Decisioni della Corte

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine987-990

Page 987

@CORTE COSTITUZIONALE 31 luglio 2000, n. 406 (ud. 13 luglio 2000). Pres. Mirabelli - Rel. Flick - Imp. X.

Tribunali militari - Procedimento - Richiesta - Preclusione della proposizione in caso di irrogazione di sanzione disciplinare - Omessa previsione - Questione non fondata di legittimità costituzionale.

Non è fondata, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 260, secondo comma, del codice penale militare di pace, nella parte in cui non prevede che la richiesta di procedimento del comandante di corpo - alla quale è subordinata la perseguibilità dei reati per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione militare non superiore a sei mesi - non possa più essere proposta quando per lo stesso fatto sia stata irrogata la sanzione disciplinare della consegna di rigore. (C.p.m.p., art. 260) (1).

    (1) Nel senso che la richiesta di procedimento penale possa essere ugualmente avanzata anche quando, per i medesimi fatti per cui si procede, sia stata già inflitta la sanzione disciplinare della consegna di rigore, v. Cass. pen., sez. I, 26 gennaio 1999, Valdrighi, in questa Rivista 1999, 606.


RITENUTO IN FATTO. 1. - Con ordinanza emessa il 29 aprile 1999 la corte militare di appello ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 260, secondo comma, del codice penale militare di pace, nella parte in cui non preclude la proposizione della richiesta di procedimento, da parte del comandante di corpo, quando per lo stesso fatto sia già stata inflitta la sanzione disciplinare della consegna di rigore.

Il rimettente premette, in punto di fatto, di essere investito, come giudice del rinvio, del procedimento promosso nei confronti di due soldati per i reati di concorso in percosse continuate e concorso in ingiuria continuata (artt. 110 e 81 c.p., 222 e 226 del codice penale militare di pace), reati entrambi perseguibili a richiesta del comandante di corpo ai sensi dell'art. 260, secondo comma, del codice penale militare di pace; nonché per il reato di concorso in minaccia aggravata (artt. 110 c.p. e 229, primo e terzo comma, del codice penale militare di pace), reato perseguibile bensì d'ufficio a fronte della contestazione dell'aggravante del «modo simbolico» della minaccia, di cui all'art. 339 c.p., ma in rapporto al quale la sussistenza di tale aggravante è stata contestata dal difensore nei motivi di appello sulla base di argomenti prima facie non infondati.

Gli imputati erano stati prosciolti in primo grado dal Tribunale militare di Padova - con sentenza successivamente confermata dalla Corte militare di appello, sezione distaccata in Verona - in ragione della ritenuta illegittimità della richiesta di procedimento sulla base della quale era stata esercitata l'azione penale, in quanto proposta dal comandante di corpo dopo che lo stesso aveva inflitto agli imputati, per i medesimi fatti, la sanzione disciplinare della consegna di rigore (rispettivamente, per dieci e sette giorni). A tale conclusione il giudice di prime cure era approdato facendo leva sull'art. 65, comma 7, lettera a), del regolamento di disciplina militare, approvato con D.P.R. 18 luglio 1986, n. 545, a mente del quale la sanzione disciplinare della consegna di rigore non è più irrogabile quando per lo stesso fatto sia stato chiesto il procedimento penale: regola, questa, che non avrebbe avuto senso se non ammettendo la reciproca, e cioè che non possa più essere chiesto il procedimento penale quando sia stata inflitta la sanzione disciplinare.

La tesi non era stata peraltro condivisa dalla Corte di cassazione, la quale - ritenendo che la preclusione all'esercizio dell'azione penale sia istituto di carattere eccezionale, che deve costituire oggetto di espressa previsione legislativa, nella specie mancante - aveva annullato con rinvio la sentenza di secondo grado impugnata, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte militare di appello di Roma.

Posto, dunque, che nel giudizio di rinvio la questione interpretativa concernente la validità della richiesta di procedimento non può più essere posta in discussione a fronte del principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione, il giudice a quo rileva come il citato art. 65, comma 7, lettera a) del regolamento di disciplina (pedissequamente riprodotto nella nota introduttiva all'elenco dei «Comportamenti che possono essere puniti con la consegna di rigore», di cui all'allegato C del regolamento stesso) - nel prevedere che la consegna di rigore possa essere inflitta anche per fatti costituenti reato, ma solo nei casi nei quali «il comandante di corpo non ritenga di richiedere il procedimento» - venga a sancire, in deroga alla normale cumulabilità tra sanzione penale e sanzione disciplinare, l'alternatività tra la prima e la consegna di rigore. Siffatta deroga sarebbe invero giustificata dal peculiare carattere della sanzione disciplinare avuta di mira, la quale (comportando, ai sensi dlel'art. 14, comma 5, della legge 11 luglio 1978, n. 382, «il vincolo di rimanere, fino al massimo di quindici giorni, in apposito spazio dell'ambiente militare - in caserma o a bordo di navi - o nel primo alloggio, secondo le modalità stabilite nel regolamento di disciplina») inciderebbe, al pari della sanzione penale, su aspetti essenziali della libertà individuale, presentando quindi, in sostanza, il medesimo contenuto afflittivo.

In quest'ottica, la possibilità di un'applicazione congiunta delle due sanzioni si tradurrebbe in un'inammissibile compressione della libertà individuale dell'autore dell'illecito, il quale, per lo stesso fatto, verrebbe ad essere punito due volte con misure di analogo contenuto, ponendo così la norma denunciata in contrasto con l'art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i...

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