Tribunale penale di Alessandria uff. sorv., 4 dicembre 2013 (ud. 30 novembre 2013)

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2/2014 Rivista penale
MERITO
evidenza il contrasto a livello europeo della previsione di
una pena detentiva prevista per il reato di immigrazione
clandestina nella fase della permanenza del cittadino
straniero nel territorio dello stato italiano, a dispetto di
un ordine di espulsione a norma dell’art. 14 sopracitato.
In sostanza l’Europa pur non facendo nulla di concreto
per contenere direttamente il triste fenomeno dell’immi-
grazione clandestina, da qualche anno contesta e contra-
sta i sistemi penali degli Stati membri che hanno adottato
normative penali deterrenti con pene restrittive della
libertà personale volte ad arginare e far diminuire il fe-
nomeno suddetto che ormai incide considerevolmente sui
bilanci economici, soprattutto dell’Italia, oltre che sulla
qualità della vita dei cittadini italiani per l’affollamento
umano, oltre il consentito e per ogni dove, dei cosiddetti
“clandestini” nella nostra Penisola.
D’altra parte si deve riconoscere che come ha operato
la sentenza che si commenta, si è voluta favorire la tutela
dei diritti umani nei confronti di persone che hanno subito
un processo “ingiusto” (def‌inito quasi sempre con la so-
spensione condizionale della pena), che tuttavia, ribaltato
con una sentenza di assoluzione per inesistenza di reato,
(nullum crimen sine lege) ha cancellato come una più
generale declaratoria di amnistia le migliaia di processi
pendenti nei vari tribunali italiani, dei cittadini clande-
stini che però nessuno ha provveduto materialmente a far
rimpatriare nei rispettivi Paesi di origine. Salvo le ipotesi
di cui all’art. 10 bis del T.U. dell’immigrazione che prevede
solo l’irrogazione di due ammende, per i clandestini, una
per aver varcato la frontiera illegalmente, e l’altra per la
permanenza nel territorio dello Stato italiano, (v. Cass.,
sez. I, 11 luglio 2013, n. 29776, in questa Rivista 2013, pag.
901) con la conseguenza che in caso di condanna i clan-
destini rimangono sul territorio, perché la norma non è
disapplicabile.
Questa circostanza assolutamente negativa per la si-
tuazione di confusione che crea in Paesi come l’Italia è
in contrasto con la motivazione della sentenza della Corte
di Giustizia dell’Unione europea del 28 aprile 2011 che ha
sottolineato ancora una volta lo spirito della direttiva del
2008, che era quello di mettere in condizione lo straniero
clandestino privo di documenti di poter preparare diretta-
mente in Italia la procedura di rimpatrio, o di effettuare
da parte delle autorità preposte, l’allontanamento entro
un certo termine f‌issato, di colui che non era stato in gra-
do di tornare spontaneamente nel suo Paese.
Di fronte a questa situazione che pone in evidenza una
posizione di stallo sia da parte dello straniero clandestino
che non ottempera all’obbligo di tornare in patria, sia dello
Stato che non riesce lo stesso ad effettuare la procedu-
ra di rimpatrio, è necessario un più eff‌icace intervento
dell’Europa che predisponga mezzi idonei a non creare
più situazioni di disagio e di tragedia quali quelle che si
sono verif‌icate ultimamente nell’estate e f‌ino all’ottobre
2013 intervenendo in via preventiva evitando gli sbarchi
di clandestini all’origine, dando in tal modo più ampio
respiro al nostro Paese di smaltire le numerose pratiche
arretrate di rimpatrio, mai eseguite, per l’aggiungersi di
nuovi ingressi quotidiani di stranieri.
Solo così potranno realizzarsi anche le f‌inalità della
stessa citata Direttiva europea, centrando la realizza-
zione degli obiettivi perseguiti per fare pacif‌icamente
rimpatriare tutti coloro che clandestinamente e senza un
lavoro regolarmente retribuito (v. la normativa del 2009
sulle badanti) continuino a permanere negli Stati mem-
bri dell’Unione, nel rispetto dei principi di proporzionalità
e di eff‌icacia per quanto riguarda i mezzi impiegati e gli
obiettivi perseguiti.
Alla luce di tutto questo sembra per ora non proprio
urgente il rimaneggiamento della legge Bossi-Fini, come
da più parti è stato sollecitato; ciò al f‌ine di evitare malin-
tesi o implicite interpretazioni più benevole della norma
che produrrebbero ulteriori confusioni ed illusioni in un
momento critico come l’attuale. È suff‌iciente allo stato
che i giudici possano disapplicare di fatto l’accusa e le
sentenze di condanna per il reato di cui all’art. 14, comma
quinto ter, del D.L.vo n. 286/1998, contrarie allo spirito
della direttiva 2008/115, senza alcuna conseguenza quan-
to all’esecuzione; rimarrebbe infatti invariata la misura
dell’espulsione, edulcorata dalla procedura concreta e
mirata dell’effettivo rimpatrio dello straniero clandestino
nel proprio Paese.
TRIBUNALE PENALE DI ALESSANDRIA
UFF. SORV., 4 DICEMBRE 2013
(UD. 30 NOVEMBRE 2013)
EST. VIGNERA – RIC. G.
Istituti di prevenzione e pena (ordinamento
penitenziario) y Aff‌idamento in prova al servizio
sociale y Esito positivo y Estinzione della sola pena
detentiva y Conseguente inapplicabilità delle misu-
re di sicurezza y Esclusione.
. L’effetto estintivo della pena detentiva conseguente
all’esito positivo dell’aff‌idamento in prova al servizio
sociale non costituisce un’estinzione in senso proprio
perché deriva da una particolare modalità di esecuzio-
ne della pena stessa. A tale effetto estintivo, pertanto
non si ricollega l’inapplicabilità della misura di sicu-
rezza prevista dall’art. 210, comma 2, c.p. (c.p. art. 210;
l. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47) (1)
(1) Nello stesso senso della pronuncia in commento si vedano Cass.
pen., sez. I, 24 giugno 2005, P.M. in proc. De Angelis, in questa Rivista
2006, 861 e Cass. pen., sez. I, 10 aprile 2003, P.M. in proc. Pellegrini,
ivi 2004, 256.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - A seguito di sentenza in data 1° luglio 2010 della
Corte di Appello di Milano (che riformava parzialmente
quella emessa il 5 novembre 2009 dal GIP del Tribunale

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