Reati tributari: omesso versamento dell'iva cambia l'impostazione del D.L.vo n. 74/2000?

AutoreAntonio Del Sole
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@1. La criminalizzazione dell'evasione da riscossione.

La finalità di contrastare il fenomeno della c.d. evasione di riscossione, formula con cui si indica la differenza tra quanto accertato dagli uffici finanziari e quanto effettivamente riscosso, ha indotto il legislatore, a partire dal 2004, ad inserire nel tessuto del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 1, nuove figure di reati tributari. L'art. 1 comma 414 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), ha introdotto l'art. 10 bis al fine di assoggettare a sanzione penale l'«omesso versamento da ritenute certificate» 2; in realtà si è trattato della reintroduzione di una previgente figura criminosa, posto che una fattispecie analoga a quella dell'art. 10 bis era sostanzialmente contenuta nell'art. 2 comma 3 del previgente decreto legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1982, n. 516 (legge nota con il significativo nome di «manette agli evasori») 3, fattispecie che non era stata però accolta nell'impianto del D.L.vo n. 74/2000, con la conseguente irrilevanza penale anche per i fatti commessi in vigenza della L. n. 516/82 4.

Successivamente, l'art. 35 comma 7 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (c.d. decreto Bersani), convertito nella L. 4 agosto 2006, n. 248 5, ha introdotto i reati di cui agli artt. 10 ter e 10 quater che, rispettivamente, incriminano l'«omesso versamento di IVA» 6 e l'«indebita compensazione» 7, ambedue rinviando quanto alla pena edittale ed alla soglia di punibilità alle previsioni dell'art. 10 bis.

Sebbene in questa sede ci si intratterrà esclusivamente sul reato di omesso versamento dell'IVA, non ci si potrà tuttavia esimere da alcune considerazioni sull'impostazione ed i principi ispiratori del D.L.vo n. 74/2000 e la diversa logica che, viceversa, con l'introduzione delle nuove norme penali tributarie sembra animare l'opera del legislatore.

@2. Cambia l'impostazione del D.L.vo n. 74/2000?

Le direttive della legge delega n. 205/1999 8, poi trasfuse nel D.L.vo n. 74/2000, avevano disegnato, in contrapposizione con quello della L. n. 516/1982, un sistema connotato dalla residualità dell'intervento penale in materia tributaria. Sussidiarietà ed offensività avevano costituito i principi ispiratori della riforma 9.

L'art. 9 comma 2, lett. a), della L. n. 205/1999, in particolare, imponeva al legislatore delegato di «prevedere un ristretto numero di fattispecie, di natura esclusivamente delittuosa, punite con pena detentiva compresa tra sei mesi e sei anni con esclusione del ricorso a circostanze aggravanti ad effetto speciale, caratterizzate da rilevante offensività per gli interessi dell'erario e dal fine di evasione o di conseguimento di indebiti rimborsi di imposta». La delega restringeva il numero degli illeciti tributari puniti con la sanzione penale e, nello stesso tempo, prescriveva di «selezionare tra i fatti riconducibili alle tipologie di illecito individuate, soltanto quelli in grado di produrre una effettiva e rilevante lesione degli interessi tuelati dalle nuove norme incriminatrici» 10. Il nuovo sistema intendeva realizzare «una vera e propria inversione di rotta» rispetto alla L. n. 516/1982, con la «correlata rinuncia alla criminalizzazione delle violazioni meramente "formali" e "preparatorie"» 11.

Nell'impianto originario del D.L.vo n. 74/2000 l'inadempimento dell'obbligazione pecuniaria relativa all'imposta non assurgeva a fatto penalmente rilevante. La Relazione governativa al decreto legislativo precisava che, «nella cornice del nuovo sistema, il mero inadempimento dell'obbligazione pecuniaria avente ad oggetto l'imposta ed i relativi accessori - una volta che il contribuente abbia compiutamente e correttamente assolto il dovere di dichiarazione - non assume in alcun caso rilevanza penale. Scompare, così, in particolare, il delitto di omesso versamento delle ritenute da parte del sostituto d'imposta, previsto dall'art. 2 del decreto legge n. 429 del 1982: figura criminosa che, più di altre, è stata al centro di vivaci polemiche, anche a fronte dell'abnorme numero di procedimenti penali cui essa, specie nella versione d'origine (anteriore, cioè, alla modifica operata dall'articolo 3 del D.L. 83/1981, convertito, con modificazioni, dalla legge 154/1991), aveva dato esca» 12. Ciononostante, si manteneva, ed anzi veniva rafforzata, la sanzione penale in ordine alle «condotte fraudolente» che il contribuente (debitore d'imposta), «ponga in essere su propri od altrui beni al fine di frustrare la proce-Page 4dura di riscossione coattiva» 13, fattispecie che trovava (trova) collocazione nell'art. 11 del D.L.vo n. 74/2000.

L'assenza del presidio penale nel momento del versamento delle imposte appariva però ben presto non rispondente alle esigenze del gettito erariale. Le sanzioni amministrative poste a difesa del pagamento delle imposte si erano infatti rivelate «scarsamente dissuasive (anche alla luce di possibili "ravvedimenti" a condizioni non proibitive)» 14.

Il crescente aumento di «condotte dirette al mancato versamento da parte dei sostituti d'imposta delle ritenute che questi avevano effettuato e certificato» 15 determinava pertanto il legislatore del 2004 a superare l'impostazione sanzionatoria meramente amministrativa ed a reintrodurre la penalizzazione dell'omesso versamento di ritenute certificate 16.

Un ripensamento di scelte politico-criminali, confermato con l'introduzione delle fattispecie di omesso versamento dell'IVA e di indebita compensazione, la cui giustificazione si può rinvenire anche nella circostanza che «il settore della riscossione è, nell'attuale momento storico, quello che maggiormente soffre, a causa della precarietà delle strutture e delle metodiche riscossive, destinate a lasciare ampi spazi negativi quanto ai risultati attesi» 17.

La scelta a favore dell'irrilevanza penale del mancato adempimento dell'obbligazione pecuniaria relativa all'imposta dichiarata, alla quale aveva aderito il decreto legislativo n. 74/2000, è stata dunque ripensata. In tal modo si è aperta la strada per il superamento della logica che aveva inteso concentrare «l'intervento penale sugli illeciti consumati nella fase dell'autoaccertamento del debito d'imposta» 18, e che aveva risposto fiducia nel recupero delle somme non percepite dall'erario attraverso le procedure e le sanzioni amministrative, pragmaticamente considerate al contempo deflattive e tendenzialmente più rapide dei processi penali.

Non si deve dimenticare, d'altra parte, che il legislatore «ha puntato da decenni sulla massima delle sanzioni, quella penale, sia per aver verificato la non adeguata deterrenza della sanzione non penale sia per aver verificato la tradizionale lentezza delle procedure amministrative» 19.

@3. La condotta punibile, il concorso con gli altri reati tributari del D.L.vo n. 74/2000 ed il bene giuridico tutelato.

Il reato di omesso versamento dell'IVA, richiamando il contenuto precettivo e sanzionatorio dell'art. 10 bis, assoggetta alla pena della reclusione da sei mesi a due anni «chiunque non versa l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo». E, ciò, fermo restando che il mancato versamento sia superiore alla soglia di punibilità, fissata dalla norma oggetto di rinvio in euro 50.000,00 per ciascun periodo d'imposta.

Il delitto ex art. 10 ter si presenta strutturato come reato omissivo proprio 20, dalla natura istantanea 21, la cui condotta consiste nel mancato versamento - «entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo» - dell'IVA autoliquidata nella dichiarazione annuale, sempre che contenga un saldo debitorio superiore alla menzionata soglia di punibilità.

Per contro, la condotta deve ritenersi insussistente qualora il contribuente abbia omesso di presentare la dichiarazione annuale, in tal caso ipotizzandosi il solo reato di «omessa dichiarazione» di cui all'art. 5 D.L.vo n. 74/2000.

Quanto ai rapporti tra l'art. 5 ed il nuovo art. 10 ter, posta la diversa soglia di punibilità prevista per l'integrazione delle due fattispecie, legittime per plessità si palesano in ordine ad una possibile violazione dell'art. 3 Cost. Infatti, l'art. 5 esige che venga superata la soglia di euro 77.468,53, mentre il 10 ter quella di euro 50.000,00. Ne deriva la «paradossale conseguenza che laddove un contribuente presenti regolamento la dichiarazione IVA e non versi l'imposta dovuta sulla base di essa per un importo superiore a 50.000,00 euro ma inferiore a 77.468,53 questi commetterà il delitto di cui all'art. 10 ter, mentre se quello stesso contribuente non avesse presentato alcuna dichiarazione non avrebbe commesso alcun reato, essendo l'imposta evasa inferiore alla soglia di punibilità prevista dall'art. 5» 22. Al di là dei profili di legittimità costituzionale, non può sfuggire, comunque, che si sia di fronte ad un - quanto meno - discutibile coordinamento delle norme.

La configurabilità del reato di omesso versamento IVA si deve, inoltre, escludere nelle ipotesi in cui sia stata presentata una dichiarazione IVA fraudolenta o infedele seguita dal versamento delle somme indicate nella (seppur) fraudolenta/infedele dichiarazione: in tali eventualità il soggetto sarà punibile soltanto per le fattispecie sanzionate agli artt. 2 («dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti»), 3 («dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici») e 4 («dichiarazione infedele») del cit. D.L.vo n. 74/2000. Viceversa, qualora il contribuente omettesse il pagamento dell'IVA dovuta, ben potrebbe configurarsi il concorso tra la figura criminosa di cui all'art. 10 ter e quelle previste dai predetti artt. 2, 3 e 4 23.

Per quanto concerne il bene giuridico tutelato dall'art. 10 ter, la Relazione governativa di accompagnamento al decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, introducendo le due...

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