Le società a partecipazione pubblica nell'osmosi tra diritto societario e diritto amministrativo: assetti proprietari, modelli di governance, operazioni straordinarie

AutoreNiccolò Abriani
Pagine197-214
Niccolò Abriani
Le società a partecipazione pubblica nell’osmosi
tra diritto societario e diritto amministrativo:
assetti proprietari, modelli di governance, operazioni straordinarie
S: 1. Premessa. – 2. Reciproche inuenze tra diritto amministrativo e diritto societario: obblighi
di motivazione e insindacabilità del merito (c.d. business judgement rule). – 3. Segue. Istruttoria ade-
guata e protocollo organizzativo quali premesse della corretta amministrazione dell’impresa in forma
societaria. – 4. Ancora sulle dicoltà di dialogo tra sistemi: scelta del partner e clausole di gradimento.
– 5. Accentuazione delle responsabilità dell’ente pubblico partecipante e ridenizione restrittiva dei
suoi poteri: verso una Haftung ohne Herrschaft? – 6. Sulla più recente evoluzione legislativa: limiti ai
compensi e al numero dei componenti degli organi di amministrazione. – 7. Sulle clausole statutarie
limitative delle prerogative dei soci pubblici. – 8. Operazioni straordinarie, strumenti di tutela del
socio pubblico e proli di danno erariale.
1. L’argomento oggetto di questo studio si colloca sistematicamente sul delicato
crinale tra la disciplina giuscommercialistica e quella amministrativistica ed è reso parti-
colarmente insidioso, per l’appunto, dalla intersezione di contesti che attingono a fonti
distinte e sono ispirati a logiche non sempre consonanti.
Al riguardo si potrebbe metaforicamente evocare un sistema normativo “a cerchi
concentrici”, nel più ampio dei quali si colloca la disciplina di diritto comune delle so-
cietà per azioni e a responsabilità limitata; più all’interno, la disciplina che potrebbe
denirsi come “similgenerale” (ovvero la regolamentazione generale delle società parte-
cipate dallo stato ed enti pubblici); ancora più all’interno, la disciplina speciale dettata
per determinate categorie di società partecipate, in relazione al loro assetto proprietario
e al servizio pubblico al cui esercizio o gestione sono destinate; inne, ancora più al
centro, la disciplina singolare che sovente è dettata da fonte primaria (nazionale o, più
raramente, regionale) per determinate, singole società a partecipazione pubblica.
Questi cerchi concentrici sono a loro volta intersecati radialmente da ulteriori ele-
menti accresciuti esponenzialmente dalla legislazione più recente e destinati ad incidere,
diversicandola, sulla disciplina applicabile: dall’assetto proprietario (partecipazione
pubblica totalitaria, maggioritaria, minoritaria) alla natura degli enti partecipanti (stata-
li, locali, territoriali, economici), all’oggetto sociale, alla circostanza che la società abbia
o meno beneciato di adamenti diretti di determinate attività.
In questo intreccio e sovrapposizione di discipline si creano – con interventi statu-
tari che attraversano i diversi piani ora descritti – gure “mostruose”, nella accezione
latina ed etimologica del termine, che evoca le Metamorfosi di Ovidio.
Dall’esame degli statuti di alcune società a partecipazione pubblica emergono eet-
tivamente clausole alquanto “eclettiche”. È dato infatti constatare previsioni statutarie
che continuano a spostare verso la dimensione assembleare il baricentro decisionale di
società che conservano comunque la forma azionaria. Il caso più singolare è oerto da
una clausola che assegna all’assemblea ordinaria addirittura la competenza a nominare
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l’amministratore delegato; ovvero, secondo una variante parimenti illegittima, ad appro-
vare (o, come talvolta si legge, a “raticare”) la nomina operata dal consiglio di ammini-
strazione: previsioni che già erano incompatibili rispetto al diritto azionario anteriore
alla riforma del 2003 e che risultano autentiche aberrazioni giuridiche alla luce della
disciplina novellata dalla riforma societaria.
Molto più frequenti sono le clausole che estendono le competenze dell’assemblea,
assegnandole la decisione in ordine ad una serie di operazioni gestorie considerate parti-
colarmente delicate o rilevanti. Si tratta di clausole che devono considerarsi inecaci dal
1° ottobre 2004 per contrasto con le norme imperative dettate dal d.lgs. n. 6 del 2003
di riforma organica delle società di capitali e cooperative; si registra dunque un’ipotesi di
sopravvenuta inecacia di clausole che in prevalenza risalgono ad epoca anteriore alla
riforma, quando la legge permetteva all’autonomia statutaria di aggiungere alle compe-
tenze dell’assemblea in sede ordinaria della società per azioni, anche la decisione su “altri
atti di amministrazione” (così, l’originario art. 2364, primo comma, n. 4 c.c.). Per con-
tro, la disciplina novellata – quale si desume dal vigente art. 2634, primo comma, n. 5,
coordinato con l’art. 2380-bis – permette soltanto di prevedere in sede di statuto che su
singoli “atti degli amministratori” (e si noti come l’originario genitivo oggettivo “atti di
amministrazione” abbia lasciato il campo al genitivo soggettivo “atti degli amministrato-
ri”) sia richiesta la preventiva autorizzazione assembleare; quindi, mai una competenza
decisoria dei soci in assemblea nella sfera gestoria, ma soltanto un’autorizzazione rispetto
a quello che rimane, in quanto di amministrazione, un atto la cui paternità e responsa-
bilità non può non ricadere sui componenti dell’organo amministrativo.
La gestione, come enuncia l’art. 2380-bis (di sicura applicazione anche alle società
per azioni a partecipazione pubblica) è di esclusiva spettanza dell’organo amministrati-
vo, tanto è vero che le deliberazioni assembleari in materia gestoria, puramente autoriz-
zatorie, non hanno nemmeno più la funzione di porre gli amministratori al riparo
dall’azione sociale di responsabilità. Non sono più dunque qualicabili, come no a ieri
si tendeva a dire nella prassi, come “deliberazioni a discarico della responsabilità” degli
amministratori: espressione, quest’ultima, già atecnica ed impropria prima della riforma
– perché erano a «discarico» unicamente dell’azione sociale di responsabilità, ma non
precludevano l’esperimento delle azioni riconosciute dalla legge ai singoli soci o terzi
direttamente danneggiati nella loro sfera patrimoniale e ai creditori sociali (e dunque
anche al curatore fallimentare, nelle cui mani si cumulano le azioni sociali e dei credito-
ri) – e che certamente non può trovare cittadinanza nel nuovo contesto normativo.
Lo scenario delineato dalla riforma è infatti il seguente:
la gestione è di esclusiva spettanza degli amministratori;
lo statuto può tutt’al più prevedere autorizzazioni su singole operazioni gestorie;
l’autorizzazione assembleare non elide neppure la possibilità che gli amministratori
siano chiamati a rispondere verso la società per i danni derivati dall’operazione,
ancorché autorizzata dall’assemblea. E ciò è coerente con la legittimazione oggi at-
tribuita ai soci che hanno un quinto del capitale (o 2,5%, nelle società che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio) in ordine alla promozione dell’azione so-
ciale di responsabilità: gli amministratori convenuti in giudizio nell’azione sociale
promossa dalle minoranze qualicate non potranno evidentemente eccepire l’inter-
venuta preventiva autorizzazione data dai soci di maggioranza.

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