Sentenza nº 285 da Constitutional Court (Italy), 28 Luglio 2010

RelatoreMaria Rita Saulle
Data di Resoluzione28 Luglio 2010
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 285

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco AMIRANTE Presidente

- Ugo DE SIERVO Giudice

- Paolo MADDALENA “

- Alfio FINOCCHIARO “

- Alfonso QUARANTA “

- Franco GALLO “

- Luigi MAZZELLA “

- Gaetano SILVESTRI “

- Sabino CASSESE “

- Maria Rita SAULLE “

- Giuseppe TESAURO “

- Paolo Maria NAPOLITANO “

- Giuseppe FRIGO “

- Alessandro CRISCUOLO “

- Paolo GROSSI “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 70 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53), promossi dalla Corte d’appello di Firenze con ordinanza del 15 maggio 2009 e dalla Corte d’appello di Venezia con ordinanza del 28 maggio 2009, iscritte ai nn. 240 e 283 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 39 e 47, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visti gli atti di costituzione della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense;

udito nell’udienza pubblica del 6 luglio 2010 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;

udito l’avvocato Massimo Luciani per la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense.

Ritenuto in fatto

  1. – La Corte d’appello di Firenze, nel corso di un procedimento civile promosso dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense contro P.L.F., con ordinanza emessa il 15 maggio 2009 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29 e 31 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 70 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non prevede il diritto del padre libero professionista di percepire, in alternativa alla madre biologica, l’indennità di maternità.

    La Corte rimettente rileva che, con sentenza n. 710 del 20 giugno 2008, il Tribunale di Firenze, in qualità di giudice del lavoro, condannava, in applicazione della norma censurata, l’appellante al pagamento in favore dell’avvocato P.L.F. dell’indennità di maternità conseguente alla nascita del figlio avvenuta l’8 maggio 2006.

    Avverso tale sentenza proponeva appello la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense contestando l’iter argomentativo seguito dal Tribunale che aveva riconosciuto la suddetta indennità al padre libero professionista, in alternativa alla madre, in base ad una «interpretazione costituzionalmente adeguatrice» del citato art. 70, il quale sancisce che alle libere professioniste, «iscritte ad un ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza di cui alla tabella D allegata al presente testo unico, è corrisposta un’indennità di maternità per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi alla stessa».

    In ragione del tenore letterale della disposizione impugnata e del suo esplicito riferimento alle «libere professioniste», e cioè alla madre, la rimettente non ritiene possibile estendere il beneficio da essa prevista al padre.

    A tal fine non sarebbe risolutiva neanche la sentenza n. 385 del 2005 con la quale la Corte costituzionale, pur dichiarando la illegittimità del citato art. 70 (e del successivo art. 72) «nella parte in cui non prevedono il principio che al padre spetti di percepire in alternativa alla madre l’indennità di maternità, attribuita solo a quest’ultima», si riferiva al caso di affidamento preadottivo, fattispecie questa in cui, diversamente da quella oggetto del giudizio principale, non si pone l’esigenza di tutela della gravidanza e del puerperio di una madre biologica.

    La rimettente osserva, però, che proprio dall’indicata sentenza della Corte costituzionale si evince il principio secondo cui, per garantire il preminente interesse del minore, i genitori devono poter godere delle medesime tutele al fine di una compiuta attuazione di fondamentali diritti di rango costituzionale, quali sono quelli connessi alla formazione della famiglia e alla cura della prole.

    Contro tale principio si pone, a parere della rimettente, la norma impugnata che, nei nuclei familiari in cui il padre esercita una libera professione, nega ai coniugi la delicata scelta di chi, assentandosi dal lavoro per assistere il bambino, possa meglio provvedere alle sue esigenze, scelta che non può che essere rimessa in via esclusiva all’accordo dei genitori. In particolare, la Corte d’appello osserva che l’art. 70 censurato si pone in contrasto con il principio di uguaglianza, in quanto l’indennità di maternità è riconosciuta al padre, sia nel caso di adozione o affidamento (sentenza n. 385 del 2005), sia in quello in cui egli svolga attività di lavoro dipendente (art. 28 d.lgs. n. 151 del 2001).

    Tale disparità di trattamento, a parere del giudice a quo, non appare giustificata dalle differenze, pur sussistenti, fra le diverse figure di lavoratori, le quali non riguardano il diritto di partecipare alla vita familiare in egual misura rispetto alla madre, e non consente ai professionisti di godere, alla pari degli altri lavoratori, di quella protezione che l’ordinamento assicura in occasione della genitorialità, anche adottiva.

    La rimettente ritiene, infine, che la norma censurata si pone in contrasto anche con gli artt. 29 e 31 della Costituzione, in quanto l’indennità di maternità rientra nei diritti che devono essere riconosciuti alla famiglia e rappresenta una delle misure...

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