Sentenza nº 217 da Constitutional Court (Italy), 17 Giugno 2010

RelatoreFranco Gallo
Data di Resoluzione17 Giugno 2010
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 217

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco AMIRANTE Presidente

- Ugo DE SIERVO Giudice

- Paolo MADDALENA "

- Alfio FINOCCHIARO "

- Alfonso QUARANTA "

- Franco GALLO "

- Luigi MAZZELLA "

- Gaetano SILVESTRI "

- Sabino CASSESE "

- Maria Rita SAULLE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

- Giuseppe FRIGO "

- Alessandro CRISCUOLO "

- Paolo GROSSI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 49, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre1991, n. 413), promosso dalla Commissione tributaria regionale della Campania, nel procedimento cautelare vertente tra Giovanni Mario Annunziata e l’Agenzia delle entrate, ufficio di Nola, con ordinanza pronunciata il 13 ottobre 2008, iscritta al n. 322 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 maggio 2010 il Giudice relatore Franco Gallo.

Ritenuto in fatto

  1. – Nel corso di un procedimento instaurato a séguito dell’istanza proposta da un contribuente per ottenere, in via cautelare, la sospensione dell’esecuzione di una sentenza tributaria di secondo grado, la Commissione tributaria regionale della Campania, con ordinanza pronunciata il 13 ottobre 2008, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 111 e 113 della Costituzione, nonché, quale norma interposta all’art. 10 Cost., in riferimento all’art. 6, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata ed eseguita con legge 4 agosto 1955, n. 848 – questione di legittimità dell’art. 49, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre1991, n. 413), il quale stabilisce che «Alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, escluso l’art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto».

  2. – La Commissione tributaria rimettente premette, in punto di fatto, che: a) con propria sentenza n. 417/07/2004, emessa in grado di appello e depositata il 27 aprile 2005, aveva rigettato – in riforma della sentenza di primo grado ed in accoglimento del gravame proposto dall’Agenzia delle entrate – il ricorso proposto da un contribuente avverso l’avviso di accertamento, ai fini dell’IRPEF, dei redditi derivanti dalla sua partecipazione ad una società di persone nell’anno 1993; b) il contribuente aveva successivamente presentato ricorso per cassazione («depositato il 20 giugno 2007») avverso la predetta sentenza di appello, deducendo che solo nel 2007 aveva avuto notizia, in occasione della ricezione della notificazione di una cartella di pagamento, dell’esistenza della citata sentenza di appello (e, quindi, del correlativo giudizio) riguardante il sopra menzionato avviso di accertamento; c) il ricorso per cassazione, in particolare, era basato sull’assunto che nel secondo grado di giudizio era stato violato il contraddittorio, perché la notifica dell’atto di appello, avvenuta a mezzo posta con la consegna del plico al portiere dell’appellato, non era stata seguita dall’invio di altra lettera raccomandata per informare il destinatario dell’avvenuta notificazione e l’appellato contribuente, pertanto, non aveva avuto notizia del proposto gravame; d) nelle more del giudizio di cassazione, il medesimo contribuente aveva presentato alla Commissione tributaria regionale un’istanza di sospensione, in via cautelare, dell’esecuzione dell’impugnata sentenza di secondo grado, invocando l’applicazione dell’art. 373 cod. proc. civ. e degli artt. 47, 49 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992 e deducendo che dall’esecuzione della sentenza poteva derivargli grave ed irreparabile danno, a séguito sia della notificazione nei suoi confronti della menzionata cartella di pagamento, basata sull’avviso di accertamento di cui alla sentenza di appello, sia della comunicazione (con nota del 25 luglio 2008) dell’eseguita iscrizione ipotecaria immobiliare effettuata – ai sensi dell’art. 77 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) – a garanzia, ad un tempo, del credito tributario risultante dalla suddetta sentenza di appello (pari ad € 210.988,62), nonché di un ulteriore credito, per altro titolo (pari ad altri € 342.951,48).

  3. – Il giudice rimettente premette altresí, in punto di diritto, che: a) il denunciato comma 1 dell’art. 49 del d.lgs. n. 546 del 1992 esclude espressamente l’applicabilità al processo tributario dell’art. 337 cod. proc. civ. e quindi, secondo «la giurisprudenza assolutamente prevalente», esclude l’applicabilità anche delle disposizioni menzionate da tale articolo, tra le quali è compreso l’art. 373 cod. proc. civ., il quale prevede, al secondo periodo del primo comma, che «il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione»; b) l’interpretazione della disposizione censurata fornita da tale giurisprudenza, secondo cui l’art. 373 cod. proc. civ. non è applicabile al processo tributario, costituisce «fedele applicazione delle regole ermeneutiche»; c) nella specie, «il rischio di danno irreparabile (in presenza di una sentenza annullatoria dell’accertamento in primo grado) nasce per la prima volta dalla sentenza di appello che ha “ribaltata” la prima sentenza, sicché sulla domanda di cautela (che non poteva che essere formulata dopo la sentenza di appello) mai vi è stata la pronuncia di giudice (né mai in precedenza avrebbe potuto esservi)».

  4. − Tanto premesso, il giudice a quo afferma che la disposizione denunciata víola: a) il principio di ragionevolezza di cui allart. 3, primo comma, Cost., perché nel caso in cui come nella specie la pronuncia di appello abbia riformato la sentenza di primo grado favorevole al contribuente, irragionevolmente esclude la tutela cautelare «a fronte di atti impositivi esecutivi per la prima volta emessi in esecuzione di una sentenza di secondo grado» e, pertanto, consente il «sacrificio inevitabile ed irreparabile» dei diritti del contribuente, nonostante che il sistema processuale sia stato «creato a garanzia di diritti soggettivi...

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