Corte di Cassazione Civile sez. i, 6 Febbraio 2015, N. 2265

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giur
9/2015 Arch. giur. circ. e sin. strad.
LEGITTIMITÀ
D’altra parte la carenza della motivazione abbraccereb-
be l’intero tema della responsabilità.
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
La Corte d’appello, alla quale la prima questione giuri-
dica era già stata sottoposta, ha mostrato, nel disattender-
la, di fare applicazione dell’orientamento condiviso dalla
giurisprudenza di legittimità e da questo stesso Collegio,
secondo cui integra il reato di cui all’art. 495 c.p. la condot-
ta di colui che, privo di documenti di identif‌icazione, forni-
sca ai Carabinieri, nel corso di un controllo stradale, false
dichiarazioni sulla propria identità, considerato che dette
dichiarazioni - in assenza di altri mezzi di identif‌icazione -
rivestono carattere di attestazione preordinata a garantire
al pubblico uff‌iciale le proprie qualità personali, e, quindi,
ove false, ad integrare la falsa attestazione che costituisce
l’elemento distintivo del reato di cui all’art. 495, nel testo
modif‌icato dalla legge n. 125 del 2008, rispetto all’ipotesi
di reato di cui all’art. 496 c.p. (sez. V, sentenza n. 3042 del
3 dicembre 2010 ud. (dep. 27 gennaio 2011) Rv. 249707;
conforme: n. 19963 del 2009 Rv. 244004).
Va qui ribadito, dunque, quanto osservato nella mo-
tivazione di tale sentenza, e cioè che deve trovare appli-
cazione l’articolo 495 c.p.- e non l’articolo 496 c.p., che è
norma residuale rispetto alla prima - quando, come nel
caso di specie, la dichiarazione falsa sulle generalità si
conf‌iguri come una vera e propria “attestazione” al pubbli-
co uff‌iciale, elemento quest’ultimo presente e connotante
in forma specif‌ica la norma dell’articolo 495 soltanto.
E tale attestazione ricorre quando le false di dichiara-
zioni sulla propria identità siano fornite agli agenti ope-
ranti che trovino il soggetto privo di documenti d’identità,
di modo che, per l’assenza di altri mezzi di identif‌icazione,
la dichiarazione del prevenuto costituisce vera e propria
attestazione tesa a garantire ai pubblici uff‌iciali le proprie
qualità personali. Si tratta di una argomentazione in dirit-
to che, già esposta correttamente dal giudice a quo, viene
criticata in maniera generica dal ricorrente, oltretutto in-
dicando come elemento descrittivo fra le due fattispecie,
quello della destinazione della dichiarazione ad essere
trascritta su atto pubblico, invece non presente nel testo
dell’articolo 495 c.p..
Non può poi farsi a meno di sottolineare la non apprez-
zabilità dell’interesse alla diversa qualif‌icazione giuridica
in un caso nel quale, oltre a non contestarsi comunque la
ricorrenza della fattispecie dell’articolo 496, è stata irro-
gata una pena pari al minimo edittale, che è identico per
entrambe le norme sopra richiamate.
Infondato è anche l’ulteriore motivo di ricorso.
Inesistente è la nullità che deriverebbe dalla violazione
dell’articolo 546 lett. f, posto che il dispositivo è destinato
a contenere la sola formula conclusiva, secondo gli sche-
mi delineati nel capo secondo, titolo terzo, libro settimo,
del codice di rito, mentre in nessuna disciplina positiva è
previsto che il dispositivo debba contenere quanto preteso
dal ricorrente e cioè “l’indicazione dei criteri inerenti al
calcolo e alla scelta della sanzione”.
Invece, in relazione al più ampio vizio della motivazio-
ne, la doglianza è addirittura inammissibile per generici-
tà, per quanto concerne il tema della responsabilità.
Essa è poi destituita di fondamento per quanto concer-
ne l’indicazione dei criteri inerenti la determinazione del
trattamento sanzionatorio, essendosi, la Corte territoriale,
attenuta al principio più volte ribadito dalla giurispruden-
za di legittimità, secondo cui il dovere del giudice di dare
ragione del corretto esercizio del potere discrezionale, in
tema di determinazione della pena, è preteso in manie-
ra cogente nei casi nei quali lo stesso si discosti apprez-
zabilmente del minimo edittale (v. tra le molte, sez. VI,
sentenza n. 2925 del 18 novembre 1999 ud. (dep. 9 marzo
2000 ) Rv. 217333; sez. VI, sentenza n. 35346 del 12 giu-
gno 2008 ud. (dep. 15 settembre 2008 ) Rv. 241189; sez.
I, sentenza n. 24213 del 13 marzo 2013 ud. (dep. 4 giugno
2013 ) Rv. 255825). Ma quando come nel caso di specie sia
stato irrogato, appunto, il minimo edittale, è suff‌iciente la
motivazione che faccia riferimento al fatto che è stata va-
lutata negativamente la personalità dell’imputato, gravato
da precedenti penali, tali da avere giustif‌icato, peraltro,
la contestazione della recidiva specif‌ica reiterata e infra
quinquennale: si tratta infatti di una motivazione che non
solo fa riferimento - sia pure implicito - ma non formale,
ai criteri indicati nell’art. 133 c.p.p., ma che, soprattutto,
viene censurata dalla difesa senza indicazione degli ele-
menti favorevoli, di fatto, - in ipotesi trascurati dai giudici
- capaci di sostenere la doglianza. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE
SEZ. I, 6 FEBBRAIO 2015, N. 2265
PRES. FORTE – EST. ACIERNO – P.M. ZENO (CONF.) – RIC. PEPINO ED ALTRO
(AVV. DAVOLI ED ALTRO) C. ALLIANZ S.P.A. ED ALTRO
Appello civile y Appellabilità (provvedimenti ap-
pellabili) y Sentenza y Sinistri stradali disciplinati
dall’art. 3, L. n. 102/2006 y Abrogazione ad opera
della L. n. 69/2009 y Sentenza ancora impugnabile
all’epoca dell’abrogazione y Applicazione in appello
del rito del lavoro y Necessità y Impugnazione pro-
posta con citazione y Irrilevanza.
. In tema di sinistri stradali regolati dall’art. 3 della
legge 21 febbraio 2006, n. 102, qualora la decisione di
primo grado, al momento dell’abrogazione di tale di-
sciplina a seguito dell’entrata in vigore della legge 18
giugno 2009, n. 69, fosse ancora impugnabile, la cau-
sa, ai sensi dell’art. 53, comma 2, della legge n. 69 cit.,
deve considerarsi pendente, sicché, in caso di giudizio
di primo grado instaurato con il rito del lavoro, in ap-
pello debbono essere osservati i termini perentori per
il deposito del ricorso di cui all’art. 434 cod. proc. civ.,
senza che rilevi l’avvenuta proposizione del gravame
con atto di citazione. (l. 21 febbraio 2006, n. 102, art. 3;
l. 18 giugno 2009, n. 69, art. 53; c.p.c., art. 327; c.p.c.,
art. 433; c.p.c., art. 434) (1)

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