Tribunale Penale di Macerata sez. gip/gup, 4 aprile 2018

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giur
2/2019 Rivista penale
MERITO
TRIBUNALE PENALE DI MACERATA
SEZ. GIP/GUP, 4 APRILE 2018
EST. POTETTI – IMP. X
Abuso d’uff‌icio y Elemento oggettivo y Illegittimi-
tà della condotta y Ingiusto vantaggio patrimoniale
y Coesistenza dei due elementi illeciti y Necessità.
Abuso d’uff‌icio y Estremi y Violazione di legge o di
regolamento y Atti amministrativi a carattere gene-
rale y Individuazione.
. Il reato di abuso d’uff‌icio è integrato dalla doppia e
autonoma ingiustizia, sia della condotta (che deve es-
sere connotata da una violazione di legge, ecc.) che
dell’evento di danno o di vantaggio, in quanto non spet-
tante in base al diritto oggettivo, con la conseguente
necessità per il giudice di verif‌icare se l’evento di dan-
no o di vantaggio sia ingiusto in sé e non soltanto come
rif‌lesso della violazione di norme da parte del pubblico
uff‌iciale: con la conseguenza che vanno espunti dall’a-
rea dell’illecito penale i comportamenti abusivi f‌inaliz-
zati a procurare un danno o un vantaggio conforme al
diritto. (c.p., art. 323) (1)
. I regolamenti, la cui violazione integra la condotta
del delitto di abuso d’uff‌icio (art. 323 c.p.), sono quelli
adottati secondo il modello pref‌igurato dalla L. 23 ago-
sto 1988, n. 400 e quelli che trovano fondamento in ogni
altra disposizione di legge che attribuisca a un organo
preposto alla disciplina di specif‌ici settori della pubblica
amministrazione il potere di adottare atti amministrativi
a carattere generale. (c.p., art. 323; l. 23 agosto 1988) (2)
(1) Nello stesso si veda Cass. pen., sez. VI, 10 dicembre 2015, n.
48914, in questa Rivista 2016, 595; analogamente cfr. Cass. pen., sez.
VI, 25 agosto 2014, n. 36125, ivi 2015, 373.
(2) Nello stesso senso si è pronunciata Cass. pen., sez. VI, 21 no-
vembre 2000, n. 11933, in questa Rivista 2001, 389, dove il termine
regolamento viene impiegato per inquadrare una fonte di produzione
normativa tipica delle amministrazioni.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
(Omissis)
2) Soluzione della questione di responsabilità. La moti-
vazione (prevalentemente) in fatto.
2.1 Questo giudicante, sulla base degli elementi sopra
esposti, ritiene di dover pervenire all’assoluzione dell’im-
putato sulla base di più concorrenti ma autonome motiva-
zioni, delle quali la prima prevalentemente in fatto, e le
altre prevalentemente in diritto.
La motivazione prevalentemente in fatto richiede però
una premessa in diritto.
Quello di cui all’art. 323 del codice penale è un reato
contro la pubblica amministrazione che si caratterizza per
il dolo intenzionale.
In altre parole, ai f‌ini di un’eventuale pronuncia di
condanna dell’imputato, è necessario dimostrare che la
condotta dell’imputato era f‌inalizzata specif‌icamente (per
quanto riguarda il nostro caso) a procurare a sé stesso o
alla sua compagna un ingiusto vantaggio patrimoniale.
In altre parole, il f‌ine della condotta deve essere quello
(nel nostro caso) del prof‌itto patrimoniale privato.
Può anche accadere, in astratto, che il f‌ine egoistico
privato e quello pubblico siano entrambi presenti e con-
correnti.
In questo caso, il diritto vivente come ricostruito da C.
cost. n. 251-06 (che non prende posizione sulla questione)
era nel senso che per andare esente da responsabilità
penale non basta che l’imputato abbia perseguito il f‌ine
pubblico accanto a quello privato, ma è necessario che egli
abbia perseguito il f‌ine pubblico come obiettivo principale
(conf. Cass., n. 14038-15; per Cass., n. 18895-11, occorre
decidere sulla base della f‌inalità prevalente) con conse-
guente degradazione del dolo di danno o di vantaggio da
dolo intenzionale a mero dolo diretto (semplice previsione
dell’evento) od eventuale (mera accettazione del rischio
della verif‌icazione dell’evento).
2.2 Premesso quanto sopra, occorre sgomberare il cam-
po da alcune suggestioni che non hanno rilevanza ai f‌ini
della presente decisione.
Per cominciare, il predominio (nel procacciamento
delle assistenze non sanitarie nel reparto di medicina di
cui si tratta) da parte dell’Y è un dato pacif‌ico nell’istrut-
toria sottoposta alla valutazione di questo giudicante.
Così come appare dimostrato l’atteggiamento autorita-
rio esercitato dalla medesima Y nel contesto di cui sopra.
Questo dato però è penalmente irrilevante quando si
tratti di giudicare della responsabilità penale dell’impu-
tato.
È possibile e verosimile che la Y abbia goduto di un af-
f‌idamento da parte delle colleghe e da parte dei familiari
dei pazienti ivi ricoverati dovuto al fatto di essere la com-
pagna dell’imputato, il quale a sua volta esercitava in quel
reparto la delicata professione dell’infermiere.
È facile ipotizzare una, per così dire, “prevalenza am-
bientale” dell’ Y dovuta a questo suo particolare rapporto
con l’imputato.
È possibile che la Y, grazie a questo particolare rap-
porto affettivo con l’imputato, potesse avere maggiore co-
noscenza delle dinamiche interne del reparto, degli arrivi
dei degenti, e di altri elementi che la ponevano in grado di
assumere quella posizione di supremazia.
Si tratta però di considerazioni che non servono per af-
fermare la responsabilità penale dell’imputato, perché la
condotta di cui all’art. 323 del codice penale è tipica, e nel
nostro caso per ritenerla integrata occorre dimostrare che
l’imputato “nello svolgimento delle funzioni o del servizio“
(e non quindi nella propria vita privata o para-coniugale)
abbia violato norme di legge o di regolamento, ovvero abbia
omesso di adempiere al proprio dovere di astensione in pre-
senza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto.
Non basta quindi nemmeno ipotizzare che l’imputato
fosse particolarmente interessato alla prof‌icua attività
professionale della compagna, dovendosi invece dimostra-
re che questo interesse si sia concretizzato nelle condotte
appena descritte (fra l’altro risulta che l’imputato abbia in
qualche caso sollecitato il lavoro di persone diverse dalla

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