Il delinquente professionale. Quale spazio per l'istituto in una prospettiva di riforma del codice penale?

AutoreCristina Colombo
Pagine959-963

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@1. Premessa.

La professionalità nel reato è un istituto - strettamente collegato alla pericolosità del soggetto - al quale il codice, in adesione agli orientamenti positivistici, assegna una funzione di difesa sociale. La figura è caratterizzata dal fatto che il reo vive abitualmente dei profitti della propria attività criminosa 1 e proprio tale circostanza viene ritenuta indice di elevata pericolosità e di recidiva 2.

Il delinquente professionale va così ad individuare una categoria strutturata sull'abitualità ad alto indice di pericolosità, 3 una categoria che comprende quei delinquenti che presentano una visione distorta della realtà e rovesciata rispetto ai principi morali e sociali su cui si fonda la nostra società, tanto che il delitto per l'autore perderebbe del tutto il suo carattere di fatto contra ius 4. In questi soggetti la personalità appare alterata ed il risultato è che la resistenza al delitto si affievolisce in quanto lo stesso non desta avversione; pertanto il delinquente professionale è un individuo che vive un rapporto non-conflittuale col delitto subendo, senza rendersene conto, gli effetti di una vera e propria «appartenenza psicologica» 5. Per questi motivi affinché si configuri l'istituto del delinquente professionale occorre un'attività umana delittuosa persistente e indirizzata alla commissione dei delitti, quasi un «costume di vita» 6 che individua nei proventi del reato un vero e proprio mezzo di sostentamento 7.

@@1.1. I tipi criminologici.

La Scuola positiva italiana, soffermando l'attenzione sulla importanza dello studio della personalità del delinquente al fine di giungere ad una classificazione dei tipi criminologici, ha influenzato con la propria attività il legislatore del '30 che ha codificato, così, alcuni tipi legali quali: il delinquente abituale, professionale e per tendenza.

Tale tipizzazione è stata, però, subito contestata da più parti considerato che il delitto è il risultato di particolari relazioni sociali e che la maggior parte dei delinquenti non sarebbe individuabile attraverso tipologie prestabilite. Inoltre, agganciando il reato al suo autore e incentrando il diritto penale sulla pericolosità del delinquente si correrebbe il rischio di intaccare le garanzie di «legalità» e «certezza» su cui si fonda il diritto.

Pertanto, anche se i criminologi ritengono che lo stato di pericolosità possa essere indipendente dal fatto di reato, in forza del principio nullum crimen sine lege la pericolosità criminale dovrà necessariamente essere legata a un delitto (stigmatizzazione dell'azione ed etichettamento del delinquente) 8.

Ora, volendo esaminare le varie tipologie legali è utile sottolineare come la professionalità venga concepita come un «qualcosa in più» rispetto all'abitualità 9.

Secondo gli artt. 31 della L. 663/1986 e 102 c.p., l'abolizione della pericolosità presunta rileverebbe per l'applicazione delle misure di sicurezza e per ogni altro effetto della pericolosità medesima e per questo non potrà pronunciarsi una dichiarazione di abitualità se non vi è o se viene meno la pericolosità 10.

Per quanto riguarda invece la figura del delinquente per tendenza si tratterebbe di un soggetto pericoloso (pericolosità sociale-qualificata propria della figura del delinquente recidivo abituale o professionale) 11 e con una particolare inclinazione al delitto.

Considerando da ultimo l'istituto del delinquente professionale vediamo come lo stesso rappresenti una forma speciale di abitualità 12: delinquente e contravventore professionale è chi, trovandosi nelle condizioni richieste dalla legge per essere dichiarato delinquente o contravventore abituale possa dirsi che viva abitualmente, anche soltanto in parte, dei proventi del reato 13. La dichiarazione di professionalità - come vedremo più avanti - non può avvenire per presunzione, ma da un esame del giudice volto ad accertare che il singolo colpevole è dedito al reato e ha fatto dell'illecito, ex art. 105 c.p., una sua professione 14. È chiaro allora come per la dichiarazione di professionalità sia richiesta una così complessa serie di dati, riguardanti la natura del reato, la condotta ed il genere di vita dell'agente, ecc., che la qualificazione «non trova frequente applicazione» 15.

@2. Qualificazione giuridica soggettiva.

La professionalità presuppone imputabilità, pericolositàPage 960 oltre che una elevata capacità a delinquere. Si potrebbe considerare come una qualificazione giuridica normativamente regolata, indice di gravità del reato e di antisocialità del soggetto oltre che di probabile recidiva (anche se la legge non autorizza ad asserire che una persona che ha commesso un reato con probabilità ne commetterà altri) 16.

In particolare, per quanto riguarda la recidiva (modificata attraverso la c.d. «ex Cirielli», legge n. 251/2005) 17 nel confronto con la professionalità si considera che mentre la recidiva costituisce circostanza del reato - espressione di «accidentalità» o di «fatto accessorio» 18 - provocando un aumento della pena, la professionalità è una qualificazione giuridica soggettiva. Inoltre, la recidiva esprimerebbe uno specifico disvalore del passato dell'agente mentre la professionalità risulta in base ad un giudizio che muove dal passato verso il futuro 19. Appurato che il delinquente professionale è recidivo, si vuole sottolineare che nel caso della recidiva l'ordinamento individua una reazione sanzionatoria rivolta per lo più alla retribuzione 20 mentre nella professionalità l'ordinamento risulterebbe indirizzato verso la prevenzione speciale.

@3. Il concetto di pericolosità e l'abbandono del sistema presuntivo.

L'attitudine-inclinazione dell'individuo a commettere nuovi reati è alla base del concetto di pericolosità 21 criminale derivante direttamente dal concetto generale di pericolo per l'esistenza del quale occorre la «probabilità» di un soggetto di diventare autore di un reato e precisamente «la... rilevante attitudine di una persona a commettere un reato» 22.

Il legislatore italiano del 1930 definita la pericolosità (e indicati i criteri per il suo accertamento) quale elemento essenziale per la determinazione della pena, accoglieva il principio del «doppio binario» 23 decidendo di affiancare all'imputabilità e al criterio retributivo della pena il principio di pericolosità quale presupposto per l'applicazione delle misure di sicurezza aventi funzione special-preventiva.

Ora, il problema della pericolosità non riguarda tanto l'ammissibilità della categoria dei soggetti pericolosi quanto l'accertabilità scientifica della stessa nel rispetto delle esigenze di legalità e certezza del diritto 24. La verifica della pericolosità pone infatti una questione riguardante la validità scientifica della c.d. «prognosi criminale» 25 incentrata in genere su una «prognosi intuitiva» fondata a sua volta sul «comune modo di pensare». Non deve, allora, meravigliare che un tale metodo venga esposto a forti critiche soprattutto da quella parte della dottrina che ritiene che le scienze criminologiche non riescono a fornire criteri scientificamente attendibili 26. E rilevando inoltre che, nonostante l'abolizione della presunzione di pericolosità, il sistema penale non offre, a tutt'oggi, al giudice di cognizione alcuno strumento per la formulazione del giudizio di pericolosità.

Gran parte della dottrina ha così criticato il sistema presuntivo, sottolineando la presenza di un contrasto che tale meccanismo crea con i principi costituzionali di uguaglianza, di rieducazione della pena, di personalità della sanzione penale e rispetto all'art. 25, terzo comma, Cost., che prescriverebbe il concreto accertamento della pericolosità sociale nel caso di applicazione ed esecuzione delle misure di sicurezza.

Sono così evidenti le incongruenze insite nel sistema presuntivo, riguardante la pericolosità del soggetto, che attualmente nel progetto di riforma del codice penale - reso pubblico recentemente 27 - risultano del tutto assenti le misure di sicurezza.

La critica mossa dalla Commissione proponente si fonda sul fatto che «il sistema delle misure di sicurezza... non si è mai dimostrato vitale ed è stato svuotato dal superamento delle presunzioni di pericolosità» (L. 663/86).

La proposta attuale prevede nel suo Titolo terzo, Capo III (Applicazione delle pene), l'art. 71 (Criteri di commisurazione della pena) in cui si stabilisce: «1. Nei limiti fissati dalla legge il giudice applica la pena con provvedimento motivato, secondo i criteri stabiliti dal presente capo. 2. La pena viene determinata dal giudice, entro il limite della proporzione... avendo riguardo alle finalità di prevenzione speciale, in particolare sotto l'aspetto della reintegrazione del condannato nella società. 3. Ai fini delle determinazioni della pena ai sensi del comma precedente il giudice valuta: (...) d) i comportamenti del colpevole anteriori al reato e le sue condizioni di vita al momento del fatto...»; e all'art. 72 (Orientamento alla prevenzione speciale): «1. In tutte le disposizioni concernenti gli istituti disciplinati da questo titolo, o le misure alternative alla detenzione previste dall'ordinamento penitenziario, il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale, adotta la soluzione più adeguata per finalità di prevenzione speciale. 2. Le valutazioni e valutazioni su scelte sanzionatorie non possono essere motivate da ragioni di esemplarità punitiva o di allarme sociale».

Solo dalla lettura dei due articoli citati emerge l'attuale indirizzo della Commissione rivolto verso la prevenzione speciale quale fine primo della pena insieme alla reintegrazione del condannato. Pertanto emerge chiara la superflua funzione delle misure di sicurezza non più contemplate da questa versione di riforma.

Quindi, dal momento che il giudizio di pericolosità rappresenta un nodo problematico nei confronti della legittima applicazione delle misure di sicurezza, l'esame dell'istituto del delinquente professionale ha dato una prova del...

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