Sentenza nº 30 da Constitutional Court (Italy), 09 Febbraio 2001

RelatoreGuido Neppi Modona
Data di Resoluzione09 Febbraio 2001
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 30

ANNO 2001

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Fernando SANTOSUOSSO Presidente

- Massimo VARI Giudice

- Cesare RUPERTO "

- Riccardo CHIEPPA "

- Gustavo ZAGREBELSKY "

- Valerio ONIDA "

- Carlo MEZZANOTTE "

- Guido NEPPI MODONA "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Franco BILE "

- Giovanni Maria FLICK "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 102, terzo comma, e 103, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promossi, nell'ambito di diversi procedimenti di sorveglianza, con ordinanze emesse il 24 maggio e il 17 giugno 1999 dal Magistrato di sorveglianza del Tribunale di Torino, iscritte ai nn. 531 e 673 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 41 e 50, prima serie speciale, dell'anno 1999.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 ottobre 2000 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto in fatto

  1. - Con ordinanza emessa il 17 giugno 1999 (r.o. n. 673 del 1999), il Magistrato di sorveglianza di Torino ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'articolo 102, terzo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui prevede >.

    Premette in fatto il rimettente che una persona condannata alla pena complessiva di lire 3.850.000 di multa aveva chiesto, versando in condizioni di insolvibilità, l'ammissione al lavoro sostitutivo come sanzione da applicarsi in sede di conversione della pena pecuniaria; che tale sanzione, considerato il coefficiente di ragguaglio previsto dall'art. 102, terzo comma, della legge citata (lire 50.000 o frazione di lire 50.000 di pena pecuniaria per un giorno di lavoro sostitutivo), avrebbe dovuto trovare applicazione nella misura massima stabilita dall'art. 103, secondo comma, della stessa legge, e cioé in giorni sessanta.

    Tale conclusione si porrebbe però in contrasto, ad avviso del rimettente, con gli artt. 3 e 27 della Costituzione.

    L'art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981, che disciplina anche il coefficiente di ragguaglio per la conversione della pena pecuniaria in libertà controllata, prevedeva originariamente che la conversione avesse luogo calcolando lire 25.000 di pena pecuniaria per un giorno di libertà controllata: tale coefficiente era, quindi, uguale al criterio generale di ragguaglio tra pene detentive e pene pecuniarie (lire 25.000 di pena pecuniaria per ogni giorno di pena detentiva) disposto dall'art. 135 del codice penale.

    Successivamente, con la legge 5 ottobre 1993, n. 402 (Modifica dell'art. 135 del codice penale: ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive), il legislatore ha modificato l'art. 135 cod. pen., aumentando a lire 75.000 il coefficiente di ragguaglio tra pene pecuniarie e detentive, ma ha lasciato inalterato l'analogo criterio di ragguaglio tra pene pecuniarie e sanzioni sostitutive previsto in caso di insolvibilità del condannato dall'art. 102 della legge n. 689 del 1981.

    La irragionevolezza dell'omesso adeguamento, prosegue il giudice a quo, é stata rilevata dalla sentenza n. 440 del 1994 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981 nella parte in cui prevede che il ragguaglio ha luogo calcolando lire 25.000, o frazione di lire 25.000, anzichè 75.000, o frazione di 75.000 di pena pecuniaria per un giorno di libertà controllata, così ripristinando l'originaria equivalenza, con riferimento, però, solo alla predetta sanzione.

    Analoghe ragioni sussisterebbero, ad avviso del rimettente, con riferimento al lavoro sostitutivo che, per la intrinseca maggiore idoneità risocializzante, deve, in termini di equivalenza, valere più di un giorno di libertà controllata.

    Secondo il giudice a quo, il legislatore aveva anzi originariamente ritenuto che il "valore" di un giorno di lavoro sostitutivo, determinato nella misura di lire 50.000, e la potenzialità produttiva di reddito della condotta correlata alla stessa sanzione corrispondessero al doppio del valore risocializzante di un giorno di libertà controllata; sanzione che, applicata in sede di conversione della pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato, equivaleva infatti a lire 25.000.

    La sentenza n. 440 del 1994 della Corte, incidendo sul criterio di ragguaglio solo con riferimento alla libertà controllata, avrebbe di conseguenza alterato l'equilibrio "interno", come originariamente previsto dal legislatore, tra tale misura e il lavoro sostitutivo.

    Anche un confronto "esterno" con il ragguaglio tra la pena pecuniaria e quella detentiva porterebbe, ad avviso del rimettente, ad analoghe conclusioni, sulla base delle stesse argomentazioni della sentenza n. 440 del 1994. Infatti, essendo stato triplicato il valore di ragguaglio tra pena pecuniaria e pena detentiva per la sopravvenuta svalutazione della moneta, avrebbero dovuto essere parimenti triplicati anche i valori relativi alla libertà controllata e al lavoro sostitutivo. Nell'inerzia del legislatore, la Corte aveva già provveduto in merito alla libertà controllata; analoga e conseguente operazione viene ora richiesta dal rimettente in relazione al lavoro sostitutivo.

    La disposizione impugnata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., perchè il mancato adeguamento del canone di ragguaglio tra pena pecuniaria e lavoro sostitutivo in misura proporzionale rispetto a quanto avvenuto per la libertà controllata determinerebbe una disparità di trattamento tra "situazioni simili (o, al limite, anche identiche)", imponendo al condannato, in caso di conversione della pena pecuniaria in lavoro sostitutivo, una sanzione superiore a quella, meno efficace e meno incisiva sotto il profilo rieducativo, della libertà controllata.

    La questione sarebbe rilevante nel giudizio a quo, posto che, sulla base della disposizione censurata, la sanzione irrogabile sarebbe pari a sessanta giorni, mentre se la questione fosse accolta (e il criterio di ragguaglio fosse proporzionalmente adeguato con ripristino degli originari rapporti), la sanzione sarebbe di ventisei giorni.

  2. - Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

    A parere dell'Avvocatura gli originari criteri di ragguaglio per la conversione delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato erano in sintonia con quanto...

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