Sentenza nº 351 da Constitutional Court (Italy), 03 Dicembre 2010

RelatoreGaetano Silvestri
Data di Resoluzione03 Dicembre 2010
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 351

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Ugo DE SIERVO Presidente

- Paolo MADDALENA Giudice

- Alfio FINOCCHIARO ”

- Alfonso QUARANTA ”

- Franco GALLO ”

- Luigi MAZZELLA ”

- Gaetano SILVESTRI ”

- Sabino CASSESE ”

- Maria Rita SAULLE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 3, commi 2 e 3, del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419), promosso dalla Corte d’appello di Ancona con ordinanza del 9 aprile 2009, iscritta al n. 214 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visti gli atti di costituzione dell’INPDAP e di M.A.L.;

udito nell’udienza pubblica del 16 novembre 2010 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;

uditi gli avvocati Dario Marinuzzi per l’INPDAP e Rosaria Russo Valentini per M.A.L.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 9 aprile 2009, la Corte d’appello di Ancona ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 2 e 3, del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419), nella parte in cui, rispettivamente, abroga la disposizione di cui all’art. 3, comma 8, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), ed aggiunge l’art. 3-bis, comma 11, al medesimo d.lgs. n. 502 del 1992, prevedendo che i contributi previdenziali – da versarsi da parte dall’amministrazione di appartenenza del dipendente collocato in aspettativa senza assegni, in quanto nominato direttore generale di azienda sanitaria locale – siano calcolati sul trattamento economico corrisposto per l’incarico conferito.

    1.1. – Il giudice a quo è chiamato a decidere sull’impugnazione proposta dall’INPDAP (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica) avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Macerata, in funzione di giudice del lavoro, che ha condannato l’Istituto a pagare l’importo di 136.374,73 euro oltre interessi, quale differenza tra la minor somma corrisposta e quella dovuta a titolo di liquidazione del trattamento di fine servizio, in favore di M.A.L., già dipendente della azienda unità sanitaria locale n. 9 di Macerata, successivamente nominato direttore generale dell’azienda sanitaria locale n. 4 di Terni, infine collocato in quiescenza con decorrenza 1° ottobre 2002.

    Riferisce il rimettente che l’istituto appellante ha articolato vari motivi di impugnazione, oltre a richiedere l’integrazione necessaria del contraddittorio nei confronti dell’azienda sanitaria n. 9 di Macerata, ed ha sollevato eccezione di legittimità costituzionale delle disposizioni contenute nell’art. 3, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 229 del 1999, per violazione degli artt. 3 e 76 Cost.

    1.2. – Il giudice a quo reputa non sussistente la necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti della azienda sanitaria locale n. 9 di Macerata, «stante la natura previdenziale dell’indennità premio di fine servizio, affermata dalla giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sez. unite n. 11329 del 2005)», mentre ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni contenute nell’art. 3, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 229 del 1999, in riferimento al solo art. 76 Cost.

    1.3. – Il rimettente richiama gli aspetti essenziali della vicenda in esame, precisando come sia pacifico in atti che l’appellato, al tempo del collocamento in quiescenza (1° ottobre 2002), si trovasse in aspettativa senza assegni in quanto nominato direttore generale della azienda unità sanitaria locale n. 4 di Terni, in applicazione dell’art. 3-bis del d.lgs. n. 502 del 1992. Per tale incarico il trattamento economico onnicomprensivo annuo, inizialmente stabilito in 200 milioni di lire, era stato elevato, con decorrenza 1° gennaio 2002, ad euro 132.212,97. La liquidazione del trattamento di fine servizio era stata attuata dall’INPDAP della provincia di Macerata in base alle disposizioni della legge 8 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti locali), sulla retribuzione che l’appellato avrebbe continuato a percepire, come lavoratore dipendente dell’azienda sanitaria di appartenenza, se non fosse stato collocato in aspettativa senza assegni.

    Peraltro, osserva il rimettente, il chiaro disposto dell’art. 3-bis, comma 11, del d.lgs. n. 502 del 1992 prevede che il versamento dei contributi previdenziali, da parte dell’amministrazione o ente privato di appartenenza del lavoratore collocato in aspettativa senza assegni in quanto nominato direttore generale (sanitario o amministrativo) di asl o azienda ospedaliera, sia commisurato al trattamento economico effettivamente corrisposto per l’incarico conferito, e non già al trattamento stipendiale del rapporto di lavoro in stato di quiescenza, ancorché nel limite del massimale di cui all’art. 3, comma 7, del decreto legislativo 24 aprile 1997, n. 181 (Attuazione della delega conferita dall’articolo 2, comma 22, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di regime pensionistico per gli iscritti all’Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti di aziende industriali), e in tal senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità (sono richiamate le sentenze della Corte di cassazione n. 11925 e n. 12325 del 2008).

    Ma le disposizioni con cui è stata introdotta nell’ordinamento la censurata previsione contrasterebbero, a parere del giudice a quo, con i principi e criteri direttivi contenuti nella legge 30 novembre 1998, n. 419 (Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e per l’adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502), in particolare con l’art. 2, comma 1, lettera t), che impegnava il Governo a «rendere omogenea la disciplina del trattamento assistenziale e previdenziale dei soggetti nominati direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario di azienda, nell’ambito dei trattamenti assistenziali e previdenziali previsti dalla legislazione vigente, prevedendo altresì per i dipendenti privati l’applicazione dell’articolo 3, comma 8, secondo periodo, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni».

    Il rimettente si sofferma sul contenuto della disposizione (oggi abrogata) di cui al richiamato art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 502 del 1992, ove era stabilito, al primo periodo, che per i pubblici dipendenti la nomina a direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario determinasse il collocamento in aspettativa senza assegni e che il periodo di aspettativa fosse utile ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza e dell’anzianità di servizio, mentre, al secondo periodo, era previsto che «Le amministrazioni di appartenenza provvedono ad effettuare il versamento dei relativi contributi, comprensivi delle quote a carico del dipendente, nonché dei contributi assistenziali, calcolati sul trattamento stipendiale spettante al medesimo ed a richiedere il rimborso del correlativo onere alle unità sanitarie locali interessate, le quali procedono al recupero delle quote a carico dall’interessato».

    Ad avviso della Corte d’appello di Ancona, era questa la disciplina che, in base al criterio di delega, doveva essere estesa ai dipendenti privati. In essa si faceva chiaramente riferimento, ai fini del calcolo dei contributi assistenziali e previdenziali, al trattamento stipendiale spettante al dipendente in aspettativa, e dunque, inequivocabilmente, al compenso “virtuale” che sarebbe stato corrisposto dall’amministrazione di appartenenza qualora il dipendente non fosse stato collocato in aspettativa senza assegni per assumere l’incarico dirigenziale.

    Diversamente, osserva il rimettente, il d.lgs. n. 229 del 1999, nell’attuare la delega ha proceduto, con l’art. 3, comma 2, ad abrogare il richiamato art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 502 del 1992 e con il successivo comma 3 del medesimo art. 3, ad aggiungere nel d.lgs. n. 502 del 1992, l’art. 3-bis, comma 11, nel quale è stabilito che «La nomina a direttore generale, amministrativo e sanitario determina per i lavoratori dipendenti il collocamento in aspettativa senza assegni e il diritto al mantenimento del posto. L’aspettativa è concessa entro sessanta giorni dalla richiesta. Il periodo di aspettativa è utile ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza. Le amministrazioni di appartenenza provvedono ad effettuare il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali comprensivi delle quote a carico...

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