Trasgressione del divieto di reingresso: davvero disapplicazione per violazione del principio di primazia del diritto dell'Unione?

AutorePuccetti Lorenzo
Pagine663-665
663
giur
Rivista penale 6/2012
MERITO
MOTIVI DELLA DECISIONE
A norma dell’art. 13, comma 13, del D.L.vo n. 286/98 “lo
straniero destinatario di un provvedimento di espulsione
non può rientrare nel territorio dello Stato senza una
speciale autorizzazione del Ministero dell’Interno; in caso
di trasgressione lo straniero è punito con la reclusione da
uno a quattro anni ...”.
Si ritiene che anche il delitto di illecito reingresso di cui
al detto art. 13 comma 13 D.L.vo n. 286/98 non sussista più,
perchè in contrasto con la direttiva 2008/115/CE. Se anche
la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 28 aprile
2011, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità comu-
nitaria della fattispecie delittuosa di cui all’art. 14 comma
5 ter, in quanto “la direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, recante norme e
procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpa-
trio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare,
in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata
nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato
membro, come quella in discussione nel procedimento
principale, che preveda l’irrogazione della pena della
reclusione al cittadino di un Paese terzo il cui soggiorno
sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione
di un ordine di lasciare entro un determinato termine il
territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza
giustif‌icato motivo”, si ritiene che i principi enunciati con
la detta sentenza siano validi, e possano quindi applicarsi
mutatis mutandi, anche al distinto delitto di illecito rein-
gresso nel territorio dello Stato di cui all’art. 13 comma
13 e che la detta norma, in forza della detta sentenza,
comporti una violazione dell’effetto utile, posto che la
previsione di una pena detentiva a carico dello straniero
che abbia fatto illegalmente ingresso in Italia in violazio-
ne di un divieto di reingresso costituisce un ostacolo al
conseguimento dell’obiettivo dell’effettivo rimpatrio dello
straniero irregolare, individuato come prioritario dalla
Inoltre, l’incompatibilità del procedimento amministra-
tivo interno di esecuzione del provvedimento di espulsio-
ne con il sistema delineato in sede comunitaria comporta
la disapplicazione dell’atto amministrativo contenente il
divieto di reingresso (anche se emesso prima del termine
concesso agli Stati per l’attuazione della direttiva), con
la conseguenza che l’imputato del reato di cui all’art. 13
comma 13 deve essere assolto perché il fatto non sussiste,
essendo venuto a mancare un presupposto della condotta
tipica. (Omissis)
TRASGRESSIONE DEL DIVIETO
DI REINGRESSO: DAVVERO
DISAPPLICAZIONE PER
VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO
DI PRIMAZIA DEL DIRITTO
DELL’UNIONE?
di Lorenzo Puccetti
La riforma della disciplina penale in materia di immi-
grazione, attuata con il d.l. n. 89/2011 (1) ha riguardato
anche in via immediata (nella parte in cui si identif‌ica
quale soggetto attivo del reato non più “lo straniero espul-
so” ma “lo straniero destinatario di un provvedimento di
espulsione”) e mediata (con riferimento al provvedimento
amministrativo presupposto di espulsione), il delitto di
‘reingresso” previsto dal comma 13 dell’art. 13 del D.L.vo
25 luglio 1998 n. 286 (in seguito TUS).
La norma (2) - come novellata dall’art. 3, comma 1, lett. c)
n. 8, del d.l. n. 89/2011 - stabilisce che lo straniero è punibile
non solo quando sia stato espulso coattivamente ma anche
qualora dopo essere stato semplicemente intimato ad allon-
tanarsi con un decreto di espulsione adottato dal Prefetto
ai sensi dell’art. 13, comma 2, TUS, sia poi emigrato volon-
tariamente dal territorio nazionale, sempreché abbia fatto
“reingresso” nel territorio dello Stato in violazione del divieto
senza una speciale autorizzazione del Ministero dell’interno.
Dal tenore letterale della fattispecie incriminatrice si desu-
me che è quindi esclusa ogni penale rilevanza della condotta
di chi, sebbene attinto dal decreto di espulsione con divieto
di reingresso, sia sempre rimasto sul territorio nazionale.
Anche la disciplina amministrativa presupposta concer-
nente la durata del divieto di reingresso di cui al comma
14 dello stesso art. 13 TUS è stata oggetto di modif‌ica legi-
slativa. Ora è previsto che il divieto operi normalmente per
un periodo non inferiore a tre (3) anni e non superiore a
cinque (5) anni decorrenti dal momento in cui l’allontana-
mento sia stato eseguito, termine da f‌issare dall’Autorità
amministrativa - tenuto conto di tutte le circostanze perti-
nenti il singolo caso - nell’ambito del predetto range.
La disposizione incriminatrice prima della riforma
(rectius: il provvedimento amministrativo del divieto di
reingresso presupposto) è stata argomento di contrastanti
valutazioni di compatibilità con il diritto dell’UE.
In particolare la modif‌icata disciplina della durata
dell’espulsione amministrativa di cui all’art. 13 comma 14
del TUS a seguito di reingresso - provvedimento ammini-
strativo la cui violazione è presupposto del reato in esame
- era sospettata di non conformità con l’art. 11 § 2 (3)
della direttiva c.d. “rimpatri” 2008/115/UE (4), nella parte
in cui stabiliva che il divieto di reingresso dopo l’ordine di
allontanamento perdurasse per dieci (10) anni invece che
per cinque (5), non prevedendo inoltre alcuna motivazio-
ne sull’effettiva durata del divieto.

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