Il sistema SENTNET per l'analisi delle pronunce della Corte Costituzionale applicato al bilanciamento
Autore | Valeria Marcenò - Antonio Mastropaolo - Francesco Pallante - Daniele P. Radicioni |
Carica | Svolgono le loro attività di ricerca presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell'Università di Torino - Dipartimento di Scienze economiche e politiche dell'Università di Aosta - Dipartimento di Informatica dell'Università di Torino |
Pagine | 185-209 |
Il sistema SEN TNET per l’analisi
delle pronunce della Corte Costituzionale
applicato al bilanciamento
VALER IA MARC ENÒ, ANTON IO MAS TROPAO LO
FRAN CES CO PALL ANT E, DANI ELE P. RAD ICI ONI∗
SOMM ARI O:1. L’interpretazione e la certezza del diritto – 2. Descrizione del siste-
ma SENTNE T – 2.1. Cenni metodologici sullo sviluppo del progetto – 2.2. Rappre-
sentazione formale della sentenza – 2.3. Annotazione delle sentenze e creazione del
corpus – 3. Un modello per il bilanciamento – 3.1. La letteratura sul bilanciamen-
to – 3.2. Il bilanciamento come individuazione di spazi assiologici mobili – 3.3. Il
bilanciamento come problema di ottimizzazione – 3.4. Bilanciamento fra princìpi –
3.5. Bilanciamento assente, bilanciamento arbitrario, bilanciamento non-arbitrario
– 3.6. Tecniche decisorie e bilanciamento – 4. Conclusioni
1. L’IN TER PRE TAZI ONE E L A CERTEZ ZA DE L DIR ITTO
Il sistema SEN TNET è stato sviluppato per analizzare le tecniche inter-
pretative della Corte costituzionale, con l’obbiettivo di verificare il bagaglio
tecnico-giuridico proprio degli interpreti del diritto in quanto scientifico, e
dunque non arbitrario ma controllabile.
L’idea che la legge debba essere chiara e autoevidente, da tutti conoscibi-
le nella sua essenza, in quanto prodotto della volontà della Nazione che si
esprime per il tramite dell’Assemblea nazionale, rappresenta il tratto fonda-
mentale del pensiero giuridico che prende forma a partire dalla rivoluzione
francese. Di fronte alla condizione di incertezza determinata dalla plurali-
tà di centri di produzione del diritto e dal controllo del potere giudiziario
da parte della noblesse de robe che aveva segnato l’Ancien Régime, occorreva
formulare una dottrina più adatta all’affermarsi del principio di uguaglianza.
Lo spazio del dubbio interpretativo doveva essere di conseguenza ridotto
al minimo, per evitare gli abusi che avevano segnato il periodo precedente.
Il giudice, interprete per eccellenza, doveva limitarsi ad essere bouche de la
lois secondo la nota definizione di Montesquieu. Egli, nel caso estremo in
∗V. Marcenò e F. Pallante svolgono le loro attività di ricerca presso il Dipartimento di
Scienze giuridiche dell’Università di Torino; A. Mastropaolo al Dipartimento di Scienze eco-
nomiche e politiche dell’Universitàdi Aosta e D.P. Radicioni al Dipartimento di Informatica
dell’Università di Torino.
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cui la legge non fosse autoevidente, doveva applicare le regole controllabili
della logica giuridica al fine di riconoscere il significato “vero” che preesisteva
all’interpretazione stessa della disposizione scritta.
Questo era il nucleo della tesi cognitivista, ancora salda nel secondo dopo-
guerra tra i nostri costituenti, che, più che una vera e propria teoria descrit-
tiva, come risulta evidente, era stata soprattutto l’ideologia del nuovo Stato
liberale preoccupato, in nome del principio di uguaglianza nella sua veste
formale, di garantire la certezza del diritto e di ridurre la sottoderminazione
del linguaggio giuridico1.
In quanto teoria la ricostruzione cognitivista è stata superata, a parti-
re dagli anni Cinquanta del secolo scorso, dalle cosiddette teorie scettiche
ed eclettiche dell’interpretazione, che trovarono la loro formulazione più
compiuta negli scritti di Ross2, Kelsen3e Hart4. Tali teorie, che in quan-
to tali pretendono di essere delle descrizioni del reale, hanno rivelato l’in-
sostenibilità della tesi che affermava l’esistenza di un unico significato ve-
ro per ogni enunciato, negando che l’attività ermenuetica sia mera attività
di conoscenza ed evidenziando piuttosto l’aspetto decisionale e soggettivo
dell’interpretazione.
In quanto dottrina il cognitivismo mostra, tuttavia, ancora oggi, le sue
buone ragioni: è capace di configurare la decisione giudiziaria come un’ap-
plicazione della volontà dei rappresentanti del popolo che siedono in Par-
lamento e non come una manifestazione della volontà della persona che la
pronuncia. L’interprete deve comportarsi come se una interpretazione cor-
retta della legge scritta possa essere raggiunta: è la condivisione di tale at-
teggiamento che consente ai giuristi di autorappresentarsi come una comu-
nità di scienziati e di produrre certezza attraverso un autocontrollo di tipo
esclusivamente culturale.
La considerazione di ciò ha spinto all’elaborazione della teoria mista del-
l’interpretazione che riconosce il carattere libero dell’attività ermeneutica,
ma cerca di vincolarla a una previa attività scientifica di tipo cognitivo, che
1Emblematiche della posizione cognitivista sono le disposizioni dei codici civili del
1865 e del 1942 sull’interpretazione, con la loro pretesa di vincolare il percorso ermeneu-
tico: criterio letterale, intenzione del legislatore, analogia legis,analogia iuris: tutti canoni
interpretativi legati al testo scritto.
2A. ROSS,On Law and Justice, London, Stevens and Sons Ltd., 1958; ID., Directives and
Norms, London, Routledge & K. Paul, 1968.
3H. KELS EN,General Theory of Norms, Oxford, Oxford University Press, 1991 (1979).
4H. HART,The Concept of Law, Oxford, Clarendon Press, 1961.
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