Sentenza nº 210 da Constitutional Court (Italy), 22 Novembre 2018

RelatoreFranco Modugno
Data di Resoluzione22 Novembre 2018
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 210

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giorgio LATTANZI Presidente

- Aldo CAROSI Giudice

- Marta CARTABIA ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giovanni AMOROSO ”

- Francesco VIGANÒ ”

- Luca ANTONINI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige 31 ottobre 2017, n. 8 (Istituzione del nuovo Comune di Sèn Jan di Fassa - Sèn Jan mediante la fusione dei comuni di Pozza di Fassa-Poza e Vigo di Fassa-Vich), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 27 dicembre 2017-3 gennaio 2018, depositato in cancelleria il 3 gennaio 2018, iscritto al n. 3 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol;

udito nella udienza pubblica del 25 settembre 2018 il Giudice relatore Franco Modugno;

uditi l’avvocato dello Stato Leonello Mariani per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Barbara Randazzo per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ricorso notificato il 27 dicembre 2017-3 gennaio 2018 (reg. ric. n. 3 del 2018), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 5 e 6 Cost. e all’art. 99 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), dell’art. 1 della legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige 31 ottobre 2017, n. 8 (Istituzione del nuovo Comune di Sèn Jan di Fassa - Sèn Jan mediante la fusione dei comuni di Pozza di Fassa-Poza e Vigo di Fassa-Vich).

    1.1.– Deduce il ricorrente che, con la normativa impugnata, la Regione autonoma ha istituito il Comune di Sèn Jan di Fassa-Sèn Jan mediante la fusione dei Comuni di Pozza di Fassa-Poza e Vigo di Fassa-Vich, in virtù della potestà legislativa prevista dall’art. 7 dello statuto reg. Trentino-Alto Adige, omettendo, tuttavia, di rispettare il disposto dell’art. 99 dello stesso statuto, il quale impone l’uso della lingua italiana e non solo – come nella specie – della lingua ladina. Violati sarebbero pure gli artt. 5 e 6 Cost., in quanto la garanzia delle minoranze linguistiche e l’unità e indivisibilità della Repubblica ostano all’utilizzo di denominazioni toponomastiche espresse solo mediante l’uso dell’idioma locale.

    È ben vero – soggiunge il ricorrente – che l’art. 102 dello statuto speciale tutela le popolazioni ladine della Regione autonoma, ma il rispetto della toponomastica di tali popolazioni non può risolversi nell’eliminazione della toponomastica italiana. La tutela si realizzerebbe, dunque, a traverso la compresenza della denominazione ladina e italiana del toponimo, e non si potrebbe risolvere in un rapporto di alternatività linguistica, che realizzerebbe un’illegittima discriminazione a danno della «maggioranza (linguistica) italiana». Ciò sarebbe tanto vero che, per la Provincia autonoma di Bolzano, l’art. 101 del medesimo statuto prevede l’uso congiunto, nella toponomastica, della lingua italiana e tedesca. Si aggiunge, a tal proposito, che, in coerenza con le previsioni statutarie, l’art. 5 del decreto legislativo 16 dicembre 1993, n. 592 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige concernenti disposizioni di tutela delle popolazioni ladina, mochena e cimbra della provincia di Trento), individua i vari Comuni ladini, espressi tutti nella forma bilingue. Si conclude rilevando che, se nella Provincia autonoma di Bolzano vige la regola del bilinguismo perfetto ed è obbligatoria la toponomastica italiana, a più forte ragione nella Provincia autonoma di Trento – in assenza di bilinguismo perfetto – la tutela delle minoranze linguistiche non può avvenire facendo a meno dell’utilizzo della lingua ufficiale nazionale.

    1.2.– L’analisi delle disposizioni statali emanate in attuazione dell’art. 6 Cost. confermerebbe la dedotta illegittimità costituzionale della disciplina impugnata. Nella legge 15 dicembre 1999, n. 482 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche), applicabile, sino all’adozione di specifiche norme di attuazione, anche alle Regioni ad autonomia speciale, si afferma, infatti, che la lingua ufficiale della Repubblica è l’italiano (art. 1) e si prevede che, in aggiunta ai toponimi ufficiali, può essere disposta l’adozione di toponimi conformi alle tradizioni e agli usi locali (art. 10). Dunque, il toponimo locale non potrebbe eliminare quello ufficiale.

    A sua volta, la legge della Provincia autonoma di Trento 27 agosto 1987, n. 16 (Disciplina della toponomastica), pur non occupandosi – perché materia di competenza regionale, ai sensi dell’art. 7 dello statuto – della toponomastica dei Comuni, stabilisce che alle denominazioni ufficiali di frazioni, strade, piazze ed edifici pubblici possono essere affiancati i toponimi tradizionalmente usati in sede locale (art. 10).

    Ancor più di recente, l’art. 19, comma 6, della legge della Provincia autonoma di Trento 19 giugno 2008, n. 6 (Norme di tutela e promozione delle minoranze linguistiche locali), stabilisce che «[f]atte salve le denominazioni dei comuni, le indicazioni e le segnalazioni relative a località e toponimi di minoranza sono di regola espresse nella sola denominazione ladina, mòchena o cimbra». Ne deriverebbe, dunque, che, a differenza delle denominazioni di località e toponimi di minoranza, quelle dei Comuni devono essere espresse anche in lingua italiana, tant’è che la stessa legge, nell’individuare i Comuni territorialmente interessati, ne indica le denominazioni in forma bilingue.

    1.3.– La circostanza che la lingua italiana non possa essere sostituita – ma solo affiancata – da altre lingue locali sarebbe desumibile, poi, pure dalla sentenza n. 42 del 2017 di questa Corte, la quale, ancorché riferita a diversa fattispecie, ha ribadito, in relazione al principio di tutela delle minoranze linguistiche, come l’uso di altre lingue non possa essere inteso come alternativo alla lingua italiana, o tale da porre quest’ultima «in posizione marginale».

    1.4.– In conclusione, il ricorrente osserva che – indicando nella sola lingua ladina la denominazione del nuovo Comune di Sèn Jan di Fassa-Sèn Jan, quando era peraltro storicamente presente in quei luoghi anche quella italiana di San Giovanni – la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol avrebbe esercitato «in modo costituzionalmente non corretto la competenza legislativa alla stessa spettante in materia di denominazione dei comuni di nuova istituzione», con ciò violando i parametri costituzionali evocati.

  2. – Con atto depositato l’8 febbraio 2018, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol si è costituita chiedendo dichiararsi inammissibili o, comunque sia, infondate le questioni di legittimità costituzionale proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri.

    2.1.– La Regione resistente svolge un’articolata premessa in fatto, nella quale sottolinea in particolare la circostanza che, il 12 e il 17 agosto 2016, i Comuni di Pozza di Fassa-Poza e di Vigo di Fassa-Vich avevano trasmesso alla Provincia autonoma di Trento le delibere consiliari dell’11 agosto 2016, con le quali avevano deciso di attribuire al nuovo Comune la denominazione di «Comun de Sèn Jan» nella versione ladina e di «Comune di Sèn Jan di Fassa» nella versione italiana, mantenendo, in entrambe le versioni, il nome “Sèn Jan” «in ragione del profondo significato storico-identitario dell’intera comunità legato alla “Pief de Sèn Jan”, il luogo in cui si riuniva fin dalle origini l’assemblea di tutti i vicini della Comunità di Fassa».

    2.2.– La Regione autonoma pone in evidenza, poi, che il Commissario del Governo per la Provincia autonoma di Trento, benché fosse a conoscenza dei fatti sin dal 23 settembre 2016 – data nella quale la Giunta regionale lo aveva informato della procedura di fusione dei Comuni di Pozza di Fassa-Poza e Vigo di Fassa-Vich, della denominazione dell’istituendo Comune e dell’oggetto del relativo quesito referendario, ove tale denominazione era stata ripetuta – non abbia «manifestato tempestivamente alcun dubbio di costituzionalità sul punto in occasione del rilascio dell’intesa [per l’individuazione della data in cui tenere la consultazione referendaria], né abbia impugnato la deliberazione della Giunta regionale del 10 ottobre 2016».

    In conseguenza di ciò, la Regione resistente deduce la tardività del ricorso, in quanto proposto a legge approvata, malgrado il relativo procedimento contemplasse espressamente l’intervento del Commissario del Governo in vista della consultazione referendaria, la cui delibera di indizione da parte della Giunta regionale recava anche la denominazione dell’istituendo Comune.

    Si richiama, al riguardo, la sentenza n. 2 del 2018 della Corte costituzionale, nella quale si è affermato che i vizi degli atti del procedimento referendario, fatti valere tempestivamente davanti al giudice amministrativo, si trasferiscono sulla legge regionale e possono essere oggetto di sindacato nel giudizio di legittimità costituzionale di quest’ultima. Se ne dovrebbe dedurre che, in mancanza di tempestiva impugnazione, i vizi non possano essere fatti valere per la prima volta in sede di giudizio costituzionale, quali vizi propri della legge. Nella richiamata pronuncia, infatti, si è ribadito che gli atti del procedimento referendario sono sottoposti al sindacato del...

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