La Genuinitá della prova testimoniale e le garanzie metodologiche della carta di noto

AutoreAntonio Forza
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@1. Premesse

Ancora una vicenda di presunta violenza su minori che, fortunatamente, ha trovato il suo radicale ridimensionamento in appello.

Ancora una storia di dichiarato abuso che ha generato una vicenda giudiziaria sol perché di abuso si è iniziato a parlare.

Uno dei tanti processi dove si è giudicata la «realtà pensata».

Questa sentenza, che dal punto di vista argomentativo costituisce un modello, rappresenta, nel quadro giurisprudenziale in tema di valutazione della testimonianza dei minori, un precedente assoluto nella valorizzazione dei criteri metodologici stabiliti dalla Carta di Noto.

Non risultano, infatti, altre decisioni sullo specifico tema delle Linee guida per l'indagine e l'esame psicologico del minore, adottate nel Convegno tenutosi nella località siciliana nel giugno del 1996 e, successivamente, aggiornate nel luglio 2002 da un nutrito ed autorevole gruppo di esperti: accademici, magistrati, avvocati, psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, criminologi, psicopatologi forensi e medici legali.

La sentenza, che qui si annota, ha reso giustizia, riformando la decisione del Tribunale di Bergamo che solo l'anno prima aveva condannato due religiose alla pena, pesantissima, di anni nove e mesi sei di reclusione ciascuno, ed assolvendole dall'accusa di violenza sessuale su minori con l'ampia formula, perché il fatto non sussiste.

@2. Il caso

La vicenda ebbe un notevole seguito sugli organi di stampa che avevano, sulle prime, valorizzato le sole dichiarazioni dei genitori e gettato fosche ombre sulla gestione di una scuola materna in una località della provincia di Bergamo.

I sospetti nei confronti delle due suore (che all'epoca dei fatti avevano rispettivamente sessanta e settantaquattro anni) erano partiti dalla madre di uno dei bambini (che aveva compiuto da poco i tre anni). La stessa aveva riferito di aver notato comportamenti strani, particolarmente erotizzati, ed aveva sollecitato una riunione di madri dell'asilo, senza che fosse assunta alcuna decisione. L'anno dopo un'altra mamma aveva lanciato sospetti per il proprio figlio, anch'esso di tre anni, finché le due madri erano arrivate ad interessare l'autorità giudiziaria.

Venivano svolte indagini accurate senza che nulla di significativo emergesse.

Furono poi sentiti, nelle forme dell'incidente probatorio, sette dei trentadue bambini, solo tre dei quali confermavano avanti il giudice dell'indagine preliminare quanto avevano in precedenza riferito alle madri.

Valorizzando le dichiarazioni rese dai bambini e disattendendo le ragioni difensive (condizioni di età e di salute delle imputate, non corrispondenza tra lo stato dei luoghi e la descrizione dei bambini, mancato reperimento presso le prevenute di materiale pornografico) il Tribunale di Bergamo perveniva ad un verdetto di affermazione della penale responsabilità delle imputate e le condannava ad una pena esemplare.

Avverso la sentenza veniva proposto appello dalle religiose che contestavano la validità ed attendibilità delle accuse.

Si faceva presente che la mamma, che per prima si era attivata, aveva avuto esperienze di abuso in giovane età.

Veniva evidenziato come i bambini, nelle dichiarazioni rese in sede di audizione protetta, avessero esposto fatti diversi rispetto a quanto riferito dai genitori 1.

L'incidente probatorio, poi, era stato eseguito con modalità tecnicamente errate, in quanto i bambini erano stati invitati a dire, esplicitamente, quanto avevano detto ai genitori.

Veniva poi dimostrato come, in seguito ai primi sospetti, si fosse creato tra i genitori dei bambini un contagio che aveva provocato il riprodursi ed il moltiplicarsi delle accuse.

Veniva, in particolare, sottolineato come fossero state obliterate quelle regole della Carta di Noto che invitano gli operatori, in sede di audizione protetta:

- a «garantire che l'incontro (con il minore) avvenga in tempi, modi e luoghi tali da assicurare la serenità del minore e la spontaneità della comunicazione»;

- ad «evitare in particolare il ricorso a domande suggestive o implicative che diano per scontata la sussistenza del fatto che è oggetto di indagine»;

- a «rendere espliciti al minore gli scopi del colloquio, tenuto conto della sua età e della capacità di comprensione, evitando, in quanto possibile, di caricarlo di responsabilità per quello che riguarda gli sviluppi del procedimento».

La Corte d'appello di Brescia, dopo aver puntualmente sottoposto ad un minuzioso vaglio critico il materiale probatorio raccolto ed aver ripercorso l'iter argomentativo della decisione dei primi giudici, conclude per la non sussistenza dei fatti contestati.

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In particolare, convenendo sul fatto che le testimonianze erano viziate e che la genuinità e la spontaneità delle dichiarazioni dei minori erano state messe a dura prova dall'atteggiamento degli interroganti, nega alle stesse quell'attendibilità di prova strenuamente difesa dal tribunale.

@3. Intervistare il...

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