Tortura e trattamenti inumani e degradanti in italia: tra convenzioni internazionali e deficit legislativi

AutorePatrizia Palermo
Pagine1185-1197

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@Premessa

Alcuni dei processi per i fatti accaduti a Genova durante il G8 del 2001 hanno fatto emergere una importante questione giuridica inerente alla vacanza normativa nel nostro sistema penale in materia di reato di tortura.

L’assenza di una specifica fattispecie criminale che disciplini e sanzioni il reato di tortura ha costretto la Procura di Genova e il tribunale a ricorrere ad altre fattispecie criminali, al fine di sanzionare i gravi fatti accaduti all’interno della Caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova.

Costituisce un importante elemento di riflessione il fatto che l’Italia abbia ratificato diverse Convenzioni internazionali in materia di tutela dei diritti fondamentali e di divieto di tortura, ma, ad oggi, non è ancora stata introdotta nel nostro ordinamento una norma penale ad hoc, come richiesto dal rispetto dei principi di riserva di legge e del favor rei.

Ulteriore elemento di «attrito» si manifesta proprio nel rapporto tra il rispetto di questi principi consolidati e radicati, ed i recenti e importanti orientamenti espressi dalla Consulta in materia di ruolo delle Convenzioni internazionali, e della Cedu in particolare, nella nostra gerarchia delle fonti.

Diventa dunque un importante problema di rapporto tra sistemi multilivello di tutela dei diritti fondamentali, soprattutto delle vittime di aggressioni, che si «scontra» con altri fondamentali principi costituzionali in materia penale.

È impossibile trascurare il fatto che l’attuale sistema di tutela dei diritti fondamentali apra l’ordinamento interno a quello internazionale e comunitario; è dunque inevitabile che anche il diritto penale venga coinvolto in questa innovata interazione di fonti, pur nel rispetto di principi ormai consolidati in materia.

Nello spazio europeo, non solo quello comunitario, ma anche quello inerente alla Convenzione europea dei diritti umani, sono state date recentemente delle risposte forti, soprattutto a livello giurisprudenziale.

La Corte europea dei diritti umani ha più volte sancito la inderogabilità del divieto di tortura e dei trattamenti inumani e degradanti, e questa giurisprudenza è stata abbondantemente citata durante i processi relativi ai fatti del G8 di Genova.

Non solo, ma l’Italia è stata recentemente e ripetutamente condannata per violazione dell’art. 3 della Convenzione Edu, che sancisce il divieto assoluto di tortura e dei trattamenti inumani e degradanti, per aver allontanato dal territorio nazionale dei tunisini sospettati di terrorismo, destinandoli a probabili (o sicure) torture nelle carceri nazionali di destinazione (caso Saadi c. italia, del febbraio 2008 e altri casi recenti di cui si dirà in seguito). Non solo, ma nel caso Scoppola c. Italia la Corte di Strasburgo ha dichiarato all’unanimità la violazione dell’art. 3 della Cedu per le condizioni di detenzione di un condannato in particolari condizioni di salute. Il 16 luglio la Corte ha ancora condannato l’Italia per le condizioni di eccessivo sovraffollamento delle carceri (caso Sulejmanovic c. Italia).

L’assenza di una legge di previsione e di disciplina del reato di tortura, rappresenta, di fatto, una mancata attuazione di appositi impegni previsti da Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia.

Le recenti e ripetute decisioni della Corte di Strasburgo di accoglimento dei ricorsi presentati per violazione dell’art. 3 della Convenzione sono il segnale di una mancanza di rispetto degli obblighi assunti a vari livelli dallo Stato italiano, mascherata, talvolta, dall’esigenza di garanzia della pubblica sicurezza.

Non solo, ma la tortura esiste concretamente, anche se non è riconducibile ad una apposita fattispecie di reato, disciplinata e sanzionata dal codice penale.

Il caso del G8 di Genova, e del relativo processo per i fatti accaduti nella Caserma di Bolzaneto, ed il ricorso alla Corte di Strasburgo da parte dei familiari di Carlo Giuliani, sono solo alcuni esempi.

Il complesso bilanciamento, ammesso che sia ammissibile nello spazio europeo, tra esigenze di sicurezza, ordine pubblico e tutela dei diritti fondamentali, costituisce attualmente il fulcro di un dibattito importante anche nel nostro sistema.

Il G8 di Genova è un esempio di questo difficile balancing: dalla riduzione delle libertà e dei diritti in nome della esigenza di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza, all’insufficienza degli strumenti legislativi a disposizione della pubblica accusa, come emerso a seguito di un esame delle requisitorie presentate dalla Procura di Genova durante il processo di primo grado, alla dichiarazione di ricevibilità del ri-Page 1186corso presentato dai familiari di Giuliani, fondato anche sulla violazione del divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti.

@1.1. La tortura in Italia: tra impegni internazionali e deficit legislativi

– La Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, è in vigore in Italia dall’11 febbraio 1989, e rappresenta un importante strumento convenzionale ratificato dallo Stato.

L’art. 1 della Convenzione fornisce una espressa definizione della tortura laddove afferma: «il termine “tortura” designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad esse inerenti o da esse provocate».

Il successivo art. 4 dispone che ogni Stato Parte provveda affinché qualsiasi atto di tortura costituisca un reato a tenore del suo diritto penale. Lo stesso vale per il tentativo di praticare la tortura o per qualunque complicità o partecipazione all’atto di tortura.

La ratifica della Convenzione era stata preceduta dalla legge di autorizzazione del 3 novembre 1988 n. 498 che conteneva l’ordine di esecuzione per le norme convenzionali già esaustive e direttamente introdotte nell’ordinamento italiano.

La legge ha introdotto un’unica norma specifica ulteriore, relativa alla giurisdizione del giudice italiano (art. 3); non ha invece introdotto il reato di tortura, né ha fissato le relative pene.

Pertanto anche la norma sulla giurisdizione di cui all’art. 3, che sancisce che «è punito, secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro di grazia e giustizia: a) il cittadino che commette all’estero un fatto costituente reato che sia qualificato atto di tortura dall’articolo 1 della convenzione; b) lo straniero che commette all’estero dei fatti indicati alla lettera in danno di un cittadino italiano; c) lo straniero che commette all’estero uno dei fatti indicati alla lettera quando si trovi sul territorio dello Stato e non ne sia disposta l’estradizione», difficilmente potrà trovare applicazione dal momento che è collegato a una figura di reato che in quanto tale ancora non esiste.

Sino ad oggi, i rappresentanti italiani, hanno sostenuto, nel tentativo di giustificare la situazione attuale, diverse argomentazioni.

Inizialmente non hanno escluso l’eventualità di introduzione di un apposito reato, dall’altro però le competenti autorità hanno anche affermato che non sia indispensabile procedere alla formulazione di una norma incriminatrice ad hoc, poiché le torture sono già punibili mediante il ricorso alle fattispecie di reato già disciplinate dal codice penale1.

In merito alla elaborazione di una specifica norma di disciplina del reato di tortura, dopo i diversi tentativi, più o meno sfortunati, non sembra, ad oggi, che vi siano concrete possibilità di realizzazione, anche se sono giacenti in Parlamento alcuni disegni di legge in materia2.

Circa la non necessaria incriminazione ad hoc della tortura, si sono presentate due correnti interpretative.

In primo luogo si è affermato che, essendo la tortura definita in modo sufficientemente preciso nella Convenzione, il corrispondente reato sarebbe già stato, per effetto del solo ordine di esecuzione, introdotto nell’ordinamento interno.

In pratica, secondo questo orientamento, le norme relative al divieto di tortura, avrebbero un carattere self-executing3.

Questa ricostruzione trascura il «dogma» fondamentale del nostro ordinamento penale, e cioè il principio di legalità, e più precisamente il principio di riserva di legge nazionale in materia penale. La dottrina afferma infatti l’inderogabilità assoluta del principio costituzionale di riserva di legge in questa materia, nonostante qualche timida apertura, di cui si dirà in seguito4.

Un altro strumento internazionale che prevede e punisce la tortura è lo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, adottata a Roma il 17 luglio 1998 ed entrato formalmente in vigore il 1º luglio 2002.

L’art. 7, paragrafo 2 e) definisce:

e) per «tortura» s’intende l’infliggere intenzionalmente gravi dolori o sofferenze, fisiche o mentali, ad una persona di cui si abbia la custodia o il controllo; in tale termine non rientrano i dolori o le sofferenze derivanti esclusivamente da sanzioni legittime, che siano inscindibilmente connessi a tali sanzioni o dalle stesse incidentalmente occasionati;»5.

L’Italia ha deciso di procedere prima alla ratifica e di affrontare solo successivamente i cospicui problemi dell’adattamento del sistema interno. Questa decisione ha fatto emergere alcune perplessità in merito alla possibilità di un adeguamento ex post, soprattutto per i prevedibili ritardi su fronti sia del diritto...

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