L'abuso d'ufficio commesso dal custode di beni sequestrati in procedimento giudiziario (o amministrativo) che percepisca indebitamente somme da privati

AutoreMario De Bellis
Pagine1127-1133

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@1. I termini della questione.

La sentenza che si annota (Cass., sez. VI, 15 gennaio 2007, Polidori) enuncia i seguenti principi:

- il custode di beni sequestrati in procedimento giudiziario (o amministrativo) è da ritenersi incaricato di servizio pubblico, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 358 c.p.;

- detto soggetto, ove pretenda ed ottenga dai proprietari dei beni in sequestro in procedimenti giudiziari o amministrativi delle somme per procedere alla restituzione dei beni, laddove invece gli oneri di custodia siano interamente a carico dello Stato, commette il reato di cui all'art. 323 c.p. 1;

- detto soggetto, ove pretenda ed ottenga dai proprietari dei beni in sequestro in procedimenti amministrativi, per procedere alla restituzione dei beni, delle somme superiori alle tariffe previste nei decreti prefettizi che stabiliscono l'entità delle spese di custodia, commette il reato di cui all'art. 323 c.p.;

- in tale ultimo caso la violazione dei decreti prefettizi che determinano in concreto le tariffe locali di custodia rileva come violazione di norma regolamentare in quanto detti decreti derivano la loro efficacia dalla previsione del D.P.R. 571 del 1982, il quale rinvia alle tariffe e agli usi locali per la quantificazione delle spese di custodia;

- la circostanza che la normativa disciplinante la materia dell'onere delle spese di custodia sia stata modificata successivamente alla commissione del fatto è irrilevante, in quanto nell'art. 323 c.p. la violazione di legge si pone come mero presupposto di fatto per l'integrazione del reato, senza che lo specifico contenuto della norma violata si incorpori nel precetto penale e diventi elemento costitutivo della relativa fattispecie; ne consegue che, in caso di abrogazione o di modificazione successiva della legge violata, non trova applicazione l'art. 2 c.p. riguardando essa una disposizione extrapenale.

@2. Il custode come incaricato di pubblico servizio.

La sentenza che si annota dà per pacifica la qualifica di incaricato di pubblico servizio del custode giudiziario (o in procedimenti amministrativi). In effetti, vi è un solo e remoto precedente in termini 2 sulla attribuzione della predetta qualifica ad un custode di cose sequestrate. La giurisprudenza si è comunque sporadicamente pronunciata su fattispecie in certa misura analoghe, riconoscendo la qualità di incaricato diPage 1128 pubblico servizio al custode di eredità giacente 3 ed al custode di cimiteri 4.

Il testo dell'art. 358 c.p. antecedente al 1990 definiva incaricato di pubblico servizio colui che, quale pubblico impiegato od altrimenti, prestasse, permanentemente o temporaneamente, gratuitamente o con retribuzione, volontariamente o per obbligo, un pubblico servizio. La legge 26 aprile 1990 n. 86, nel modificare detto articolo, ha precisato che il pubblico servizio deve essere disciplinato da norme di diritto pubblico o da atti autoritativi, che detto pubblico servizio non si esplicita attraverso i poteri propri della pubblica funzione (manifestazione della volontà della amministrazione, esplicitazione di poteri autoritativi o certificativi) ed al contempo non deve nemmeno compendiarsi in semplici mansioni d'ordine o prestazioni d'opera meramente materiali.

Ora, le attività inerenti all'attività di custodia di beni soggetti a sequestro giudiziario od amministrativo rientrano tra quelle di pertinenza della pubblica amministrazione e sono regolate da norme di diritto pubblico (il codice di procedura penale ed il testo unico sulle spese di giustizia, la legge 24 novembre 1981 n. 689 e il D.P.R. 29 luglio 1982 n. 571); in particolare, dalle disposizioni contenute nelle norme anzidette discende che al custode sono attribuiti compiti di vigilanza per la tutela dell'integrità del bene in sequestro; tali compiti, se non valgono all'attribuzione della qualità di pubblico ufficiale al custode, implicano ambiti concettuali di responsabilità e cognizione normativa, onde, dovendosi escludere tali attività dal quadro delle semplici mansioni d'ordine o di prestazione di opera meramente materiale, deve concluduersi che al detto custode va riconosciuta la qualifica di incaricato di pubblico servizio ai sensi dell'art. 358 c.p.

@3. La violazione dei decreti prefettizi che stabiliscono l'entità delle spese di custodia nel sequestro amministrativo.

La sentenza che si annota contiene l'enunciazione del principio che - facendosi il custode (in caso di sequestro amministrativo) pagare somme eccedenti quanto previsto dai decreti prefettizi che stabiliscono l'entità delle spese di custodia - la violazione dei suddetti decreti prefettizi rileva come violazione di norma regolamentare, in quanto detti decreti derivano la loro efficacia dalla previsione del D.P.R. 571 del 1982, il quale rinvia alle tariffe e agli usi locali per la quantificazione delle spese di custodia.

Tale affermazione non appare condivisibile. Si osserva innanzitutto che l'art. 12 del D.P.R. 29 luglio 1982 n. 571 prevede che il custode, in caso di sequestro amministrativo, ha diritto al rimborso di tutte le spese sostenute per assicurare la conservazione delle cose sequestrate, che siano idoneamente documentate e che la liquidazione delle somme dovute al custode, ivi comprese quelle sostenute per gli ausiliari, è effettuata dall'autorità amministrativa, tenuto conto delle tariffe vigenti e degli usi locali, a richiesta del custode dopo che sia divenuto inoppugnabile il provvedimento che dispone la confisca ovvero sia stata disposta la restituzione delle cose sequestrate. L'art. 11 del predetto D.P.R. 571 del 1982 prevede altresì che le spese di custodia delle cose sequestrate siano anticipate dall'amministrazione cui appartiene il pubblico ufficiale che ha eseguito il sequestro e che, salvo che in ordine alla violazione amministrativa sia pronunciata ordinanza di archiviazione (ovvero sentenza irrevocabile di accoglimento dell'opposizione proposta avverso l'ordinanza-ingiunzione o contro l'ordinanza che dispone la sola confisca ovvero che ricorra l'ipotesi di cui all'ultimo comma dell'art. 14 della legge o si sia verificata la prescrizione di cui al primo comma dell'art. 28 della legge), le spese di custodia devono essere poi rimborsate dal trasgressore e dai soggetti obbligati in solido con costui, ovvero dal diverso soggetto a favore del quale è disposta la restituzione delle cose sequestrate.

Ci si deve dunque chiedere se il rinvio alle tariffe vigenti ed agli usi locali fatto dal D.P.R. 571 del 1982 sia realmente idoneo a qualificare come norme di regolamento quelle contenute nei decreti prefettizi che quantificano a livello provinciale le tariffe di custodia.

Per nulla univoca è infatti la nozione di regolamento, che ha assunto nel linguaggio giuridico una varietà di significati tale da rendere difficile l'estrapolazione di una nozione unitaria 5.

Un serie di provvedimenti costituenti fonti secondarie che, secondo certa dottrina 6 rivestono natura regolamentare, assumono di fatto denominazioni diverse: ordinanze, decreti, bandi, istruzioni...

Una definizione di regolamento si trova nell'art. 14 D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 (disciplina dei ricorsi amministrativi), che lo qualifica come «atto amministrativo generale a contenuto normativo».

Regolamenti possono essere emanati da: a) organi statali (si veda quanto si dirà più oltre sulla legge 23 agosto 1988 n. 400);

b) regioni, province e comuni, ai quali il potere regolamentare è attribuito dall'art. 117 comma 6 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, nonché per Province e Comuni anche dalla legge 8 giugno 1990 n. 142, poi modificata con D.L.vo 18 agosto 2000 n. 267;

c) altri enti ed organi (ordini professionali, camere di commercio, aziende speciali dei comuni...).

Nel dettare una disciplina organica dell'attività di governo e dell'attività della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la legge 23 agosto 1988 n. 400 (come modificata dalla legge 59/1997 e dal decreto legislativo 300/1999) ha poi dato una classificazione di estremo interesse in materia di regolamenti emanati da organi statali. Essi inftti possono essere emanati per disciplinare:

a) l'esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi; b) l'attuazione ed integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio (escluse le materie riservate alla competenza regionale);

c) le materie in cui manchi la disciplina di parti di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge;

d) l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge;

e) l'organizzazione del lavoro ed i rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti in base ad accordi sindacali.

Altra classificazione desumibile sempre dal predetto art. 17 della legge 23 agosto 1988 n. 400 è quella (nell'ambito dei provvedimenti normativi statali) fra: a) regolamenti governativi (adottati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione delPage 1129 Consiglio dei Ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta).

b) regolamenti adottati con decreto ministeriale (nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere);

c) regolamenti adottati con decreto interministeriale (per materie di competenza di più ministri, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge).

Mentre autorevole dottrina 7 ritiene che il termine «regolamento» rilevante ai fini dell'art. 323 c.p. non susciti particolari problemi di ordine interpretativo, essendone chiaro il significato di fonte di normazione secondaria tipica della pubblica amministrazione, altro autore 8 ritiene che la nozione di regolamento rilevante ai fini dell'art. 323 c.p...

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