivare in modo adeguato.
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DOTTRINA
Caduto il fascismo, prese sùbito piede l’idea di dover ri-
scrivere tanto il codice sostanziale quanto quello di rito,
che, partoriti entrambi da un regime dittatoriale e liberti-
cida, si ritenevano incompatibili con le têtes de chapitres
dello stato di diritto. Emblematico di tale mira revisioni-
stica fu il D.L.vo.lgt. 14 settembre 1944, n. 288 (Provvedi-
menti relativi alla riforma della legislazione penale), che,
recando una serie di modif‌iche “transitorie” al testo dei due
codici Rocco, avrebbe dovuto traghettare il Paese verso una
nuova legislazione penale. Uno di questi emendamenti in-
terinali fu proprio la reintroduzione delle attenuanti gene-
riche mediante l’interpolazione nel codice penale dell’art.
62 bis,contemplata dall’art. 2 del prefato decreto.
Com’è noto, i progetti di un nuovo codice penale, che
si sono susseguiti a partire dalla seconda metà degli anni
Quaranta, sono stati diversi, ma nessuno di essi ha rice-
vuto l’approvazione di entrambi i rami del parlamento. La
disciplina delle circostanze de quibus, pertanto, è ancóra
contenuta in quell’articolo aggiunto provvisoriamente
al codice del 1930, circa settant’anni fa, col proposito di
rendere la risposta punitiva dello Stato più adeguata alla
fattispecie concreta. Il testo della disposizione codicistica
attuale, però, non è più quello del 1944, atteso che in tem-
pi non lontani si è arricchito di due ulteriori capoversi.
Le motivazioni determinanti l’aggiunta di questi nuovi
commi sono piuttosto f‌initime a quelle che Alfredo Rocco
addusse a sostegno della mancata riproduzione dell’istitu-
to nel codice a sua f‌irma. Ancóra una volta, infatti, i fau-
tori di queste innovazioni, dopo aver tracciato un’analisi
retrospettiva della prassi giurisprudenziale, hanno diretto
i propri strali sull’eccessiva indulgenza dei giudici, se-
condo il loro parere, troppo inclini alla concessione della
diminuente in questione. Così, con il dichiarato intento di
contrastare l’ingiustif‌icato automatismo col quale veniva
elargito questo benef‌icio, il legislatore, in due differenti
battute, ha eretto delle barriere di contenimento della di-
screzionalità giudiziale. Il primo inasprimento, realizzato
nel 2005 con la c.d. legge “ex Cirielli”, ha riguardato i soli
recidivi reiterati autori di alcuni delitti di particolare allar-
me sociale. Il secondo ha avuto, invece, carattere diffuso
ed è stato attuato dal c.d. “pacchetto sicurezza” del 2008.
A conforto di quella teoria sulla ripetitività degli acca-
dimenti storici, con la quale abbiamo esordito, c’era ora da
aspettarsi nuovamente il riemergere di quei valori risul-
tati soccombenti rispetto alle esigenze di allarme sociale,
ispiratrici delle due modif‌iche codiciali appena ricordate.
L’aspettativa non è stata delusa; infatti, a distanza di circa
tre anni dalla più recente, è intervenuta, con la senten-
za n. 183/11, la Corte Costituzionale, la quale, facendosi
portatrice di istanze garantistiche, ha confermato quell’al-
ternanza di motivi che dura oramai da lungo tempo. Le
censure al pletorico utilizzo giudiziale delle attenuanti
generiche hanno di nuovo fatto posto alla loro indispensa-
bilità per minimizzare la distanza tra la generale e astratta
previsione legislativa e il singolare caso concreto, già in
precedenza valorizzata, prima dagli artef‌ici del codice
Zanardelli e poi dagli autori del ricordato provvedimento
del 1944. La necessità di una pena “ritagliata” sulla fatti-
specie reale ha riguadagnato terreno sul tema della difesa
sociale.
Per comprendere in modo compiuto le ragioni di
questa persistente dicotomia, che dura sin da quando il
benef‌icio in argomento fece la sua comparsa nel tessuto
ordinamentale italiano, si rende opportuno analizzarlo
funditus,sotto il prof‌ilo storico, logico e sistematico.
3. Il “giro di vite” del 2005
Come accennato, la disciplina delle attenuanti gene-
riche è stata oggetto di una revisione rigoristica, posta in
essere attraverso due distinti interventi normativi. Il pri-
mo in ordine di tempo è stato quello previsto dalla legge 5
dicembre 2005, n. 251 (Modif‌iche al codice penale e alla
legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti gene-
riche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circo-
stanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione),
meglio conosciuta come legge “ex Cirielli”, la quale, nel-
l’intento di creare un regime giuridico molto più rigido per
il reo che torna a delinquere, ha riformato in modo signi-
f‌icativo l’intera disciplina positiva della recidiva, agendo
anche su quelle norme che regolano le sue conseguenze
secondarie (i c.d. “effetti commisurativi della sanzione”
o “effetti minori”). In particolare, l’articolo di apertura
di questo provvedimento legislativo ha riformulato l’art.
62 bis c.p., interpolando un secondo comma dopo l’unico
alinea di cui si componeva la disposizione codicistica sin
dalla sua entrata in vigore.
Questo capoverso ha ridotto la discrezionalità giudizia-
le nel riconoscimento delle attenuanti generiche nei con-
fronti dei recidivi reiterati resisi responsabili dei delitti
di cui all’art. 407, secondo comma, lett. a), c.p.p., quando
siano puniti con la pena della reclusione non inferiore nel
minimo a cinque anni. Al verif‌icarsi della concomitanza di
tali contingenze, il giudice non può più fondare l’applica-
zione della diminuente in commento sui parametri di cui
all’art. 133, comma 1, n. 3, e comma 2, c.p., ovvero sull’in-
tensità del dolo (4) e su tutti gli elementi concernenti la
capacità a delinquere del prevenuto. Conseguentemente,
la concessione delle circostanze in parola in questi casi
può basarsi solo sui restanti criteri commisurativi, con-
tenuti nell’art. 133, comma 1, nn. 1) e 2), c.p., ossia su
quei coeff‌icienti di carattere oggettivo afferenti alla gra-
vità del reato, consistenti rispettivamente nelle modalità
dell’azione (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo,
ecc.) e nella gravità del danno o del pericolo cagionato
alla persona offesa dal misfatto.
Questa contrazione del potere di valutazione giudizia-
le, come del resto buona parte dell’opera di novellazione
realizzata dalla legge n. 251/05, è stata oggetto di dure
critiche da parte della dottrina. Nell’àmbito della scienza
penalistica si è sollevato un coro unanime di voci che,
oltre a sottolineare l’artif‌iciosità del linguaggio utilizzato,

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