Corte di cassazione penale sez. VI, 17 gennaio 2014, n. 1826 (ud. 24 ottobre 2013)

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4/2014 Rivista penale
LEGITTIMITÀ
mente soffermata sul tema dirimente, relativo alla forma-
zione antinfortunistica erogata dal Mariotti in materia di
sicurezza, rispetto alle lavorazioni in concreto delegate ai
dipendenti.
Invero, la Corte territoriale ha chiarito che, nel caso
di specie, vi era stata una specif‌ica attività formativa, pia-
nif‌icata dal Mariotti e realizzata all’interno della azienda,
in favore dello Zotti, consistita nell’aff‌iancamento ad un
lavoratore esperto. Con la precisazione che al dipendente
era stato insegnato a lavorare ai torni con il sistema di si-
curezza costantemente disinserito, grazie all’utilizzo della
chiave sopra ricordata, al f‌ine di garantire un risparmio di
tempo, nel caso di lavorazione su due macchine contem-
poraneamente. Proprio nel contenuto di tali istruzioni, la
Corte territoriale ha quindi individuato il prof‌ilo di colpa,
riferibile al Mariotti quale primo garante della sicurezza
dei lavoratori, relativo alla insuff‌iciente informazione
impartita ai dipendenti, in materia di sicurezza e salute.
E deve altresì osservarsi, conclusivamente sul punto, che i
giudici di merito hanno pure riferito che, soltanto all’indo-
mani dell’infortunio occorso allo Zotti, i dipendenti aveva-
no trovato il tornio con il sistema di blocco del portello re-
golarmente inserito, nel corso del ciclo della lavorazione.
4.6 Il sesto motivo di doglianza è manifestamente in-
fondato.
La Corte di Appello ha sostituito la pena inf‌litta, pari ad
un mese di reclusione, con la pena pecuniaria della specie
corrispondente, in ragione di € 100 per ciascun giorno di
pena detentiva.
Si osserva che, con riguardo alla data di commissione
del fatto (13 maggio 2004), l’art. 135 c.p. f‌issava in € 38
la misura del ragguaglio tra pene pecuniarie e pene de-
tentive. Nella fattispecie, peraltro, occorre considerare
che viene in rilievo l’istituto della sostituzione delle pene
detentive brevi, come disciplinato dall’art. 53, L. 689/1981;
il secondo comma dell’art. 53, ora citato, a seguito delle
modif‌iche introdotte dalla legge n. 134/2003 prevede, in-
fatti, che ai f‌ini della sostituzione della pena detentiva, il
valore giornaliero, tenuto conto della condizione economi-
ca complessiva dell’imputato, non possa essere inferiore
alla somma indicata dall’art. 135 c.p. e non possa superare
di dieci volte tale ammontare.
Orbene, nel caso di specie, la Corte di Appello, si è disco-
stata dalla somma minima di cui all’art. 135 c.p., all’epoca
del fatto f‌issata in € 38, sostituendo la pena detentiva in
ragione di un valore giornaliero pari ad € 100. Il Collegio
ha giustif‌icato la richiamata valutazione sul criterio di
ragguaglio, in ragione delle condizioni economie minime
di un imprenditore titolare di una azienda meccanica con
vari dipendenti e due stabilimenti, quale il Mariotti. Si
tratta di un apprezzamento conforme ai criteri indicati
dall’art. 53, comma secondo, legge n. 689/1981, laddove
è stabilito che il giudice, nella determinazione del valore
giornaliero ai f‌ini della sostituzione della pena detentiva,
tiene conto della condizione economica complessiva del-
l’imputato.
Le riferite evenienze inducono, allora, ad escludere la
sussistenza della denunciata carenza motivazionale. É poi
appena il caso di rilevare che, a seguito delle modif‌iche
introdotte dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, inapplicabili al
caso di specie “ratione temporis”, l’art. 135 c.p. stabilisce
oggi che il ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive
abbia luogo calcolando Euro 250, o frazione di Euro 250, di
pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva.
5. Esclusa la ricorrenza delle condizioni per una pronun-
cia assolutoria di merito, in considerazione delle conformi
valutazioni rese dai giudici di primo e secondo grado in
ordine all’affermazione di penale responsabilità dell’impu-
tato, sopra esaminate; e rilevato che il presente ricorso non
risulta inammissibile, per le spiegate ragioni, deve osservarsi
che sussistono i presupposti, discendenti dalla intervenuta
instaurazione di un valido rapporto processuale di impu-
gnazione, per rilevare e dichiarare l’estinzione del reato per
intervenuta prescrizione, a norma dell’art. 129, comma pri-
mo, c.p.p., essendo spirato il relativo termine di prescrizione
massimo in data 21 agosto 2013, come sopra evidenziato.
5.1 Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio
della sentenza impugnata, per essere il reato estinto per
prescrizione; ed il rigetto del ricorso ai f‌ini civili, con con-
ferma delle relative statuizioni. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. VI, 17 GENNAIO 2014, N. 1826
(UD. 24 OTTOBRE 2013)
PRES. LANZA – EST. FIDELBO – P.M. X – RIC. X
Difesa e difensori y Astensione dalle udienze y
Legittimo impedimento y Esclusione y Esercizio di
un diritto di libertà y Diritto al rinvio delle udienze
y Sussistenza y Fattispecie in tema di rinvio delle
udienze camerali nel giudizio di appello conseguen-
te a rito abbreviato.
. L’astensione del difensore dalle udienze non può es-
sere ricondotta all’interno dell’istituto del legittimo
impedimento a comparire, giacché costituisce espres-
sione dell’esercizio di un diritto di libertà, il quale, se
posto in essere nel rispetto e nei limiti indicati dalla
legge e dal codice di autoregolamentazione, consente
il rinvio anche delle udienze camerali nel giudizio di
appello a seguito di rito abbreviato. (Mass. Redaz.)
(c.p.p., art. 127; c.p.p., art. 420 ter; c.p.p., art. 443;
c.p.p., art. 599) (1)
(1) La giurisprudenza consolidata della Cassazione riconosce alla ri-
chiesta del difensore di rinvio dell’udienza, quale adesione all’asten-
sione collettiva, una vera e propria tutela giuridica. Infatti, sebbene
non possa parlarsi di vero e proprio diritto di sciopero, ricompreso
nell’alveo dell’art. 40 Cost., può conf‌igurarsi una manifestazione del
diritto di libertà del soggetto, che non permette di classif‌icare l’asten-
sione come impedimento in senso tecnico. Proprio da questo assunto
deriva il riconoscimento di un vero e proprio “diritto al rinvio” del
difensore, riconducibile, come affermato dalla Corte costituzionale
con la sentenza 27 maggio 1996, n. 171, in questa Rivista 1996, 710,
al diritto di associazione di cui all’art. 18 della Costituzione. Tra le
tante pronunce che si possono citare, si vedano Cass. pen., sez. IV, 7
marzo 2013, n. 10621, in Ius&Lex dvd n. 2/2014, ed. La Tribuna; Cass.

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