L'elemento psicologico nelle contravvenzioni

AutoreMaria Grazia Maglio/Fernando Giannelli
Pagine731-733

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L'art. 45, secondo comma, del codice Zanardelli recitava: «Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione, ancorché non si dimostri che egli abbia voluto commettere un fatto contrario alla legge».

È quasi inutile osservare che, anche rispetto alle contravvenzioni, soprattutto a causa dell'assetto tassonomico imperante in quel codice (gli artt. 44 e ss. erano rubricati «Della imputabilità e delle cause che la escludono o la diminuiscono», e l'art. 44 era equivalente, identico, al nostro art. 5) si agitavano le più forti discussioni in ordine ai rapporti tra elemento psicologico e conoscenza della legge penale.

Noi dobbiamo interessarci dell'aspetto più «moderno» della problematica del reato contravvenzionale: se ad integrarne il materiale soggettivo sia sufficiente la coscienza e volontà della condotta, o se occorra, quanto meno, il coefficiente psicologico della colpa.

Durante i lavori preparatori del codice Zanardelli, e precisamente nel corso della discussione alla Camera elettiva, l'onorevole Massarò enunciò il principio secondo cui, a proposito dell'elemento psicologico nelle contravvenzioni, l'art. 46, terzo comma, del Progetto, poi divenuto l'art. 45, secondo comma, nel Testo definitivo, intendeva accogliere il principio factum pro dolo accipitur, onde non era possibile applicare la scusante della buona fede; riferì che l'onorevole Zanardelli, nel suo «Schema di codice» del 1883, aveva tentato di far introdurre il principio «l'imputato può essere ammesso a provare la sua buona fede che non dipenda da ignoranza della legge (per «salvare» il principio di cui all'art. 44 succitato).

Per proprio conto l'onorevole Massarò si dichiarò propenso, pur apparendogli troppo «largheggianti» gli intenti del ministro, ad inserire, in materia contravvenzionale, una praesumptio juris (non juris et de jure) di colpevolezza (intesa nel senso di sussistenza dell'elemento psicologico, poiché è chiaro che la Procura del Re doveva provare la sussistenza degli elementi di fatto, come è, oggi, a carico dell'attore, nei giudizi di responsabilità ex art. 1218 c.c.).

Ma il «guaio» era che, sia nella Relazione dell'onorevole Massarò, sia in quella senatoriale, come in quella dell'onorevole Majorana Calatabiano, ed, ancora, degli onorevoli Ferraris, Auriti, Villa e Pessina, si confondeva il dolo con il fine; pure nella formulazione della norma sull'omicidio (art. 364 cod. Zanardelli), ed in quella sulle lesioni personali (art. 372), il codice liberale confondeva le due, ben diverse, entità, ed, ancora, quello (il dolo) con la «volizione del maleficio» (PESSINA), cioè con la conoscenza della legge penale.

Per concorde opinione, la forza maggiore escludeva, comunque, la «imputabilità» della contravvenzione.

Ma lo stesso ministro spiegò che aveva re melius perpensa, fatto abiura quanto al proprio iniziale intento, di introdurre una praesumptio juris di dolo, poiché ciò abilitava l'imputato alla prova contraria, di non aver avuto dolo che illuminasse il fatto contravvenzionale, laddove, in materia, era sufficiente la colpa. E molto d'accordo fu il CRIVELLARI.

Allora, nel codice Zanardelli, la sussistenza della colpa doveva essere provata dalla Procura del Re.

Riassumendo: irrilevanza del dolo (poteva esservi o no); irrilevanza del fine; necessità della colpa. Tale ci appare il quadro, in quel contesto storico. E tale era la tesi di BERNARDINO ALIMENA , dell'IMPALLOMENI, del CRIVELLARI e del FLORIAN.

L'art. 42, quarto comma, c.p., recita: «Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa».

A fronte di siffatta formulazione, la giurisprudenza meno recente e parte della dottrina, pure meno recente, sostengono che, in materia contravvenzionale, sia sufficiente, quoad spiritum, il requisito della coscienza e volontà della condotta, non occorrendo, neanche, la colpa (PANNAIN, SALTELLI, ROMANO DI FALCO, ALTAVILLA, BATTAGLINI E., MAGGIORE, COLACCI).

A sostegno di tale conclusione si afferma: che l'art. 47, primo comma, seconda parte, c.p. non prevede per le contravvenzioni, come, invece, fa per i delitti, la...

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