Dei reati in generale

AutoreRaffaele Greco - Andrea Nocera - Sergio Zeuli
Pagine44-304

Page 44

R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398. Approvazione del testo definitivo del codice penale (Gazzetta Ufficiale 26 ottobre 1930, n. 251, S.O.)

VITTORIO EMANUELE III, PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE

RE D’ITALIA

Vista la legge 24 dicembre 1925, n. 2260, che delega al Governo del Re la facoltà di emendare il codice penale;

Sentito il parere della Commissione parlamentare, a’ termini dell’articolo 2 della legge predetta;

Udito il Consiglio dei Ministri;

Sulla proposta del Nostro guardasigilli, Ministro Segretario di Stato per la giustizia e gli affari di culto;

Abbiamo decretato e decretiamo:
1. Il testo definitivo del codice penale portante la data di questo giorno è approvato ed avrà esecuzione a cominciare dal 1° luglio 1931.
2. Un esemplare del suddetto testo definitivo del codice penale, firmato da Noi e contrassegnato dal Nostro Ministro Segretario di Stato per la giustizia e gli affari di culto, servirà di originale e sarà depositato e custodito nell’Archivio del Regno.
3. La pubblicazione del predetto codice si eseguirà col trasmetterne un esemplare stampato a ciascuno dei Comuni del Regno, per essere depositato nella sala comunale, e tenuto ivi esposto, durante un mese successivo, per sei ore in ciascun giorno, affinché ognuno possa prenderne cognizione.

Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserito nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a S. Rossore, addì 19 ottobre 1930.

VITTORIO EMANUELE

MUSSOLINI - ROCCO

Visto, il Guardasigilli: ROCCO

Page 45

LIBRO I

DEI REATI IN GENERALE

TITOLO I

DELLA LEGGE PENALE

1• Reati e pene: disposizione espressa di legge

Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite (1).

(1) L’art. 1, comma 1, della l. 24-11-1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), stabilisce che nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione.

1 • IL PRINCIPIO DI LEGALITÀ

Questa disposizione enuncia uno dei più importanti concetti del diritto penale moderno, il cd. principio di legalità, in forza del quale soltanto la legge può prevedere fatti-reato, perché solo la legge -quale atto di autolimitazione accettato dalla collettività, in base al meccanismo della rappresentanza politica - assicura le necessarie garanzie e i dovuti limiti al potere repressivo dello Stato.

Di conseguenza, il principio di legalità (nullum crimen sine lege, nulla poena sine lege) investe sia il precetto, ossia il comportamento prescritto dalla norma, sia la sanzione.

La dottrina (Mantovani, Antolisei) ritiene che questo principio contenga tre sotto-principi:
il divieto, per fonti non legislative (consuetudine o interpretazione analogica), di determinare un precetto penalmente sanzionato (cd. principio della riserva di legge in senso stretto);
la necessità della certezza e, quindi, della chiarezza del precetto e della sanzione penale che ad esso consegue (cd. principio di tipicità);
l’impossibilità di punire taluno per un fatto non previsto come reato al momento in cui fu da lui commesso (principio di irretroattività, compiutamente disciplinato dal successivo art. 2).

2 • COLLEGAMENTO CON ALTRE NORME

L’art. 1 c.p. è in diretto collegamento con l’art. 25, 2° e 3° comma, Cost. (Pagliaro), secondo cui nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso e nessuno

può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge. Principi, questi, che sono peraltro richiamati anche dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo, recepita con l. n. 848/1955. Altra norma collegata all’articolo in commento è l’art. 14 delle preleggi al codice civile, che, in presenza di leggi penali, fa divieto all’interprete di ricorrere all’analogia legis, espressamente stabilendo che tali leggi “non si applicano al di fuori dei casi e dei tempi in esse considerati”.

Questo divieto è formulato relativamente alle “leggi penali”. Con tale espressione il legislatore ha inteso riferirsi, innanzitutto, alle norme penali incriminatrici, ossia alle disposizioni di carattere sostanziale che prevedono elementi strutturali di reato, ricollegando, al verificarsi delle medesime, sanzioni penali. Ci si è chiesti se tale divieto possa valere anche in relazione a quelle disposizioni che escludono la punibilità. Il problema, in particolare, si è posto per le cd. cause di giustificazione, ossia per quelle fattispecie giuridiche che operano in senso negativo rispetto alla fattispecie di reato. Si è parlato, in tal senso, di analogia in bonam partem, che, secondo una certa interpretazione, sarebbe sempre ammessa nel nostro ordinamento. A fondamento di tale assunto si è negato che queste ultime possano definirsi norme penali in senso stretto, non avendo esse valenza incriminatrice.

Quanto alla riserva di legge, è certamente la più importante espressione del principio di legalità, e sottolinea l’esigenza che i reati, le pene per essi previste e le misure di sicurezza, devono trovare la propria ed esclusiva fonte nella legge. Si parla, a tale proposito, di principio di legalità formale, per

Page 46

1 • Libro I - Dei reati in generale

46

distinguerlo dal principio di legalità sostanziale, che attiene alla cd. “necessaria offensività della condotta-reato” (➠ 49).

Nonostante la sua assolutezza, non tutti gli elementi del reato devono necessariamente essere previsti da una legge; si ammette, infatti, che alcuni atti provenienti da normativa sub-primaria (quali, ad esempio, i provvedimenti amministrativi) possano integrare, intervenendo a livello di elementi marginali, la fattispecie di reato astrattamente delineata dalla legge (è il caso, ad esempio, della fattispecie di cui all’art. 650, il cui contenuto specifico è integrato dal provvedimento amministrativo).

Questo è il fenomeno delle cd. norme penali in bianco, che ricorre quando la legge, nel formulare il precetto, opera un rinvio a fatti produttivi del diritto diver-si dalla legge penale. In questo caso, le norme incriminatrici vengono integrate, nel loro contenuto precettivo, da fonti di diversa natura, di solito di grado inferiore ed anche non normative. Il legislatore formula in tal modo un precetto che rimane sostanzialmente indeterminato, ma determinabile mediante un criterio relazionale, attraverso il rinvio alla fonte subordinata. In ogni caso, i problemi più rilevanti in tema di norme penali in bianco riguardano l’errore su legge penale, ex art. 5 (➠).

3 • LE TIPOLOGIE DI LEGGI “AUTORIZZATE”
ALLA PRODUZIONE DI DIRITTO PENALE

All’opera della giurisprudenza, anche costituzionale, si deve la selezione delle fonti normative della legge penale.

In primo luogo, si è escluso che l’art. 1 contempli le leggi regionali, anche quelle prodotte nelle materie di legislazione esclusiva, perché ciò avrebbe comportato un rischio di disparità di trattamento. Principio oggi espressamente ribadito dall’art. 117 Cost. (come modificato dalla legge costituzionale n. 3/2001), che riserva alla potestà esclusiva dello Stato la legislazione in materia di ordinamento penale.

Compatibile con la riserva di legge è la produzione di norme penali da parte di leggi delegate e di decreti legge (cd. leggi materiali), perché questi atti sono equiparati, nel nostro sistema costituzionale, alle fonti normative primarie, ossia alle leggi formali, beninteso sempre che rispettino le procedure ed i limiti contenutistici imposti dall’art. 76 Cost. Quanto alle relazioni tra riserva di legge statale e diritto comunitario, escluso che l’ordinamento

comunitario, per il tramite delle sue fonti, sia competente a legiferare con effetti diretti nella materia penale degli stati membri, si pone il problema della sua eventuale efficacia riflessa.

Sotto quest’ultimo profilo, è certo che il rapporto tra diritto comunitario e diritto interno è, come in tutti gli altri casi, un rapporto di prevalenza/recessione, di tal che il giudice penale è legittimato ad operare una sorta di disapplicazione indiretta in caso ravvisi il contrasto di una norma incriminatrice statale con un principio comunitario. Ciò può accadere certamente allorquando l’inibitoria comunitaria operi in senso favorevole al reo, limitando l’operatività di una fatti-specie incriminatrice; non tutti sono invece d’accordo allorquando dall’applicazione del principio comunitario possa derivare un trattamento deteriore all’imputato. Il caso si è posto ed è stato favorevolmente risolto con riferimento alla contestazione del reato di esercizio abusivo della professione, nei confronti di un avvocato tedesco (a quest’ultimo era contestata la violazione di cui all’art. 348 c.p.), e si è nuovamente proposto con riferimento alle attività di scommessa, non gestite dallo Stato italiano (con riferimento all’art. 4 della L. n. 401/1989). Recentemente, sia la Cassazione (sez. III, n. 16298) sia la Corte di Giustizia (cause riunite C-338/04, C-3 59/04 C-360-04) hanno riconosciuto, in materia di attività di scommessa, che il monopolio che lo Stato italiano, anche rinforzando la propria determinazione attraverso la previsione di apposite fattispecie di diritto penale, intende esercitare in questo ambito è illegittimo in quanto contrasta con gli artt. 43 e 49 del Trattato U.E.

La questione inversa si è posta con riferimento alla nuova disciplina del falso in bilancio. In questo caso, la questione era stata rimessa alla Corte di giustizia, perché l’art. 6 della cd. prima direttiva CEE imponeva l’obbligo a carico degli Stati membri di prevedere adeguate sanzioni per i casi di mancata pubblicità del bilancio, ed il legislatore nazionale con il D.Lgs. n. 61/2002 aveva invece sensibilmente...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT