Duro a morire: il canone di depurazione delle acque anche nel caso di mancanza del servizio, sopravvive all’intervento della Corte costituzionale

AutoreNino Scripelliti
Pagine423-426

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  1. – Non è bastata la sentenza della Corte costituzionale n. 335/2008, che ha falciato ed espunto dall’ordinamento ben tre norme di diverse leggi che nel corso degli anni avevano istituito e di volta in volta confermato il canone di depurazione delle acque reflue come componente del costo della fornitura a carico degli utenti del servizio idrico anche nel caso di inesistenza ovvero di inattività degli impianti di depurazione. Infatti il decreto legge 30 dicembre 2008 n. 208 (un omnibus ambiental-ecologico di fine anno), convertito, con modificazioni, in legge 27 febbraio 2009, n. 13, ha ripristinato il canone anche in caso di inesistenza del servizio di depurazione, a talune condizioni che non cambiano, nella sostanza, i termini della questione a suo tempo prospettata alla Corte costituzionale: dunque un caso di elusione del dictum della Corte, e di apparente cambiamento per lasciare le cose come stavano prima. Vale quindi la pena di esporre e commentare questa minima vicenda, istruttiva ed educativa perché dimostra quanto ardui e destinati all’insuccesso siano i tentativi di riforma, privatizzazione e liberalizzazione, del sistema dei servizi pubblici locali, ostaggio di quelle caste politiche che ne traggono indispensabile sostentamento.

    Quindi, ferma restando la natura demaniale delle acque che nessuno intende porre in discussione, il problema del canone di depurazione è solo uno degli effetti della interposizione e della moltiplicazione dei soggetti politici nella filiera del servizio idrico, dalla estrazione delle acque alla loro distribuzione agli utenti finali. In breve, l’articolo 4 comma 1, lett. f) della legge 5 gennaio 1994, n. 36, previde ed attribuì a decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, la facoltà di stabilire i criteri per la gestione del servizio idrico integrato, costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue. In correlazione con tale definizione, l’articolo 13 della stessa legge nel disciplinare la Tariffa del servizio idrico, ebbe a precisare che la tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico come definito all’articolo 4 cit., e quindi compreso anche il corrispettivo del servizio di depurazione, a valle della distribuzione idrica agli utenti, precisando anche che la tariffa avrebbe dovuto tener conto di diversi fattori (qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, opere ed adeguamenti necessari, entità dei costi di gestione, adeguatezza della remunerazione del capitale investito, costi di gestione delle aree di salvaguardia), in modo tale da assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio. La espressa previsione della commisurazione della tariffa ai costi del servizio, che è linea guida anche per la tariffa di igiene ambientale (TIA ex tassa per la rimozione dei rifiuti solidi urbani), conferma la configurazione del servizio idrico come servizio pubblico, in quanto, altrimenti, sarebbe stato del tutto superfluo fare assurgere a rango di enunciato legislativo il principio dell’equilibrio tra costo del servizio e corrispettivo, che è connaturato ad ogni attività economica dei privati.

    Ciò premesso, l’articolo 14 della legge n. 36/1994, nel disciplinare la formazione della Tariffa del servizio di fognatura e depurazione, introdusse il principio secondo il quale (comma 1) la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione fosse dovuta dagli utenti nel caso in cui la fognatura fosse sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi fossero temporaneamente inattivi. In proposito il testo originario della legge n. 36/1994 precisava che «I relativi proventi affluiscono in un fondo vincolato e sono destinati esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione» e l’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179, modificando la seconda parte della norma, precisava che «I relativi proventi, determinati ai sensi dell’articolo 3, commi da 42 a 47, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, aumentati della percentuale di cui al punto 2.3 della delibera Cipe 4 aprile 2001, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 165 del 18 luglio 2001, affluiscono a un fondo vincolato a disposizione dei soggetti gestori del Servizio idrico integrato la cui utilizzazione è vincolata alla attuazione del piano d’ambito». La iniziale disposizione era variata nel senso che la parte del corrispettivo qualificata come canone di depurazione a carico degli utenti anche non beneficiari del servizio di depurazione per inesistenza o sospensione del funzionamento dei relativi impianti, veniva dirottata su un fondo vincolato a disposizione dei gestori del servizio idrico, da utilizzare secondo le previsioni del piano d’ambito (precisazione assente nella primitiva formulazione della norma), e destinata alla realizzazione ed al mantenimento degli impianti di depurazione.

    Le successive vicende legislative non spostavano i termini della questione. L’art. 14, comma 1, della legge n...

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