Illegittimità costituzionale dell'art. 61, n. 11 bis, c.p. e poteri del giudice dell'esecuzione

AutoreNuzzo Francesco
Pagine654-658
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giur
6/2012 Rivista penale
LEGITTIMITÀ
costituzionali che regolano l’intervento repressivo penale
e che impediscono di ritenere costituzionalmente giusta, e
perciò eseguibile, anche soltanto una frazione della pena,
se essa consegue all’applicazione di una norma contraria
a Costituzione. D’altronde, proprio la sentenza della Corte
costituzionale n. 249 del 2010 pare attestare, con la dichia-
razione d’illegittimità costituzionale in via consequenziale
dell’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., (limitatamente alle
parole «e per i delitti in cui ricorre l’aggravante di cui al-
l’art. 61, primo comma, numero 11 bis), del medesimo codi-
ce»),l’incompatibilità a Costituzione di una sopravvivenza
al giudicato persino degli effetti penali dell’aggravante di
cui si discute. Mentre sul piano obiettivo non può negarsi,
per converso, che detta dichiarazione d’illegittimità co-
stituzionale in via consequenziale non sarebbe forse stata
necessaria se si fosse ritenuta praticabile la via della re-
voca parziale ex art. 673 c.p.p. 4. In conclusione, ritiene
il Collegio che possa affermarsi che gli artt. 136 Cost. e
30, commi terzo e quarto, legge n. 87 del 1953, ostano alla
esecuzione della porzione di pena inf‌litta dal giudice della
cognizione in conseguenza dell’applicazione di una circo-
stanza aggravante dichiarata costituzionalmente illegitti-
ma. Spetta per conseguenza al Giudice dell’esecuzione il
compito di individuare la porzione di pena corrispondente
e di dichiararla non eseguibile, previa sua determinazione
ove la sentenza del giudice della cognizione abbia omesso
di individuarla specif‌icamente, ovvero abbia proceduto,
come nel caso in esame, al bilanciamento tra circostanze.
5. Per tali ragioni, va dichiarata la non eseguibilità
della sentenza del G.i.p. del Tribunale di Verona, pronun-
ciata in data 4 febbraio 2010 e divenuta def‌initiva l’8 mar-
zo 2010, nei confronti di X, nella parte in cui ha applicato
l’aggravante di cui all’art. 61, n. 11 bis, c.p., e l’ordinanza
impugnata deve essere annullata con rinvio al medesimo
G.i.p., perché, quale giudice dell’esecuzione, provveda alla
determinazione della pena che non può essere posta in
esecuzione riferibile a detta aggravante, nonché di quella
residua, che é invece da eseguire.
ILLEGITTIMITÀ
COSTITUZIONALE DELL’ART. 61,
N. 11 BIS, C.P. E POTERI DEL
GIUDICE DELL’ESECUZIONE
di Francesco Nuzzo
Con sentenza dell’8 luglio 2010, n. 249, la Corte costi-
tuzionale ha dichiarato in contrasto con gli artt. 3, comma
1, e 25, comma 2, Cost. la disposizione dell’art. 61, n. 11
bis, c.p., che aggravava il reato ove il colpevole si trovas-
se “illegalmente sul territorio nazionale”, rimovendo una
disarmonia introdotta dalla l. 24 luglio 2008, n. 125, la
quale anticipava un trend normativo inteso a soddisfare
la logica di tutele securitarie e assai redditizie in chiave
elettorale, e a dare risposte emotivamente rassicuranti ad
un’opinione pubblica sempre più preoccupata degli effetti
criminogeni delle dinamiche migratorie.
La decisione è ancorata a solidi valori di civiltà giuridi-
ca: comportamenti pregressi dei soggetti - nella specie, l’in-
gresso clandestino nel territorio dello Stato - non possono
giustif‌icare regole penali che attribuiscano preminenza,
indipendentemente dalla necessità di salvaguardare altri
interessi di rilievo costituzionale, a una qualità personale
e la trasformino, con la norma considerata discriminato-
ria, in un vero “segno distintivo” delle persone rientranti
in una data categoria, da trattare in modo speciale e dif-
ferenziato rispetto a tutti gli altri cittadini. Non sarebbe
nemmeno ragionevole e suff‌iciente la f‌inalità di fronteg-
giare l’immigrazione illegale, poiché questo scopo non può
essere perseguito in maniera obliqua, qualif‌icando più
gravi i comportamenti degli stranieri irregolari rispetto a
identiche condotte poste in essere da cittadini italiani o
comunitari (1).
La corrispondenza dell’art. 61, n. 11 bis, c.p. alla Car-
ta fondamentale era stata posta in dubbio sin dalla sua
entrata in vigore, volta che la disposizione, ponendosi
in rotta di collisione con i valori dello Stato liberale cui
l’ordinamento italiano si ispira, accresceva il trattamento
punitivo dello straniero per il mero fatto che il soggetto
fosse presente sul suolo italiano in violazione della legge,
a prescindere dall’incidenza che la clandestinità avesse
avuto nel favorire, agevolare o rendere possibile il reato
commesso. Il messaggio, che la nuova circostanza recepi-
va e allo stesso tempo veicolava, si traduceva nell’assunto
implicito che gli immigrati clandestini fossero per ciò stes-
so “nemici” dell’ordine costituito, da trattare in ogni caso
con rigore punitivo maggiore rispetto a quello riservato ai
delinquenti-cittadini. Una sorta, dunque, di “diritto penale
del nemico” banalizzato e involgarito in una contingente
versione italiana (2).
Codesta disciplina, differenziando le persone in ra-
gione dell’origine nazionale e delle condizioni personali,
è vietata, tra l’altro, dagli artt. 2 e 7 della Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo, dall’art. 14 della Conven-
zione europea dei diritti dell’uomo e dall’art. 26 del Patto
internazionale sui diritti civili e politici.
Le ricadute della pronuncia di incostituzionalità, come
è facile immaginare, si sono manifestate sul duplice ver-
sante dei procedimenti penali in corso e di quelli def‌initi
con sentenze irrevocabili, nei quali la c.d. “aggravante
della clandestinità” ha inf‌luito sulla quantif‌icazione della
pena. Di qui l’esigenza di individuare i percorsi idonei a
eliminare il carico sanzionatorio che la suddetta circo-

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