Usura e ricettazione del denaro ricevuto: ruolo della persona offesa

AutoreGisella Leto
Pagine511-513

Page 511

La sentenza che si annota configura l'impossibilità concettuale ed ontologica, in capo alla persona offesa dal delitto di usura, di un concorso con l'autore di tale reato nel delitto di ricettazione avente ad oggetto il denaro del prestito usurario, in quanto la mera consapevolezza, da parte della vittima della provenienza illecita o delittuosa del denaro, non determina di per sé l'ingiustizia del profitto.

In particolare, la Suprema Corte, nel caso di specie, ha affermato che, al fine di identificare l'elemento del profitto, la cui presenza connota la ricettazione come reato a dolo specifico, deve ritenersi necessario il requisito dell'ingiustizia. I giudici di legittimità hanno, così, preso netta posizione in ordine alla interpretazione dell'art. 648 c.p. che aveva determinato non pochi contrasti interpretativi, numerose pronunce giurisprudenziali e differenti orientamenti dottrinali sulla possibilità di ritenere necessario o meno l'ingiustizia del profitto, e ciò per non avere il legislatore, nella fattispecie normativa in questione, connotato il profitto come ingiusto, (requisito presente, al contrario, in altri delitti contro il patrimonio).

Gran parte della dottrina, ritiene, infatti, che «in mancanza di una espressa previsione legislativa ed in forza del generale principio di stretta legalità, non occorre che il profitto preso di mira dall'agente sia connotato dalla caratteristica della ingiustizia», e, pertanto, «secondo il tenore letterale della norma, il profitto preso di mira da chi riceve la cosa proveniente da delitto può essere indifferentemente giusto o ingiu-Page 512sto»1. Si sostiene, ancora, che il profitto può essere anche giusto, ma non deve, comunque, risolversi in un vantaggio per l'autore del delitto presupposto, altrimenti si verterebbe in materia di favoreggiamento reale2.

Argomentando, appunto, dalla circostanza che la previsione normativa non richiede che il profitto sia ingiusto, la dottrina in questione ritiene che la sussistenza del reato di ricettazione non è esclusa dalla circostanza che l'agente abbia ricevuto denaro o la cosa, di cui si conosce la provenienza delittuosa, a titolo di prestazione o controprestazione nell'ambito di un rapporto giuridico sinallagmatico3. Si è così affermato che «non essendo richiesto dalla lettera della norma il requisito della ingiustizia di profitto, a rigore, bisogna ritenere che il dolo specifico non sia escluso quando l'agente abbia ricevuto il bene in cambio di un altro bene costituente oggetto di una controprestazione lecita effettuata a favore dell'altro contraente4.

Dall'osservazione che secondo il tenore letterale della norma il profitto preso di mira da chi riceve la cosa proveniente da delitto può essere indifferentemente giusto o ingiusto, si passa generalmente ad affermare la sussistenza della ricettazione «anche quando si acquisti o si riceva la cosa per un titolo in sé stesso non ingiusto»5.

Questa conclusione potrebbe comportare la responsabilità per ricettazione del commerciante o del professionista (si pensi all'avvocato) che riceve un pagamento da un cliente pur sapendo che questi non ha fonti di reddito legittime6.

A questo orientamento si oppone altra parte della dottrina la quale ritiene che l'ingiustizia è un presupposto implicito del profitto7 e che, pertanto, la punibilità è esclusa qualora il ricevimento del bene consegua ad un rapporto approvato dall'ordinamento8.

In particolare, autorevole dottrina - partendo dalla premessa che...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT