Il tramonto di un mito: l'abolizione del principio di ultrattività nel nuovo diritto penale tributario. Effetti sulle nuove fattispecie criminali

AutoreGiuseppe Bersani
Pagine849-851

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  1. Premessa. - Il 13 gennaio 2000 è entrata in vigore la prima parte della riforma del diritto penale tributario attraverso l'art. 24 del D.L. 507/99 attuativo della legge 205/99 1.

    Con l'art. 24 è stato abrogato l'art. 20 della L. 7 gennaio 1929, n. 4, che prevedeva l'istituto della «ultrattività» della legge penale finanziaria, e che - costituendo una deroga al principio generale di cui all'art. 2 c.p. - fino al 1930 ha impedito nello specifico settore del diritto penale tributario la retroattività delle norme penali abrogatrici o più favorevoli, nonché gli art. 7 della L. 15 maggio 1991, n. 154 2, e 7 ter della L. 8 agosto 1994, n. 489 3.

    Queste ultime due norme prevedevano deroghe all'art. 20 legge 4/29 e che, a seguito dell'abrogazione del principio di ultrattività, non avevano più nessuna logica ragione di esistere.

  2. Il significato dell'ultrattività nel diritto penale tributario. - Al fine di meglio comprendere la portata della modifica legislativa si rende necessario ripercorrere brevemente il dibattito dottrinale circa la natura e la funzione dell'istituto 4.

    Come già accennato, il fondamento normativo del principio di ultrattività si rinveniva nell'art. 20 della L. 7 gennaio 1929, n. 4 («Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie»), ove si prevedeva che «le disposizioni penali e quelle che prevedono ogni altra violazione di dette leggi si applicano ai fatti commessi quando tali disposizioni erano in vigore, ancorché le disposizioni siano abrogate o modificate al tempo della loro applicazione».

    La citata disposizione ha costituito fino al 13 gennaio 2000 una norma «parallela» all'art. 2 del c.p., in quanto disciplinava la successione nel tempo delle leggi penali finanziarie in modo difforme da ogni altra legge penale che non fosse eccezionale o temporanea 5.

    Nella vigenza dell'art. 20 legge 1929 n. 4, da parte della dottrina 6 si è discusso sulla natura di tale «eccezione», rilevando come non fosse possibile individuare una ipotesi di vera e propria «ultrattività», (dovendosi riservare tale concetto soltanto alla legge applicabile a fatti venuti ad esistenza posteriormente alla sua abrogazione), ma - piuttosto - di operatività del criterio tempus regit actum 7; in tal modo si evidenziava che non era retroattiva la lex posterior abrogante, che pure risultava più favorevole, e quindi tale soluzione era pienamente in linea con il precetto dell'irretroattività della legge penale incriminatrice di cui all'art. 25, comma 2, Cost.

    La ratio della norma speciale e della deroga all'art. 2 c.p. è stata rivenuta da alcuni autori nella tutela del superiore interesse fiscale 8, mentre secondo altri la ragione del diverso trattamento era costituita da una particolare esigenza di certezza del diritto che il Legislatore avvertiva in materia finanziaria 9.

    Altra dottrina rinveniva la ratio dell'eccezione alla regola generale dell'art. 2 c.p. 10 nella mera «ragion fiscale» che, in tale prospettiva, costituiva la sola vera spiegazione dell'art. 20 della legge 1929 n. 4, non sussistendo alcuna altra valida ragione per derogare al principio della legge più favorevole al reo.

    Agli autori si sono domandati se l'art. 20 legge 1929 n. 4 - anteriore all'art. 2 c.p. - fosse stato da quest'ultimo abrogato, in quanto l'entrata in vigore in tale ultima norma, non menzionando accanto alle leggi eccezionali e temporanee quelle finanziarie, avrebbe comportato l'abrogazione della norma speciale.

    In realtà la piena operatività dell'art. 2 legge 1929 n. 4 non è mai stata revocata in dubbio della maggioranza degli autori i quali - disattendendo le considerazioni degli autori contrari a tale soluzione - hanno osservato che la legge del 1929 ed il codice penale del 1930 sono entrati in vigore lo stesso giorno e quindi le due leggi sono contemporanee.

    Non è prospettabile, perciò, alcuna problema di successione di norme, e l'art. 20 legge 1929 n. 4 (almeno fino al 13 gennaio 2000) doveva considerarsi pienamente in vigore 11.

    Oggetto di non sopite controversie era - inoltre - la quaestio concernente l'applicabilità dell'art. 20 in ogni ipotesi di successione di norme penali tributarie.

    Secondo alcuni autori la norma ora abrogata, imponeva la sistematica applicazione del precetto tempus regit actum anche quando, ad una legge penale comune, succedeva una legge penale tributaria (o - melius - finanziaria) più favorevole.

    A questa impostazione conseguiva una equiparazione tra l'art. 20 in discorso e l'art. 2, comma 4, c.p. che è stata recentemente criticata in dottrina 12 sulla considerazione che la norma speciale doveva trovare applicazione soltanto nei casi in cui il primo termine del rapporto successorio fosse costituito da una legge penal-tributaria, con la conseguente possibilità di applicare il principio del favor rei contenuto nel terzo comma dell'art. 2 c.p. anche all'ipotesi di una legge finanziaria più mite succeduta a una non finanziaria.

    Allorquando - invece - una legge comune posteriore fosse favorevole al reo, il principio stabilito dall'art. 2, terzo comma, c.p. si riespandeva e l'art. 20 in esame non rivestiva più il carattere di disposizione che fa eccezione a regole generali.

    Alla luce di tale ordine di considerazioni la dottrina si era interrogata sull'opportunità del mantenimento della disciplina, sul punto fortemente differenziata rispetto al diritto penale comune, sancita dall'art. 20 in questione, chiedendosi in particolare se ciò fosse giustificato in un sistema in cui la regola della pregiudizialità è stata soppressa, quellaPage 850 dell'alternatività non viene più seguita e - soprattutto - le fattispecie incriminate, concernenti - di massima - comportamenti meramente strumentali e sintomatici della vera e propria evasione fiscale, risultano svincolate dall'accertamento della stessa» 13.

    Va altresì ricordato che l'istituto dell'ultrattività era stato salvato più volte da censure di incostituzionalità 14 circa la sua conformità al principio di legalità di cui all'art. 25 Cost. 15, con esplicito richiamo da parte della Corte costituzionale a precedenti assertivi della piena compatibilità del principio anche con l'art. 3 Cost..

    In tali occasioni la Corte costituzionale aveva sottolineato ed evidenziato la sussistenza del principio di «ragionevolezza», cioè di un principio rispondente alla peculiare rilevanza dell'interesse tributario dello Stato, arbitro, se del caso, di una eventuale deroga.

    In particolare, da parte della Corte costituzionale non si è mai dubitato che la scelta tra la retroattività ai sensi dell'art. 2 c.p. e la deroga nella materia penale tributaria si inscrivesse nella discrezionalità insindacabile del Legislatore, tanto che con la sentenza 202/93 16 ha ribadito che l'esclusione del reato ex art. 3, secondo comma, L. 516/82 dal meccanismo della retroattività a pagamento si sottrae a censure di incostituzionalità, avendola il Legislatore operata tenendo conto della particolare insidiosità della fattispecie, in ragione della sua potenziale attitudine a preparare o coprire future evasioni tributarie.

    In tal contesto dottrinale e giurisprudenziale, il Legislatore accogliendo le critiche di parte della dottrina 17, ha approfittato della riforma delle fattispecie sanzionatorie per eliminare le anomalie più evidenti del diritto penale tributario rispetto al diritto penale «comune».

  3. Gli effetti dell'abrogazione del principio di ultrattività sulle «vecchie» e nuove fattispecie del diritto penale tributario. - La modifica legislativa è stata sostanzialmente accolta con favore 18 in dottrina, anche se, come già accennato, non sono mancate voci che nell'immediato passato si erano pronunciate in senso favorevole al mantenimento della regola dell'ultrattività 19.

    L'abrogazione dell'art. 20 porta alla «riespansione» del principio generale previsto dall'art. 2 c.p. che, disciplinando la successione di norme penali nel tempo, prevede, che quando due norme si sono succedute nel tempo e disciplinano la medesima fattispecie, troverà applicazione quella più favorevole all'imputato.

    Pertanto, come si è osservato 20 in un commento «a caldo», la disciplina della successione delle leggi penali nel tempo in materia tributaria viene totalmente assimilata a quella comune dettata dall'art. 2 del codice penale.

    Di conseguenza nel futuro non sarà più possibile per il Legislatore prevedere norme analoghe a quelle abrogate dall'art. 24 comma 2, conseguentemente, non sarà...

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