Frode fiscale, il difficile passaggio tra vecchia e nuova disciplina

AutoreAlfredo Montagna
Pagine425-428

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@1. Premessa.

La stesura dell'art. 2 del D.L.vo 10 marzo 2000 n. 74 definisce come delitto di dichiarazione fraudolenta quello commesso da chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l'imposta sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indichi in una delle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto elementi passivi fittizi, con l'obiettivo di diminuire l'imponibile e l'imposta dovuta. Sebbene uno dei tratti caratterizzanti le novità legislative introdotte sia stato, rispetto al precedente sistema normativo, l'abbandono della tecnica identificativa di singole fattispecie, che seguiva il metodo casistico, avendo il legislatore del 2000 privilegiato la omogeneità sistematica, pur tuttavia nelle ipotesi in cui la specificità della condotta o le caratteristiche dell'elemento soggettivo attribuiscano alla fattispecie una peculiare autonomia occorre individuare le autonome connotazioni del singolo delitto. Tale è il caso della condotta tipizzata dal citato articolo 2, nel quale il particolare intento di sottrazione agli obblighi tributari si riveste dei connotati della fraudolenza. Perché ricorra, infatti, tale fattispecie il legislatore ha richiesto che le fatture o gli altri documenti siano utilizzati al fine della ricostruzione della posizione del contribuente nei confronti dell'amministrazione. Ciò induce a ritenere che per il soggetto estraneo alla emissione della fattura, essendo possibile recedere dalla condotta finalizzata alla evasione tributaria attraverso la mancata presentazione della dichiarazione scorretta, fino a tale momento non si integri alcun reato. Ciò in quanto uno degli aspetti qualificanti del nuovo regime penal-tributario è costituito dall'avvenuta abrogazione del principio di ultrattività della legge penale finanziaria di cui all'art. 20 della legge n. 4 del 1929, in ossequio alla disposizione dell'art. 6, comma 1, lett. d) della legge delega n. 205 del 1999 che indicava di «prevedere l'abolizione del principio di ultrattività delle norme penali tributarie», cui il legislatore delegato ha dato seguito con l'art. 24, comma 1, del D.L.vo 30 dicembre 1999 n. 507. Sempre in attuazione dei principi fissati dalla legge delega, in particolare in conformità al dettato dell'art. 9, comma 1, con l'art. 25 del decreto legislativo risulta abrogato, tra l'altro l'intero titolo I della legge 7 agosto 1982 n. 516. L'articolo in questione aveva previsto, nella sua formulazione originaria, disposizioni transitorie tese ad evitare gli inevitabili profili di perplessità che si sarebbero inevitabilmente proposti e che prevedevano che si sarebbe dovuta continuare ad applicare, per i fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore del decreto (15 aprile 2000), la normativa previgente in ordine ai reati di cui all'art. 4, comma 1, lett. d) ed f), dimostrando così che si riteneva particolarmente complessa l'operazione interpretativa che avrebbe dovuto individuare gli elementi di continuità tra le fattispecie pregresse e quelle di nuova introduzione. Le critiche della dottrina 1, incentrate sui possibili profili di incostituzionalità di tale disciplina transitoria, stante l'assenza di una delega sul punto, hanno poi portato alla soppressione della disciplina transitoria.

Conseguentemente la disciplina applicabile ai fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore del D.L.vo n. 74 del 2000 va individuata secondo la regola generale sulla successione di leggi penali di cui all'art. 2 c.p.

Con la entrata in vigore delle nuove disposizioni oltre a fattispecie criminose abrogate tout court ve ne sono altre riformulate nel nuovo decreto che non sono più previste autonomamente come reato, ma sono ricomprese nella condotta incriminata dalle nuove disposizioni; in particolare la frode fiscale per utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (di cui all'art. 4, lett. d) va a costituire parte della condotta incriminata nel delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all'art. 2 del D.L.vo 74. Per quanto attiene poi alla ipotesi di frode fiscale di cui all'art. 4, lett. f), prima ipotesi (utilizzazione di documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero attraverso la indicazione in dichiarazione di componenti da questi emergenti) tale comportamento risulterebbe ora riportabile alla nuova previsione di cui all'art. 2. La giurisprudenza, ed ancor più la dottrina, si sono trovate, pertanto, di fronte alla necessità di verificare se il fatto che costituiva reato continui a mantenere lo stesso carattere di illiceità, onde stabilire se nella successione tra le due leggi si configuri un'ipotesi di abolitio criminis o una abrogatio sine abolitio (semplice mutamento della disciplina generale).

Sul metodo in base al quale operare tale giudizio la dottrina dominante ha accolto il sistema del raffronto tra le fattispecie normativamente tipizzate, considerate in astratto 2, in un quadro di differenti criteri elaborati per la verifica della continuità normativa nelle ipotesi di abrogazione di una norma incriminatrice con contestuale introduzione di una disposizione «sostitutiva», criteri che possono ricondursi a tre tipologie.

Quella della continuità del tipo di illecito che tiene conto del bene giuridico protetto dalla norma penale e delle modalità di aggressione allo stesso, con ricorso a criteri di tipo sostanzialistico. In tal caso, se questi elementi, che vanno a costituire il nocciolo offensivo della fattispecie, risultano inalterati nelle due norme che si sono succedute si tratterà di modifica e non di abrogazione, diversamente la frattura della continuità del tipo di illecito determinerà la abrogazione.

Per la seconda, definibile per il rapporto di continenza tra nuova e vecchia fattispecie, si ha modificazione allorché la nuova legge penale introduce una fattispecie con elementi di specialità rispetto alla disposizione precedente, per cui, in assenza della normativa successiva, i fatti sarebbero disciplinati dalla prima. In caso inverso si ha vera e propria abrogazione in quanto una fattipecie di portata più generale rende punibili comportamenti in precedenza leciti.

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Si ha, infine, successione modificativa, secondo la teoria dei rapporti strutturali fra le fattispecie e della collocazione sistematica, quando: la norma speciale viene abrogata e la precedente norma di carattere generale viene ampliata perché il legislatore non intende decriminalizzare la fattispecie speciale; viene abrogata la norma a carattere generale e quella speciale subentra limitatamente alla fattispecie che mantiene rilevanza penale alla luce della nuova disposizione. Nel caso in cui le due leggi presentino requisiti tra loro eterogenei si verte nel caso di abolizione della precedente incriminazione ed introduzione di una nuova figura di reato.

Tenendo presenti queste considerazioni può ripercorrersi l'iter argomentativo delle pronunce emesse in materia dalla sezione terza della Corte di cassazione, e attraverso la quale si è delineato quel contrasto, anche con la dottrina, che la decisione delle sezioni unite del 7 novembre 2000...

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