Decisioni della Corte

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@CORTE COSTITUZIONALE 30 marzo 1999, n. 101 (ud. 22 marzo 1999). Pres. Granata - Est. Zagrebelsky - Imp. X.

Favoreggiamento - Personale - Ritrattazione - Soggetto richiesto dalla polizia giudiziaria di fornire informazioni ai fini delle indagini - Dichiarazioni false o reticenti - Causa di non punibilità - Omessa previsione - Illegittimità costituzionale.

È costituzionalmente illegittimo l'art. 376, primo comma, c.p. nella parte in cui non prevede la ritrattazione come causa di non punibilità per chi, richiesto dalla polizia giudiziaria, delegata dal pubblico ministero a norma dell'art. 370 del codice di procedura penale, di fornire informazioni ai fini delle indagini, abbia reso dichiarazioni false ovvero in tutto o in parte reticenti. (C.p., art. 376) (1).

    (1) Cfr., in argomento, Cass. pen., sez. VI, 22 dicembre 1997, Todini, in questa Rivista 1998, 520 e Cass. pen., sez. VI, 5 aprile 1991, Tonarelli, ivi 1992, 189.

RITENUTO IN FATTO. 1. - La Corte d'appello di Torino solleva, con ordinanza del 6 febbraio 1998, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 376, primo comma, c.p. (Ritrattazione), nella parte in cui non stabilisce che la speciale causa di non punibilità ivi prevista valga anche in relazione al reato di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.) che sia integrato da false o reticenti dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, allorché questa proceda al compimento dell'atto su delega del pubblico ministero, ai sensi dell'art. 370, comma 1, secondo periodo, c.p.p.

Ad avviso del giudice a quo l'impossibilità di applicare la norma sulla ritrattazione al reato di favoreggiamento personale, commesso mediante false informazioni alla polizia giudiziaria delegata dal pubblico ministero, determina una irragionevole disparità di trattamento di casi analoghi e assimilabili.

Il rimettente muove dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, che da un lato individua appunto nella fattispecie del favoreggiamento personale quella cui riferire la condotta del falso dichiarativo alla polizia giudiziaria, e che dall'altro esclude, per il principio di stretta legalità, che la stessa condotta possa essere inquadrata nel titolo di reato di cui all'art. 371 bis c.p. (False informazioni al pubblico ministero), anche quando la polizia giudiziaria operi su specifica delega del pubblico ministero.

Poste tali premesse, ed essendo consentita in un caso (art. 371 bis) e nell'altro invece esclusa (art. 378) la possibilità per il falso dichiarante di giovarsi degli effetti sostanziali della ritrattazione, la differenziazione di disciplina che ne risulta appare al rimettente irrazionale, alla luce sia dell'identità dei beni giuridici coinvolti nei due casi, sia della stessa collocazione «cronologica» delle dichiarazioni poi ritrattate, in entrambi i casi inserite nella fase, procedimentale e non processuale, delle indagini preliminari.

La corte d'appello ricorda che nel passaggio del testo del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, alla legge di conversione 7 agosto 1992, n. 356, il legislatore ha eliminato, dalla fattispecie dell'art. 371 bis c.p. quale introdotta appunto dal decreto legge, il riferimento alle false dichiarazioni alla «polizia giudiziaria». Ma, se ciò è indice della volontà legislativa di estromettere dall'area di applicazione della nuova fattispecie penale le informazioni false o reticenti rese alla polizia giudiziaria, allorché questa agisca di propria iniziativa, non altrettanto sicura - secondo il rimettente - è la finalità di distinguere, rispetto alla nuova fattispecie, il caso in cui la polizia giudiziaria agisca su delega del pubblico ministero, giacché in tale ipotesi essa esercita un potere-dovere derivato dall'organo di accusa, contrassegnato dai caratteri della subordinazione e dell'esecutività, e dunque suscettibile logicamente della medesima tutela che sul piano sostanziale è apprestata relativamente alla falsa dichiarazione resa direttamente dinanzi al pubblico ministero.

A rafforzare questa prospettiva - prosegue la corte d'appello rimettente - vale il rilievo della complessiva equiparazione processuale, quanto a regole di svolgimento dell'atto, quanto a prescrizioni di contenuto, e quanto a utilizzazione nel processo, tra le informazioni rese al pubblico ministero e le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria dal primo delegata.

Benché «livellate» sul piano del processo, dunque, in particolare sotto il profilo della sostanziale identità di valenza probatoria qualora «recuperate» al dibattimento, le due categorie di dichiarazioni in argomento sono diversificate solo sotto il profilo denunciato di incostituzionalità: con il paradosso, rileva il giudice a quo di annettere efficacia a una ritrattazione di dichiarazioni rese al magistrato, e di negarla per quelle rese alla polizia giudiziaria delegata dal magistrato.

Il dubbio di costituzionalità è altresì prospettato alla luce della sentenza n. 416 del 1996 della Corte costituzionale: in questa decisione, riguardante altra speciale causa di non punibilità (art. 384, secondo comma, c.p.), la Corte costituzionale, nell'estendere detta causa anche alle false o reticenti informazioni rese alla polizia giudiziaria e costituenti favoreggiamento personale, ha posto in risalto la medesima rilevanza, nel processo, delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria e al pubblico ministero, e ha anche sottolineato la «paritaria gravità dei fatti», desumibile dalle determinazioni del legislatore circa la misura della pena, essendo oggi identica la reclusione comminata rispettivamente nell'art. 371 bis e nell'art. 378 c.p.

Appare conclusivamente al giudice a quo irragionevole la lacuna normativa denunciata, poiché non applicare la ritrattazione alle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria delegata dal pubblico ministero frustra l'interesse a incentivare le condotte idonee a neutralizzare, fin dove è possibile, la negativa incidenza delle originarie false dichiarazioni sul corretto svolgimento del processo. Page 426

  1. - È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che - richiamando e allegando altro atto di intervento, depositato in precedente giudizio di costituzionalità - ha concluso per l'infondatezza della questione.

    Secondo l'Avvocatura, la nuova fattispecie incriminatrice dell'art. 371 bis c.p. - originariamente comprensiva anche delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria, previsione questa poi soppressa in sede di conversione del D.L. n. 306 del 1992 - è rivolta a garantire l'osservanza dell'obbligo di dichiarare quanto sia personalmente conosciuto, obbligo stabilito a carico delle persone esaminate dal pubblico ministero a norma dell'art. 362 c.p.p.; tali persone, pur non rivestendo la qualità di testimoni, tuttavia ne ripetono i doveri e le facoltà, stabiliti negli artt. 197-203 dello stesso codice.

    Si tratta dunque di una tutela penale apprestata in relazione a dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria, rappresentata dal magistrato del pubblico ministero, che possono avere rilievo investigativo e che possono, nel prosieguo del giudizio, anche assumere il valore di prova.

    Inoltre l'Avvocatura dello Stato ricorda che, anche alla luce della sopra ricordata modifica del testo del decreto in sede di conversione, è dato acquisito, in giurisprudenza, che il reato previsto dall'art. 371 bis c.p. non sia configurabile allorché le dichiarazioni false o reticenti vengano rese non al pubblico ministero ma alla polizia giudiziaria, sia che questa assuma le informazioni di propria iniziativa sia che ciò faccia su delega del pubblico ministero.

    Il legislatore, in tal modo, ha ritenuto di diversificare le false dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da soggetti diversi dall'indagato, a seconda dell'autorità che ne è destinataria, assimilando solo l'ipotesi delle dichiarazioni rese al pubblico ministero allo schema del reato di falsa testimonianza, con una scelta...

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