Brevi note in tema di applicazione dell'art. 416 Bis, terzo comma, C.P.

AutoreFranco Moretti
Pagine778-779

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La sentenza che si annota ha ad oggetto la fattispecie di cui all'art. 416 bis, terzo comma, c.p., nella parte in cui punisce la condotta prevista se posta in essere al fine «di impedire o ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali».

La questione di diritto sottoposta dalla difesa all'attenzione della Suprema Corte concerneva l'operata applicazione in via retroativa della norma citata, atteso che i fatti in contestazione erano tutti precedenti alla data di entrata in vigore del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella L. 7 agosto 1992, n. 356, che detta norma aveva introdotto.

La Suprema Corte, nell'affrontare la questione de qua, ha riconosciuto come gli obiettivi dell'associazione fissati dal terzo comma dell'art. 416 bis c.p. sono chiaramente definiti dal legislatore e la relativa elencazione deve, nel rispetto del principio di legalità, considerarsi tassativa.

In tal modo ha chiaramente ammonito dall'interpertare la novella del 1992 come una mera precisazione di una delle modalità dell'azione del sodalizio mafioso già punibile sulla base della precedente dizione normativa.

Rispetto a questa tesi, sostenuta dalla procura generale, i giudici di legittimità hanno opposto l'intangibile principio di legalità di cui agli artt. 25, secondo comma, Cost. e 2, primo comma, c.p.

La pronuncia in esame merita una particolare attenzione, costituendo una ferma e severa censura di un'inquietante vicenda processuale: quella di un soggetto sottoposto per numerosi anni ad un processo avente ad oggetto fatti che al momento della loro ritenuta commissione non erano previsti dalla legge come reato.

Sia che tale vicenda costituisca il frutto di una «svista» degli organi giudicanti, sia che, invece, rappresenti il risultato di un'interpretazione della norma di cui all'art. 416 bis, terzo comma, c.p. nei termini sostenuti dalla procura generale presso la Corte di cassazione ed appena richiamati, non v'è dubbio che lo sconforto che ne deriva non cambia.

Per il primo caso non servono parole di commento. Per il secondo, deve evidenziarsi come solo apparentemente sia meno grave.

Ad un'attenta analisi, anzi, è più difficile da giustificare perché lo stesso elude il principio di tassatività giungendo ad applicare una legge che al momento dei fatti non era ancora entrata in vigore. Stupisce invero come possa pensare di interpretarsi il terzo comma dell'art. 416 bis c.p. quale...

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