In tema di delitto tentato e dolo eventuale

AutoreGaetano Ruello
Pagine649-650

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Il tema della compatibilità tra delitto tentato e dolo eventuale è, di vero, uno dei più dibattuti - e controversi - sia in dottrina che in giurisprudenza, e le stesse pronunce dei giudici della legittimità, dapprima orientate a contestare la linea interpretativa seguita dalla ben nota sentenza della Cassazione, Sez. un. 18 giugno 1983, Basile - attestate sull'assunto della incompatibilità tra delitto tentato e dolo eventuale - hanno finito, negli sviluppi successivi, per assumere posizioni elusive o ambigue.

Si è giunti, infatti, a considerare connotate da dolo diretto nella forma in cui l'evento sia previsto come probabile, casi in cui in concreto l'atteggiamento psicologico dell'agente si caratterizzava per l'accettazione del rischio che da una determinata condotta derivassero conseguenze diverse alcuna delle quali persino più grave di quella rappresentatasi come principale. E ciò allo scopo di non lasciare impuniti come tentativi (di omicidio) fatti caratterizzati da evidente rappresentazione di più eventi scaturenti - come possibili - da una determinata condotta, e da un agire a costo di determinare un evento diverso e più grave.

Il problema della compatibilità del tentativo con il dolo eventuale non può essere eluso, e merita di essere affrontato, anche alla luce dei contributi di dottrina e giurisprudenza senza pregiudizi di politica criminale, ma anche senza indulgenze verso facili garantismi.

Nessun dubbio, innanzitutto, che il tentativo di delitto è figura giuridico-penale risultante dalla fusione o combinazione di due norme: una norma incriminatrice speciale riferita a un delitto consumato, ed una norma a carattere generale estensiva rappresentata dall'art. 56 comma 1 c.p.

Ne risulta un titolo di incriminazione diverso rispetto al delitto consumato, in quanto da codesto chiaramente si distingue o perché l'azione non giunge a completamento o perché, pur compiuta l'azione, l'evento non si verifica (comma 1 dell'art. 56 c.p.).

Appare altrettanto evidente come il dato positivo differenzia il tentativo dalla corrispondente fattispecie «consumata» unicamente per gli elementi oggettivi, mentre la medesima norma non introduce alcun elemento differenziale a proposito dell'elemento soggettivo rappresentato dal dolo.

Così disegnato il «nuovo» titolo di reato può convenirsi che esso è «autonomo» rispetto alla figura di reato alla quale specificamente si richiama perché presenta - rimodellata - la parte strutturale di carattere...

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