Sentenza Nº 51396 della Corte Suprema di Cassazione, 19-12-2013

Presiding JudgeMARASCA GENNARO
ECLIECLI:IT:CASS:2013:51396PEN
Judgement Number51396
Date19 Dicembre 2013
CourtQuinta Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterPENALE
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BASILE ANTONIO N. IL 02/05/1952
CARLEO ANTONIO N. IL 21/03/1968
CORSO GAETANO N. IL 06/07/1953
D'ALTERI° ANTONIO N. IL 01/08/1949
DE VITO ALFREDO N. IL 23/08/1968
DEL FRANCO EMILIO N. IL 08/07/1950
GARGIULO GAETANO N. IL 08/11/1953
GRANATA SABATINO N. IL 03/01/1962
GRANATA RAFFAELE N. IL 05/01/1972
MIGLIACCIO ARMANDO N. IL 23/07/1962
NOBIS ALDO N. IL 26/01/1970
PARISI RAFFAELE N. IL 13/03/1959
PIANESE LUIGI N. IL 17/07/1964
SODANO RAFFAELE N. IL 20/06/1944
TAGLIALATELA SCAFATI GIUSEPPE N. IL 20/01/1948
VALLETTA ALFONSO N. IL 04/03/1957
avverso la sentenza n. 10655/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
04/05/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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Penale Sent. Sez. 5 Num. 51396 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: VESSICHELLI MARIA
Data Udienza: 20/11/2013
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Udito, per la parte civile, l'Avv
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Fatto e diritto
Propongono ricorso per cassazione
1)Corso Gaetano
2)Del Franco Emilio
3)Basile Antonio
4)Pianese Luigi
5)Parisi Raffaele
6)Valletta Alfonso
7)Taglialatela Scafati Giuseppe
8)Sodano Raffaele
9)D'Alterio Antonio
10)Gargiulo Gaetano
11)Granata Sabatino
12)Granata Raffaele (avvocati Ricco e Lepre)
13)Carleo Antonio
14)Migliaccio Armando
15)Nobis Aldo
16)De Vito Alfredo
avverso la sentenza della Corte d'appello di Napoli in data 4 maggio 2011 con la quale è stata riformata
quella di primo grado, emessa il 22 dicembre 2008 all'esito di giudizio abbreviato.
Con la sentenza di primo grado, oltre alle assoluzioni, tra gli altri, degli imputati (sopra indicati da 9) a 16))
chiamati a rispondere del reato associativo di cui si dirà, nella veste, rispettivamente, di imprenditori e
tecnici, era stata pronunciata condanna nei confronti degli appartenenti al Corpo della polizia municipale
del Comune di Giugliano (fatta eccezione per Corso) Basile Antonio, Del Franco Emilio, Parisi Raffaele,
Pianese Luigi, Sodano Raffaele, Taglialatela Scafati Giuseppe e Valletta Alfonso ( menzionati da 2) a 8)), per
il reato di associazione per delinquere finalizzata alla perpetrazione dei reati di concussione, corruzione e
falso materiale e ideologico, violazioni urbanistiche ed altri (capo 1); era stata poi pronunciata condanna nei
confronti dei medesimi e degli altri ricorrenti, anche per una serie di reati di concussione, corruzione,
falso, omissioni di denuncia, favoreggiamento e per altri reati minori.
Era stata disposta la confisca ex articolo 12 sexies I.n. 356 del 1992, come modificato con I. n. 296 del 27
dicembre 2006, nei confronti di beni appartenenti a taluni imputati.
Secondo la originaria tesi accusatoria, i partecipi della nominata associazione per delinquere - imprenditori
privati, tecnici comunali o liberi professionisti e pubblici ufficiali appartenenti, come detto, al Corpo della
polizia municipale del Comune di Giugliano in Campania- avevano aderito ad un sodalizio finalizzato,
attraverso la dazione o la promessa di somme di danaro da parte dei primi in favore soprattutto dei terzi, a
far si che i vigili ritardassero od omettessero atti del proprio ufficio o compissero atti contrari ai propri
doveri, per favorire o consentire, agli imprenditori, o comunque ai privati soggetti interessati, la
realizzazione di manufatti abusivi o il completamento di manufatti già in precedenza sottoposti a sequestro
per violazione della legge urbanistica.
I reati-fine si assumevano commessi, con varie cadenze nel 2004, 2005, 2006 e l'associazione per
delinquere è stata contestata come commessa fino alla data della richiesta di rinvio a giudizio.
Il giudice dell'appello,
adito sia degli imputati che dal Pubblico Ministero, ha
-qualificato tutte le concussioni (quelle per la quali è intervenuta condanna in primo grado, ex capi
12,13,15,17,18) come corruzioni proprie
1
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
-pronunciato, in accoglimento dell'appello del PM, la condanna, tra l'altro, per associazione per delinquere
anche con riferimento a Carleo, Corso, D'Alteri°, De Vito, Gargiulo, Granata Raffaele, Granata Sabatino,
Nobis Aldo ( essendo il Corso un appartenente al Corpo della polizia municipale e, gli altri, tecnici comunali,
geometri e/o imprenditori) , e apportato altre modifiche allo stato delle assoluzioni e delle condanne,
nonché alla statuizione della confisca dei beni.
Deduce il difensore di Corso
(
condannato in primo grado per 13 reati di favoreggiamento, rivelazione di
segreti d'ufficio, omessa denuncia, falso ideologico per induzione, corruzione nonché, in appello, per
associazione per delinquere)
la violazione dell'articolo 416 c.p., reato per il quale era intervenuto anche l'annullamento del titolo
cautelare.
Mancherebbe, ad avviso della difesa, una motivazione adeguata (da pagina 267) sul dolo specifico e
cioè sulla volontà di apportare il proprio contributo ad un programma criminoso condiviso con gli
associati.
In tale situazione sarebbe stato sufficiente l'inquadramento dei fatti a titolo di reato continuato,
non essendo stata data la dimostrazione dell'esistenza di una struttura fra gli associati con
distinzione di ruoli compiti.
Al contrario l'imputato è stato condannato per reati commessi in concorso o con Taglialatela o con
Conte e non ha mai dato direttive né le ha assunte dai presunti vertici del sodalizio.
Inoltre il giudice dell'appello aveva dato atto della conflittualità interna tra gli imputati, manifestata
attraverso delazioni ed esposti anonimi: circostanze incompatibili con la delineazione del dolo
specifico del reato associativo, al pari delle situazioni nelle quali (pagina 271 della sentenza) erano
stati realizzati taluni accordi corruttivi all'insaputa degli altri presunti consociati.
Il ricorso è infondato
La posizione del ricorrente è singolare poiché, come precisato a pagina 262, egli è stato assolto nel
dispositivo della sentenza di primo grado, ma la sua responsabilità per il reato associativo è stata ritenuta
sussistente nella parte motiva della sentenza del Gup (pagina 232 la sentenza di primo grado).
L'impianto della sentenza di condanna per il delitto associativo è dato essenzialmente dalla valorizzazione
dei reati-fine, pacificamente accertati e non contestati nei motivi di ricorso, quali indicatori fattuali della
attiva partecipazione e del contributo consapevole, da parte del ricorrente, alle finalità del sodalizio sopra
descritto.
In particolare, confermata la commissione dei predetti reati-fine in concorso con Taglialatela e Conte, le
prove del reato associativo sono desunte dal contenuto di una serie di conversazioni intercettate,
plausibilmente valorizzate dal giudice del merito come indicative della predetta posizione oggettiva e
soggettiva: così, in particolare, le conversazioni segnalate a pagina 299 della sentenza, dalle quali emerge
una precisa posizione del ricorrente all'interno del sodalizio, per la conoscenza dell'entità degli "utili"
ricavati e per la capacità di gestirli.
Ed è indubbio che la capacità del gruppo di produrre e di conservare i predetti utili, quali provento delle
attività illegali poste in essere dei singoli associati, debba essere considerata uno dei sintomi più eloquenti
della esistenza della struttura, così come la gestione di essi da parte dei singoli, bene sia stata considerata il
sintomo lampante dell'esistenza del fine comune perseguito.
E' poi altamente significativo il ragionamento del giudice del merito secondo cui la risalenza nel tempo degli
abusi edilizi e delle tangenti corrisposte per la loro realizzazione (come emergente da altri dialoghi captati),
nonché l'ampiezza del fenomeno degli abusi e delle speculazioni edilizie, evidente nel comune di Giugliano,
non possono che essere considerati indici rivelatori del sistema di corruzione emerso nel presente
2
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
processo: un sistema che vedeva, attraverso il tempo, la adesione- testimoniata dalle captazioni- di tutti (o
quasi) coloro che entravano a far parte del Corpo della polizia municipale di Giugliano, alle regole di
gestione e alle illecite modalità operative del gruppo. Con la conseguenza che anche i registrati momenti di
malumore o di contrasto sono stati logicamente interpretati non già come ragione di dubbio sull'esistenza
del sodalizio ma come prova della sua tenuta, per la semplice ragione che, a quei momenti di contrasto,
non risulta aver fatto seguito l'implosione o l'esplosione del gruppo, bensì il mantenimento della prassi
corruttivi generalizzata, persino dopo la consapevolezza dell'avvio delle indagini.
Al riguardo, ancora nel rispetto della logica, sono stati anche valutati quei momenti di contrasto come segni
del possibile perseguimento di finalità personali contigue ed ulteriori, ma non certo incompatibili con le
finalità del gruppo criminale di appartenenza che, al contrario, era lo strumento per la realizzazione dei
primi (pagina 272 e 271 della sentenza impugnata).
Deducono i difensori
(avv.ti Ricco e Lepre)
di Granata Raffaele,
(condannato in primo grado per il reato di
corruzione continuata attiva (capi
32,
33 ) e, in appello, anche per associazione per delinquere (capo
1),
dichiarato però assorbito il capo 33 nel 32.
1)
l'erronea applicazione dell'articolo 12 sexies, essendo stata, la confisca disposta a suo carico, con
riferimento a "fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore della normativa" ed inoltre
costituenti reato per il quale non è prevista la confisca .
Infatti il reato di cui all'articolo 321 c.p., prevedente le pene per il corruttore, non è annoverato fra
quelli che comportano, in caso di condanna, la confisca dei beni dell'imputato.
L'autonomia del reato di cui all'articolo 321 c.p,. rispetto a quello di cui all'articolo 319, si desume
anche dal testo dell'articolo 322 ter c.p.,: e ciò nonostante le diverse conclusioni della Cassazione
nella sentenza n. 4431 del 2011.
Aggiunge
l'avvocato Lepre,
nel quinto motivo del proprio ricorso, relativo al profilo della ritenuta
irretroattività della confisca ex art. 12 sexies, che il provvedimento ablativo attivato nel caso di
specie non ha natura di semplice misura di sicurezza ma ha natura afflittiva, come del resto già
riconosciuto in un'ordinanza del Tribunale del riesame e dal Tribunale che ha giudicato i fatti in
questione col rito ordinario: tale natura comporta la sottrazione della confisca in parola dalla regola
dell'articolo 200 c.p. che consentirebbe, appunto, la applicazione retroattiva della misura.
E tale conclusione è quella da condividere nonostante che la Corte di cassazione, interpellata
proprio sul tema in questione ( sent. n. 25906 del 2009), si è espressa invece per la natura
preventiva della confisca ex articolo 12 sexies.
Ciò nonostante, l'avvocato Lepre lamenta la mancata valutazione, da parte del giudice dell'appello,
della diversa giurisprudenza costituzionale ed europea sottoposta alla sua attenzione con memoria
depositata il 10 settembre 2010: si tratta in particolare della ordinanza della Corte costituzionale n.
97 del 2009 e di due sentenze CEDU del 1995 le quali hanno offerto un catalogo per individuare
l'eventuale valenza sanzionatoria di una misura ablativa reale: quella, cioè, derivante dall'essere, la
misura, relativa a beni intrinsecamente non pericolosi, legati da rapporto di pertinenzialità con i
fatti per i quali il processo e disposta come conseguenza dell'accertamento del reato;
2)
il vizio della motivazione, anche nelle forme del travisamento della prova, con riferimento alla
disposta confisca.
In particolare la difesa aveva prodotto la consulenza del prof. Sandulli- aggiunta quella del prof.
Fiorillo- per dimostrare la proporzione del valore dei beni rispetto ai redditi dichiarati e all'attività
economica del ricorrente.
3
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La Corte territoriale, facendo un cattivo utilizzo della sentenza delle Sezioni unite Montella del
2003, ha, tuttavia, negato che la proporzione potesse essere verificata anche rispetto ai redditi
conseguiti in anni diversi rispetto a quello dell'acquisto del bene.
Così, il reddito per l'anno 2005 avrebbe dovuto essere calcolato tenendo conto della detassazione
dei redditi societari disposta con decreto-legge del 94.
Si sarebbe dovuto tenere conto della remuneratività dell'attività di ristorazione e di costruttore
edile, produttiva di redditi poi sottratti al fisco, come documentato attraverso le pratiche di
condono fiscale, menzionate nelle due consulenze.
La sproporzione del valore del terreno acquistato nel 1997, poi, è stata giudicata con riferimento ai
redditi di quell'anno e non, come invece si sarebbe dovuto, ai redditi consolidati negli anni
precedenti. Si sarebbe accertato che nel 1996 i redditi dichiarati al fisco erano di oltre 94 milioni di
lire (e non C 32.000 come erroneamente scritto a pagina 341).
Ancora, in relazione al terreno e al fabbricato acquistati nel 2002, il giudice dell'appello aveva
quantomeno sbagliato nell'indicare il valore della quota del fabbricato, assai inferiore a quella
considerata a pagina 342.
A pagina 345 era stata ignorata, nel calcolo dei redditi del 1998, l'acquisizione della somma di 150
milioni di lire come corrispettivo per la cessione della quota di partecipazione all'esercizio
commerciale "Champs elisee": una quota indicata nella dichiarazione dei redditi del ricorrente, a
sua volta prodotta.
Si trattava di una somma che se valutata, avrebbe fatto comprendere la proporzionalità, al reddito,
anche in relazione agli acquisti del 2002.
Infine era stato trascurato il fatto, valorizzato nella consulenza del prof. Sandulli, che nel 2006
l'Agenzia delle entrate di Napoli aveva accertato un maggior reddito per oltre C 270.000, con la
conseguenza che la apparente sproporzione andrebbe riferita ad infedeltà fiscale;
3)
il vizio della motivazione con riferimento al reato associativo.
Si tratta di una contestazione in relazione alla quale già il giudice di primo grado aveva assolto il
ricorrente. D'altra parte la sua costruzione è ontologicamente impossibile quale organizzazione di
pubblici ufficiali che abbia come fine quello della commissione di un reato, la corruzione, che è
programma bile soltanto dal corruttore.
Secondo la difesa l'imputato è stato mosso dal solo fine di perseguire un interesse proprio, come
già posto in evidenza dal primo giudice e non certo dal fine di consentire al sodalizio dei vigili urbani
il raggiungimento dei loro scopi di arricchimento.
L'avvocato Lepre aggiunge la incongruità della valorizzazione, per la configurazione del reato
associativo, di un fatto-la devastazione edilizia del territorio di Giuliano-non riconducibile ad attività
dell'imputato su base probatoria certa, con violazione dell'articolo 27 primo comma della
Costituzione.
Evidenzia anche che tra corrotto e corruttore vi è un evidente conflitto di interesse sicché non è
configurabile neppure in astratto un'associazione per delinquere tra soggetti contro-interessati;
4)
il vizio della motivazione con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Tale diniego era stato fondato su una valutazione sostanzialmente negativa del contributo
dichiarativo degli imputati, senza tenere conto che il ricorrente aveva invece confessato anche reati
non ancora accertati e che erroneamente era stato ritenuto destinatario di una contestazione di
recidiva;
5)
l'avvocato Lepre ha altresì eccepito la nullità del giudizio di primo grado per violazione dell'articolo
416 comma due c.p. p., già formulata in appello.
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Come affermato dalla Corte costituzionale nella ord. N. 142 del 2009, ben può costituire, in
concreto, una violazione dei diritti difensivi il deposito del fascicolo in modo caotico o non
integrale: e ciò perché tale situazione può rendere eccessivamente difficile l'esercizio dell'attività
difensiva.
In particolare la difesa segnala "il mancato deposito, al Gip, di parti decisive degli atti, e... l'assenza
di qualsivoglia indice"
La stessa nullità viene denunciata per violazione dell'articolo 438 c.p.p.: una norma che prevede la
definizione del giudizio allo stato degli atti e che dunque ne impone la cristallizzazione dopo
l'ammissione del rito, senza che sia possibile-come invece è accaduto nel caso di specie-che il
pubblico ministero possa avanzare una richiesta di misura cautelare reale.
Nel caso di mancato accoglimento delle due eccezioni di nullità, la difesa chiede che sia sollevata
questione di legittimità costituzionale, per violazione degli articoli 24 e 111 della costituzione.
6)
Nel terzo motivo del proprio ricorso, l'avvocato Lepre lamenta la mancanza di motivazione capace
di chiarire i criteri differenziali per qualificare condotte analoghe, ora a titolo di corruzione ed ora a
titolo di concussione.
In particolare il reato di cui al capo 32 è stato ritenuto qualificabile come corruzione senza tenere
conto del criterio, pure evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, costituito dalla posizione di
prevaricazione del pubblico ufficiale che può esprimersi come forma di pressione psicologica sulla
vittima, pur disposta a recepirla per proprio tornaconto personale;
7)
la nullità della confisca perché disposta, come illustrato sopra sub 5), nel momento della definizione
del giudizio di primo grado contestualmente al sequestro: tale cronologia aveva portato la
compressione del diritto dell'interessato a far valere, prima ed a prescindere dalla attivazione
dell'appello contro la sentenza, i rimedi previsti contro le misure cautelari reali, peraltro esclusi con
riguardo alla confisca e comunque non attivabili da parte dei terzi.
I ricorsi dei difensori di Granata Raffaele sono fondati nei termini che si indicheranno.
Fondato è il primo motivo,
dovendosi ritenerne che la disciplina della confisca di cui all'art. 12 sexies del
D.L. n. 306 del 1992, convertito in legge n. 356 del 1992, non si applica, nelle ipotesi di corruzione, ai beni
del corruttore, stante la mancata inclusione, tra i reati indicati dalla norma, della previsione dell'art. 321
cod. pen. (Cass. Sez. I, sent. del 31 maggio 2012, Rv. 253392).
Ha osservato questa Corte, nella articolata motivazione della menzionata sentenza — contenente una
importante ricostruzione delle numerose modifiche succedutesi in relazione alle norme qui di interesse, alla
quale integralmente si rinvia- che
"non è sufficiente la considerazione della natura del reato di corruzione
come delitto a concorso necessario, richiedente la partecipazione imprescindibile di due soggetti agenti, per
ritenere irrilevante si fini che qui interessano l'omesso richiamo all'art. 321 da parte dell'art. 12-sexies.
Si deve, infatti, ricordare che per poter punire la condotta tenuta dal privato corruttore è stato necessario in
ossequio al principio di legalità e riserva di legge in materia penale approntare una disposizione specifica,
l'art. 321 c.p., dal momento che le norme di cui agli artt. 318, 319, 319 ter e 320 c.p. riguardano
esclusivamente i comportamenti illeciti tenuti dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio;
l'art. 321, pur senza delineare una fattispecie di reato autonoma a carico del corruttore, assolve ad una
duplice funzione, perché da un lato appresta l'apparato punitivo per il privato concorrente necessario del
corrotto mediante il richiamo alle pene stabilite agli artt. 318 c.p. e segg., dall'altro tipizza la condotta del
corruttore, che, diversamente da quanto previsto nei casi di concorso eventuale di persone nel reato
proprio, non potrà realizzarsi liberamente in qualsiasi forma e modo, ma unicamente mediante la dazione o
5
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
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la
promessa di denaro od altra utilità. La norma descrive dunque la condotta incriminata e stabilisce il
regime punitivo, sicché, in ragione del suo contenuto e della sua funzione autonomi, non può ritenersi che il
suo mancato richiamo nell'art. 12 sexies sia supplito dalla menzione dei delitti di cui agli artt. 318 e 320 c.p.
in quanto già in sè sufficiente per riferire la misura di sicurezza da essa disciplinata anche al corruttore:
siffatta operazione si tradurrebbe in un'applicazione analogica della norma a sfavore del soggetto destinato
a patirne gli effetti ablatori in difetto di una previsione normativa che li autorizzi. Come correttamente
rilevato dalla difesa, l'art. 25 Cost., comma 3, sottopone al principio di legalità anche l'applicabilità delle
misure di sicurezza, consentita nei soli casi previsti dalla legge senza che le lacune nelle previsioni normative
che disciplinano singoli istituti possano essere colmate in via interpretativa con l'individuazione di forme
limitative della libertà personale o della disponibilità del patrimonio non previste dall'ordinamento o con la
loro applicazione fuori dai casi consentiti (Cass. sez 5, n. 9656 dell'8.01.2010, De Simone, rv. 2469889; sez. 2
n. 24453 de117.06.2010, De Crescienzo, rv. 248193).
Agli argomenti spesi nella sentenza citata, per sostenere la tesi della non costante omogeneità delle
discipline riservate alla posizione del corrotto ( per il quale la norma dell'art. 12 sexies opera) e a quella del
corruttore ( per la quale, secondo quanto qui ritenuto, non opera), va poi aggiunto il rilievo che con la
recente riforma dei reati in tema di corruzione introdotta con I. n. 190 del 6 novembre 2012, all'art. 80 è
stata prevista la inclusione del delitto, di nuova formulazione, di cui all'art. 319- quater tra quelli per i quali-
in caso di condanna- è consentita la particolare ipotesi di confisca di cui all'art. 12-sexies: una innovazione
che , intervenendo dopo la emersione dell' orientamento giurisprudenziale della Cassazione, sul rapporto
tra l'art. 12 sexies e l'art. 321 cp, di cui si è detto in premessa, dimostra come il legislatore abbia inteso
ricomprendere nella azione dell'art. 12 sexies , tra le figure di reato non espressamente considerate, quella
di induzione ex art. 319 quater, e non anche quella di corruzione attiva ex art. 321 cp.
D'altra parte, come già evidenziato anche nella sentenza appena citata, l'affermazione della confiscabilità
dei beni dell'imprenditore, nel corso del processo in esame, dovuta alla sentenza n. 25906 del 2009 , non
influisce negativamente sulla decisione della questione in esame.
Infatti, si tratta di una sentenza- emessa in sede di incidente cautelare promosso da un coimputato- che ha
affermato la sequestra bilità e confiscabilità dei beni dell'imprenditore-corruttore sotto l'esclusivo profilo
della possibilità — ammessa- di applicazione retroattiva della normativa che ha modificato, nel 2006,
l'articolo 12 sexies, essendosi viceversa tralasciato il punto specifico qui esaminato perché, evidentemente,
eccentrico rispetto all'oggetto del ricorso.
Neppure appare di ostacolo la sentenza n. 4431 del 2011, nella quale, in sede di incidente cautelare
promosso in una distinta vicenda processuale, il tema non è stato affrontato con specifica motivazione,
essendosi presentata semplice adesione alla tesi- qui criticata- della natura dell'articolo 321 come norma
finalizzata soltanto a fissare un trattamento sanzionatorio e non, piuttosto, a rispondere al principio della
riserva di legge per la ipotesi della corruzione attiva.
Si impone, conseguentemente, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alle
statuizioni sulla conferma della confisca dei beni del ricorrente, tenuto anche conto che il titolo della
misura ablativa non potrebbe neppure inferirsi dal residuo addebito ex art. 416 cp, non aggravato ai sensi
del comma 6, come invece preteso dall'art. 12 sexies I.n. 356 del 1992.
Ciò posto,
rimane assorbita-perché
incapace di produrre effetti concreti per l'imputato- la questione- posta
nel
secondo motivo-
della possibilità o meno di applicazione retroattiva della misura ablativa di cui
all'articolo 12 sexies citato, così come il motivo di ricorso con il quale si è eccepito il vizio di motivazione a
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
proposito degli elementi addotti dalla difesa a sostegno della tesi della proporzionalità dei beni confiscati
rispetto ai redditi prodotti dal ricorrente.
Infondati sono invece il quinto e il settimo motivo
di ricorso, con i quali si eccepisce la nullità del processo
di primo grado, sotto il duplice profilo della mancata messa a disposizione, della difesa, degli atti
processuali in forma concretamente fruibile e della presentazione della richiesta del PM, di misura
cautelare, reale dopo l'ammissione al rito abbreviato.
Proprio la sentenza della Corte costituzionale citata dal ricorrente ha escluso che fosse fondata la questione
di legittimità costituzionale dell'art. 416 cod. proc. pen., sollevata in riferimento agli artt. 24, comma 2 e
111, comma 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la sanzione di nullità per i casi in cui il
fascicolo trasmesso al giudice, con la richiesta di rinvio a giudizio, sia predisposto senza l'osservanza delle
prescrizioni relative alla formazione dei fascicoli (art. 416 cod. proc. pen., 130 disp. att. cod. proc. pen. e 3
d.m. 30 settembre 1989, n. 334). Ha posto in evidenza il giudice delle leggi che l'introduzione di una nuova
causa di nullità — dunque in quella sede negata- produrrebbe l'effetto di determinare una eccessiva rigidità
delle conseguenze derivanti da un'irregolare formazione del fascicolo, evenienza alla quale può porsi
rimedio attraverso l'intervento del giudice che può sollecitare il pubblico ministero a riordinare il fascicolo
nel rispetto delle norme relative alla sua formazione, rinviando, se del caso, anche l'udienza, con
segnalazione della disfunzione al capo dell'ufficio, ai sensi dell'art. 124, comma 2, cod. proc. pen.
Ha aggiunto significativamente la Corte che la regressione del procedimento che conseguirebbe alla
declaratoria di nullità potrebbe, poi, risultare contraria agli stessi legittimi interessi delle parti e in contrasto
con il principio della ragionevole durata del processo fissato dall'art. 111, comma 2, della Costituzione.
Nel caso di specie, dunque, non solo la questione di legittimità sollecitata dal difensore appare la
reiterazione di quella già dichiarata infondata dalla Corte costituzionale,ma, in più, risulta che la denuncia
della nullità è stata formulata, nel ricorso, senza l'osservanza del disposto dell'articolo 581 CPP a proposito
della specificità delle ragioni in fatto e in diritto che giustificherebbero la doglianza.
La difesa si è infatti limitata a dedurre, senza alcun dettaglio, "il mancato deposito al Gip di parti decisive
degli atti e.. l'assenza di qualsivoglia indice", cosicché risulta impossibile a questa Corte valutare la
effettività e concretezza della violazione dei diritti difensivi lamentata.
Ugualmente non apprezzabile è la questione ulteriore, tenuto conto che la richiesta di sequestro è per sua
natura atto a sorpresa ( vedi tra le molte, rv 241123; rv 225268) incompatibile con il riconoscimento di
termini dilatori e con il preventivo contraddittorio e, per tale ragione, la correlata richiesta del pubblico
ministero non può e non deve essere conosciuta preventivamente dalla difesa dell'interessato; alla parte è
consentito esclusivamente il ricorso al rimedio previsto per le misure cautelari reali owero per le
statuizione contenute nella sentenza, salva la opposizione nel caso di adozione della misura in sede di
esecuzione.
Manifestamente infondata è pertanto la questione di costituzionalità prospettata dalla difesa.
A tutte le osservazioni fin qui formulate in ordine alle due questioni di nullità sollevate dalla difesa, va poi
aggiunto il rilievo che, prospettandosi, in entrambi i casi, questioni di nullità di ordine generale previste
dall'art. 178 lett. c cpp, le stesse avrebbero dovuto essere dedotte dalla parte che vi assisteva, prima del
compimento dell'atto nullo e, nel caso in cui ciò non fosse stato possibile, subito dopo ( art. 182 cpp), ossia-
quantomeno quella dedotta come violazione dell'art. 416 cpp- nel primo atto utile del giudizio: certamente
non, per la prima volta, nell'atto di appello, dovendosi anche considerare che tale nullità- ammesso che non
soggiacesse alla regola dell'effetto sanante dovuto alla scelta del rito abbreviato, poiché atteneva proprio
ai presupposti per il corretto accesso al rito da parte dell'imputato ( altrimenti, v. rv 252065)- attiene
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
comunque alla fase del pre-giudizio e soggiace alle regole sulla decadenza previste dall'art.180 cpp, che
fissa il limite di deducibilità di tal genere di nullità, per la prima volta, nella sentenza di primo grado.
E non risulta che tale incombente sia stato espletato dalla difesa che non lo sostiene nel ricorso: piuttosto,
a pag. 118 e segg. della sentenza impugnata è espressamente attestato, dalla Corte territoriale, che la
richiesta di rito abbreviato è stata formulata senza essere preceduta da alcuna eccezione della difesa sulla
incompletezza degli atti, peraltro posti a disposizione presso la segreteria del PM prima ancora che presso
il Gup e senza neppure essere seguita da una richiesta di rinvio della udienza, onde procedere alla
completa consultazione degli atti:di essi, l'odierno difensore, avv. Lepre, officiato dopo il giudizio di primo
grado, ha lamentato invero soltanto "una indimostrata quanto generica sottrazione alla disponibilità delle
parti".
Inammissibile è il sesto motivo
di ricorso per genericità.
Non può invero denunciarsi, con ricorso per cassazione, un presunto difetto di motivazione sulla
qualificazione giuridica della fattispecie, senza contemporaneamente allegare, nel rispetto del già citato art.
581 cpp, le ragioni in fatto e in diritto che sosterrebbero la questione e senza, soprattutto, dimostrare, di
avere già sottoposto, il differenziato accertamento in fatto, al giudice del merito, onde evitare la
preclusione della questione.
In più, a rendere inammissibile per manifesta infondatezza e - per le ragioni dette - anche per genericità, il
motivo di doglianza in esame, sta il fatto che , diversamente da quanto affermato dal difensore, la
motivazione sulle ragioni della qualificazione del fatto di reato continuato, addebitato a Granata Raffaele,
quale corruzione anziché frutto di concussione ambientale, è stata offerta dalla Corte di merito a pag. 150,
151, 152 e 153, con argomenti plausibili e completi che la difesa ha del tutto ignorato nella articolazione del
motivo di ricorso.
Infondati sono infine il terzo e il quarto motivo
come sopra riportati.
Alla critica formulata dalla difesa con riferimento alla impossibilità, sul piano logico, di configurare una
associazione per delinquere tra vigili urbani corrotti e imprenditori corruttori, deve rispondersi rilevando
non apprezzabilità della censura.
È noto-ed è circostanza affermata nella sentenza impugnata, così come data per ammessa anche nei motivi
di ricorso- che la giurisprudenza di legittimità non ha mai incontrato alcuna difficoltà di principio a ritenere
configurabile l'esistenza, tra corrotto e corruttore, del vincolo associativo necessario per la sussistenza del
delitto di cui all'art. 416 cod. pen. (Sez. 6, Sentenza n. 10032 del 03/02/2010 Cc. (dep. 11/03/2010 ) Rv.
246284): un vincolo destinato a sortire l'effetto tipico del "pactum sceleris", nonché la stessa struttura della
organizzazione delinquenziale, attraverso un più stretto ed ancor più compromettente collegamento
interpersonale (Sez. 2, Sentenza n. 6240 del 10/12/1999 Cc. (dep. 07/01/2000) Rv. 215672).
La astratta delineazione di un conflitto di interessi tra i pubblici ufficiali corrotti e, nel caso di specie, gli
imprenditori che elargivano le somme di danaro quale prezzo della corruzione, costituisce solo una delle
sfaccettature del rapporto ben più complesso, rilevante ex art. 416 cp, e destinato ad instaurarsi anche tra
i due generi di soggetti menzionati quando, come nel caso di specie, essi aderiscano sostanzialmente ad un
accordo dal quale promani una organizzazione dedita al crimine, remunerativo per entrambi, in forma
stabile: e ciò è rispecchiato dalla stessa formulazione del capo di imputazione che, contrariamente a quanto
affermato dalla difesa, prevede non solo la finalizzazione della associazione alla commissione di reati di
corruzione e di concussione ma anche alla commissione di reati di abusivismo edilizio, che erano quelli di
precipuo interesse per gli imprenditori.
Invero, nella sentenza impugnata, si è in primo luogo dato atto della esistenza dei plurimi segni indicatori di
un accordo di tipo associativo che ha visto coinvolti in primo luogo i vigili del Comune di Giuliano, implicati
8
I
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
nel presente processo: soggetti che, come è emerso in modo più che lampante dalle numerosissime
intercettazioni , anche a contenuto non criptico, valorizzate nella sentenza, realizzavano, attraverso un
controllo capillare del territorio, analogo a quello delle organizzazioni camorristiche nel settore delle
estorsioni, la raccolta di danaro indistinta e sistematica da tutti quelli che fossero impegnati in attività di
speculazione edilizia sul territorio di loro competenza, attenendosi a regole comportamentali
predeterminate e fisse, ricorrendo a moduli operativi sperimentati, dandosi una stabile organizzazione- con
la ripartizione di ruoli e compiti, preesistente e persistente anche dopo l'esecuzione dei singoli reati fine,
inalterata nei meccanismi illeciti di funzionamento pur negli avvicendamenti e nei mutamenti organici di
composizione personale del gruppo (pagina 262 —263 e seguenti della sentenza impugnata).
A tale sodalizio hanno aderito a pieno titolo, nella plausibile ricostruzione del giudice del merito, gli
imprenditori e in particolare l'odierno ricorrente. Costoro avevano addirittura stabilito un luogo di incontro
con il capitano dei vigili, rappresentato dall'esercizio commerciale di Sabatino Granata, ove venivano
raggiunti gli accordi sui tempi e sui prezzi delle singole operazioni, patteggiate anche prima dell'apertura di
ogni cantiere e in modo tale che l'imprenditore riceveva assicurazione di "protezione".
Sono descritti, a pagina 296, i rapporti ripetitivi degli imprenditori con i diversi esponenti del Corpo dei vigili
urbani, prestatisi alle illecite pratiche sotto le direttive dei titolari della organizzazione, rapporti tesi a
garantire, ogni volta, la sistematica violazione da parte di pubblici ufficiali dei propri doveri d'ufficio in
cambio della promessa o della elargizione di somme di danaro da parte dei privati.
In parallelo, nella sentenza impugnata è stata tracciata anche la dimensione di quella che era una sotto-
articolazione della associazione per delinquere in esame, rappresentata dal patto stretto fra gli
imprenditori e i tecnici comunali, pure imputati e condannati, essendo questi ultimi autori di un
compiacente riduttivo intervento nella verifica degli abusi realizzati grazie alla prezzolata omissione dei
vigili.
In conclusione, appare ineccepibile la conclusione raggiunta dai giudici del merito secondo cui risulta
dimostrata l'esistenza di un apparato organizzativo appositamente predisposto per la gestione e l'esercizio
dell'abusivismo edilizio- in parte oggetto delle stesse ammissioni del ricorrente Granata Raffaele descritte a
pagina 120 della sentenza impugnata- , tale da garantire il conseguimento degli interessi propri delle
diverse categorie di partecipi, attraverso la convergenza delle condotte e la realizzazione di un comune
programma che rappresenta la sintesi degli obiettivi particolari e il necessario tramite per garantirne la
realizzazione: l'arricchimento da parte dei vigili e dei funzionari comunali pure nell'ambito di competenze e
ruoli diversi; l'indisturbato esercizio-da parte degli imprenditori e dei tecnici che con quelli collaboravano,
ricavandone personali e consistenti vantaggi economici- di attività edificatoria sine titulo, con la
consapevolezza del rilascio di successivi e rapidi provvedimenti in sanatoria.
E la esistenza di tale specifico programma è dimostrato, se ce ne fosse stato bisogno, anche dal fatto che il
rilascio dei titoli in sanatoria veniva programmato nel corso della stessa realizzazione degli abusi, ancora
prima della presentazione delle richieste, il cui contenuto era concordato con i funzionari comunali (pagine
304 e 305).
Rispetto a tale complessa descrizione del rapporto associativo, le obiezioni della difesa si rivelano quanto
meno generiche e incapaci di intaccare in maniera significativa il ragionamento del tutto razionale del
giudice del merito.
La dimostrazione dell'esistenza del dolo specifico del reato associativo è stata data infatti, dalla stessa
Corte, prescindendo dalla dimostrazione -nient'affatto necessaria- della sovrapponibilità e unicità
dell'interesse economico di partecipi —che è, in sé, un sintomo utile ma non indispensabile della esistenza
dell'associazione - e, piuttosto, argomentando in ordine a quella che era, per tutti i partecipi, la comune
volontà di mantenere attivo un sodalizio nel quale il programma comune era quello della assicurazione di
comportamenti sinergici e necessariamente complementari da parte di tutti i diversi soggetti implicati :
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
comportamenti i quali, a loro volta, garantivano effetti-dotati di rilevanza penale e quindi capaci di
integrare il requisito della programmazione di indistinti reati fine- e produttivi, a loro volta, di ricadute
economiche favorevoli ma differenziate per i diversi tipi di agenti.
In ordine alla decisione di diniego delle attenuanti generiche non si rinviene il vizio di motivazione
denunciato dalla difesa tenuto conto che la Corte territoriale ha espresso un complessivo giudizio di
disvalore dell'intera vicenda emersa, tale da rendere sub valente tanto la condizione di incensuratezza del
prevenuto quanto il suo comportamento processuale, ritenuto mai seriamente collaborativo e comunque
incapace di bilanciare la rilevante devastazione del territorio provocata con le condotte tenute.
Deduce Del Franco
(condannato per i reati di associazione per delinquere(capo 1), corruzione passiva (capi
20, 28 e 30), favoreggiamento (capi 23 e 28 a)) e omessa denuncia (capo23 a))
1) il vizio della motivazione, con riferimento al reato di cui
capo 20,
originariamente contestato come
concussione ai danni del costruttore Pinto Pasquale, oggetto di assoluzione da parte del primo
giudice, e poi di condanna però a titolo di corruzione, ad opera del giudice dell'appello, adito dal
pubblico ministero.
La Corte d'appello avrebbe sostituito, alla decisione assolutoria del primo giudice, una motivazione
in realtà fondata su dubbi e su elementi incerti (pagina 52 e 53 della sentenza);
Lo stesso vizio, con riferimento ai reati di cui
ai capi 23 e 23 A,
reati commessi con riferimento alla
costruzione abusiva di 10 bungalow, nel lido "Onda del mare", su area demaniale.
Nessuna delle emergenze valorizzate dalla Corte (da pagina 66 in poi) - e in particolare le
conversazioni intercettate - dimostra che l'imputato fosse a conoscenza della realizzazione dei
detti manufatti abusivi, così come sostenuto nelle note di udienza dalla difesa e dallo stesso
imputato nella memoria scritta personalmente.
La tesi difensiva, non considerata dalla Corte, ma riproposta nel ricorso attraverso la citazione
testuale di tutte le conversazioni di rilievo, era quella della buona fede dell'imputato che nessuna
verifica aveva effettuato sul posto, avendo saputo che il materiale edile era solo appoggiato ma
non fissato al terreno e quindi l'abuso non era stato perpetrato.
Lo stesso vizio di motivazione, con riferimento ai
capi 28 e 28 a
concernenti reati commessi nel
cantiere edilizio sito in via Rannola, di proprietà di De Luca Francesco.
Anche in questo caso era stata trascurata la tesi della non conoscenza del cantiere da parte del
ricorrente.
Nella sentenza impugnata, da pagina 78 in avanti, è stata effettuata una analisi delle dichiarazioni
di Falco e di Di Maro che la difesa ricorrente ritiene contraddittoria. Infatti esse, pur non
concernendo la persona di Del Franco ma gli altri vigili del Comune, sono state invece ritenute
elementi a carico del ricorrente, nonostante che costui fosse stato intercettato in una sola
occasione, il 1 agosto 2005.
Lo stesso vizio di motivazione, con riferimento al reato di corruzione di cui al
capo 30,
relativo al
manufatto abusivo realizzato, alla via Masseria Vecchia, da Fontana Francesco e Savarese Massimo.
Anche in questo caso si era sostenuto che l'imputato non era a conoscenza del cantiere abusivo.
Ed invece la Corte, a pagina 111 e seguenti, si era soffermata sulle dichiarazioni etero ed auto
accusatorie di Fontana e Basile Antonio senza chiarire quale fosse l'elemento di prova specifico a
carico dell'imputato.
10
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Infine in ordine
al capo 1,
la difesa denuncia la mancanza di motivazione in ordine alla addebitata
partecipazione, in veste, oltretutto, di capo-promotore, quale conseguenza della assoluta
insufficienza della motivazione riguardante i reati-fine;
2)
il vizio di motivazione e la violazione di legge con riferimento alla circostanza aggravante di cui
all'articolo 416 commi uno e tre c.p.
Gli argomenti della Corte, concentrati a pagina 296, sono apodittici e tautologici;
3)
il vizio di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche, essendo stata fornita una motivazione
unica per tutti gli imputati che non ha tenuto conto di come il ricorrente abbia partecipato solo a
quattro attività illecite, contenute in un breve lasso di tempo.
Anche la pena accessoria dovrebbe subire il correlato ridimensionamento.
Il ricorso è inammissibile
perché fondato su ragioni diverse da quelle che possono essere sottoposte alla
Corte di cassazione.
Occorre preliminarmente dare atto che la giurisprudenza della Cassazione è assolutamente univoca nel
ritenere che, in materia di intercettazioni telefoniche, l'interpretazione del linguaggio e del contenuto delle
conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al
sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di
esperienza ( Sez. 6, Sentenza n. 15396 del 11/12/2007 Ud. (dep. 11/04/2008 ) Rv. 239636 ; Conformi: N.
5501 del 1995 Rv. 205651, N. 3643 del 1997 Rv. 209620, N. 40172 del 2004 Rv. 229568, N. 35680 del 2005
Rv. 232576, N. 117 del 2006 Rv. 232626).
Risulta pertanto inammissibile il motivo di ricorso che sia proposto attraverso la trascrizione di brani della
conversazione intercettata, di cui si richieda quindi, in sostanza, alla Corte di cassazione, la rilettura
finalizzata alla affermazione di un possibile fraintendimento interpretativo o valutativo in cui sia incorso il
giudice del merito.
Resta a parte e sarebbe invece ammissibile il caso -non ricorrente nella specie- in cui fosse dedotto - col
mezzo, appunto anche della trascrizione integrale del verbale contenente la intercettazione - il
travisamento della prova, ossia la percezione assolutamente stravolta di una emergenza probatoria decisiva
per le sorti del processo, apprezzabile ictu oculi e non dipendente da una attività valutativa, propria del
giudice del merito.
Ciò posto va dato atto che la motivazione esibita dalla Corte territoriale, a proposito della posizione del
ricorrente, è del tutto esaustiva e completa e si sottrae al sindacato di questo giudice della legittimità.
Con riferimento alla motivazione concernente l'episodio di corruzione di cui al capo 20, ad esempio, la
critica della difesa è incentrata sulla interpretazione della prima conversazione intercettata, così come
esposta dai giudici a pagina 52 e 53 della sentenza, senza considerare che il ragionamento giustificativo
della condanna si sviluppa ben oltre, sino a pagina 58, dando atto di numerose altre conversazioni assai
eloquenti intervenute il 29 agosto, quando l'implicazione del ricorrente nella riscossione della tangente
presso il costruttore e nella divisione con gli altri sodali, si manifesta sulla base di conversazioni
analiticamente interpretate dal giudice del merito e valorizzate nel rispetto della logica e della razionalità.
La stessa conversazione del 5 agosto 2005, d'altra parte, risulta oggetto (a pagina 53) di una rinnovata e
razionale disamina da parte della Corte d'appello che ricava, da essa, le ragioni della reticenza del
ricorrente nel porsi in contatto telefonico con l'imprenditore corrotto, non già per ragioni etiche ma, al
contrario, per l' esplicitato timore derivante dalla natura necessariamente illecita del colloquio che si
sarebbe dovuto effettuare.
Ugualmente deve ritenersi con riferimento alla motivazione concernente i capi 23 e 23 A.
11
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
„.
La difesa si limita a riproporre le censure già rappresentate al giudice dell'appello e da questi superate con
argomentazioni del tutto logiche.
In particolare, nella sentenza impugnata, si offre una analisi assolutamente plausibile in ordine alla
sussistenza dell'elemento oggettivo e di quello psicologico dei reati in contestazione, desunti dalla
conversazione telefonica intercettata il 19 dicembre 2005, da quella del 24 marzo 2006 e infine dalla
conversazione ambientale del 20 dicembre 2005.
Dal contenuto di queste è stato tratto il razionale convincimento che l'imputato non solo sapesse
dell'esistenza di casette in legno poggiate sul suolo demaniale in concessione a di Francia Giuseppina-
consapevolezza non negata neppure nel ricorso- ma che, altresì fosse perfettamente consapevole,
unitamente ai coimputati, del fatto che tale situazione comportava l'obbligo di denuncia all'autorità
giudiziaria e di sequestro in flagranza- entrambi, dunque, volutamente ritardati- essendo in corso l'abuso
edilizio che in effetti risulterà poi integralmente consumato il 29 marzo 2006, quando è stato eseguito il
sequestro delle otto case mobili con ruote e annessi bagni appoggiate su un masso di calcestruzzo.
La censura della difesa, in sostanza, consiste esclusivamente nella contrapposizione, alla valutazione del
giudice del merito, di una ricostruzione alternativa del fatto certamente non conoscibile e tanto meno
apprezzabile in via diretta da parte di questa Corte di cassazione.
La motivazione concernente i capi 28 e 28 a, d'altra parte, è completa a differenza di quanto sostenuto
dalla difesa e non è limitata alla valorizzazione di un'unica intercettazione telefonica risalente al 1 agosto
2005.
È vero, al contrario, che i giudici del merito affermano come la unicità della conversazione intercettata a
carico del ricorrente e riferita ai rapporti illeciti intrattenuti con Di Maro, a proposito della realizzazione
abusiva di un complesso di 60 tra mono e bilocali in via Rannola, non costituisce l'unico elemento
valorizzabile.
Il senso di quella telefonata è stato infatti valutato alla luce del tenore assai meno criptico delle
conversazioni dei coimputati, illustrate a pagina 86 e 87 della sentenza impugnata.
Ma soprattutto, alla luce delle successive conversazioni del 23 dicembre 2005 e del 13 marzo 2006,
analizzate a pagina 89 e 90 e ritenute plausibilmente indicative del contesto di evidente e radicata
intraneità del capitano dei vigili Del Franco nelle operazioni illecite dello stesso tipo che venivano
materialmente poste in essere dai propri sottoposti nel territorio di competenza: con la conseguenza non
solo di una sistematica spartizione degli utili ad opera dello stesso capitano, del quale pertanto,
motivatamente è stato escluso il ruolo di esecutore inconsapevole di iniziative altrui.
La corte, in altri termini, ha anche adeguatamente argomentato la conclusione raggiunta secondo la quale
l'imputato non si esponeva in prima persona nelle trattative con gli imprenditori e i responsabili degli abusi
(pagina 90) pur percependo il provento delle sistematiche corruzioni.
La motivazione concernente la responsabilità per il reato di corruzione (capo 30) ad opera dell'imprenditore
Francesco Fontana, con riferimento agli abusi edilizi dello stesso realizzati, tra l'altro, nel cantiere di via
Masseria Vecchia non è né insufficiente e tanto meno manifestamente illogica.
Al contrario, a pagina 106, essa fa perno sulla conversazione del 4 aprile 2006, intervenuta fra i vigili
coimputati Basile e Sodano , relativamente al fatto che l'imputato aveva ricevuto, da Fontana, un prezzo
della corruzione non proporzionato al valore degli abusi realizzati.
Si tratta di una conversazione analizzata assieme a numerose altre- analizzate da pagina 104 a pagina 108-
ritenute plausibilmente e motivatamente indicative del pieno coinvolgimento dei colloquianti nell'episodio
corruttivo in esame e quindi altresì della sicura riferibilità della conversazione all'imputato e al reato in
discussione.
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
,..
Il senso di quelle conversazioni, d'altra parte, in linea con l'ipotesi accusatoria, risulta confermato
dall'avvenuto sequestro del cantiere in questione, il 13 maggio 2006, ad opera del competente
Commissariato, che aveva rilevato il carattere abusivo dello stesso, invece consapevolmente e
volutamente trascurato dai Vigili urbani competenti per territorio, i quali avevano ricevuto il prezzo delle
loro dolose omissioni.
Del tutto generiche e comunque manifestamente infondata risulta infine la censura alla motivazione sulla
responsabilità per il reato associativo, basata sulla inconsistenza - dimostratasi invece insussistente- delle
prove riguardo ai reati fine.
D'altra parte la difesa ignora completamente i rilevantissimi elementi illustrati dalla Corte come lo sfogo
del vigile Arcieri avvenuto nel corso di una conversazione intercettata il 16 marzo 2006 fra lo stesso e il
ricorrente, nonché altri due vigili (pagina 272): una conversazione nella quale il pubblico ufficiale si lascia
andare senza freni inibitori (virgolette "cacciate i soldi che vi siete rubati") a dare atto del sistema di
corruzione diffuso nel quale si trova ad operare, senza che lo stesso ricorrente opponga alcunché.
Non può dirsi nemmeno censurabile la motivazione che ha riguardato l'attribuzione al prevenuto del ruolo
di capo promotore
del sodalizio, essendo plurimi i passi della motivazione dedicati a tale circostanza
aggravante con riferimento alla posizione del ricorrente.
Ed invero, si è già affermato in giurisprudenza che nella nozione di "capi" dell'organizzazione debbono
comprendersi non solo il vertice dell'organizzazione, quando questo esista, ma anche coloro che abbiano
incarichi direttivi e risolutivi nella vita della organizzazione e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai
propositi delinquenziali realizzati (Rv. 176720).
Ebbene, con riferimento al ricorrente è stato illustrato ampiamente il ruolo, connesso anche alla sua
funzione apicale di capitano - peraltro non ritenuta decisiva dalla Corte di merito (pagina 295)-, di
distributore degli utili settimanali provenienti dall'illecita attività corruttiva degli imprenditori (vedi ad
esempio pagina 90, 289,293, 296), con argomentazione che la difesa del tutto trascura nell'articolazione dei
propri motivi di ricorso.
Infine la critica alla statuizione di non concessione delle attenuanti generiche appare essa stessa
inammissibile perché semplicemente volta ad opporsi, con considerazioni di mero fatto, agli argomenti
utilizzati dal giudice del merito, in linea col disposto dell'articolo 133 cp.
Deduce Basile
(condannato per promozione di associazione per delinquere (capo 1), nonché per 26 altri
reati di corruzione passiva, favoreggiamento , falso ideologico, omessa denuncia, rivelazione di segreti
d'ufficio, violazione di sigilli- esclusa l'aggravante dell'art. 7 D.L. n. 152 del 1991, originariamente contestata
con riferimento ai capi da 37 e a 38b)
1)
la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al reato di cui al
capo 20
con riferimento al
quale il giudice di primo grado aveva ritenuto che il materiale probatorio (essenzialmente cinque
intercettazioni) fosse ambiguo soprattutto perché costituito quasi esclusivamente da conversazioni
di altri imputati;
2)
l'unicità dell'ambigua intercettazione posta a fondamento del giudizio di responsabilità per il
capo
21
.
3)
il vizio della motivazione con riferimento al reato associativo
(capo 1)
soprattutto in relazione
all'elemento psicologico, non essendo convincente l'argomentazione riguardo la consapevolezza, da
parte di presunti associati, di agire facendo parte di uno stabile gruppo organizzato: ed invece era
13
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
t
emerso soltanto che essi agivano in gruppi o sottogruppi, a volte con interessi confliggenti, in una
situazione caratterizzata da corruzione ambientale.
Quest'ultima, d'altra parte, costituisce l'antitesi logica della rappresentazione di una organizzazione
convergente verso un fine unitario;
4)
anche il ruolo di promotore appare ingiustificatamente affermato se si considera che l'associazione
in esame preesisteva rispetto all'intervento del ricorrente e che quest'ultimo non viene più
intercettato dopo il luglio del 2006-quando aveva cessato il servizio antiabusivismo-nonostante che
l'attività di captazione fosse proseguita per due anni;
5)
l'eccessivo rigore delle pene irrogate, essendo stata individuata la pena per il reato base, in misura
prossima al massimo edittale, e la mancanza di motivazione sui singoli aumenti ex articolo 81 c.p.,
essendo stato individuato il relativo aumento in misura ingiustificatamente superiore rispetto al
coimputato Soda no.
Il ricorso è infondato deve essere rigettato.
I primi due motivi
di doglianza sono affetti da
inammissibilità
tenuto conto che nel primo caso le censure
sono di puro fatto e nel secondo caso appaiono del tutto generiche.
La responsabilità del ricorrente in ordine al reato di corruzione di cui al capo 20- così riqualificata
l'originaria imputazione- è stata affermata dal giudice d'appello, come esattamente ricordato nel ricorso,
dopo l'assoluzione pronunciata in primo grado nei confronti di tutti gli imputati interessati.
L'analisi compiuta dal giudice dell'appello coinvolge non solo la telefonata del 26 agosto, alla quale è
direttamente interessato il ricorrente, ma anche tutte le altre che si riferiscono al medesimo rapporto con
l'imprenditore Pinto e che fanno riferimento a un linguaggio criptico, riferito a "certificato" o a "residenza"
ossia a termini che il giudice del merito, con motivazione del tutto congrua e quindi sottratta al vaglio di
questa Corte di legittimità, ha ritenuto di interpretare come univocamente riferita alla nozione di
"tangente".
Si tratta di una motivazione che, nel rispetto di quanto richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, si fà
espressamente carico delle motivazioni addotte dal giudice di primo grado a sostegno della assoluzione,
per confutarle sulla base di una diversa lettura del contenuto delle intercettazioni.
Il terzo motivo
è infondato, dovendosi considerare, come sopra già rilevato, che la motivazione sulla
configurazione dell'associazione per delinquere descritta nel capo
1
è del tutto congrua ed in linea con i
canoni ermeneutici tracciati dalla giurisprudenza di questa Corte.
La difesa ricorre alla nozione di "corruzione ambientale" per sostenere che, in una situazione nella quale la
corruzione è una prassi diffusa, sia dal lato di chi promette, che dal lato del pubblico ufficiale che riceve le
promesse di danaro, sarebbe di fatto illogico presumere la necessità o anche solo la effettività di un
accordo finalizzato a tal genere di risultato, destinato comunque a prodursi.
Orbene, va notato, in primo luogo, che la connotazione "ambientale" è stata utilizzata dalla giurisprudenza
con riferimento non già alla corruzione ma alla concussione ed al fine di illustrare una situazione nella quale
si realizza di fatto, ed a prescindere dalla esplicita comunicazione, il rapporto dominante del pubblico
ufficiale sul privato.
Con riferimento al tema che ci occupa, invece, tale connotato non risulta logicamente incompatibile con la
concezione di una associazione per delinquere fra un numero di soggetti determinati, finalizzata alla
realizzazione sia di corruzioni che di numerosi altri tipi di reato connessi.
Ed infatti la circostanza che una prassi corruttiva si ritenga diffusa in un determinato ambiente sociale ed
amministrativo non impedisce affatto ed anzi concorre a sostenere la tesi che, di quella prassi, possa essersi
avvalso, in particolare, un gruppo determinato di pubblici ufficiali nonché di professionisti e di imprenditori,
esattamente individuato attraverso prove inconfutabili come quelle raccolte nel caso di specie attraverso le
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intercettazioni e le dichiarazioni degli interessati. Un gruppo di soggetti, cioè, i quali non operavano
autonomamente l'uno dall'altro ma, al contrario, come dimostrato, agivano sulla base di una rete di
rapporti interpersonali assolutamente collaudati e ripetitivi delle modalità, oltretutto complementari
perché necessitanti, per il loro espletamento, del concorso consapevole degli altri sodali.
La omissione di una denuncia o di un sequestro finalizzati alla percezione del prezzo della corruzione presso
un determinato imprenditore non poteva essere realizzata se non con il concorso di tutti i pubblici ufficiali
competenti a provvedere al singolo caso e ugualmente coinvolti, dunque, nella condotta omissiva, in una
relazione necessariamente sinergica e coordinata perché destinata a trovare remunerazione nella
percezione di somme di danaro che confluivano in un'unica e comune cassa.
Il quarto motivo
è inammissibile essenzialmente per le ragioni già illustrate a proposito di analoga
questione sollevata da Del Franco. La fattispecie dell'articolo 416 comma uno c.p. è stata contestata ed
attribuita ricorrente anche ed essenzialmente sotto il profilo della funzione organizzativa assunta-anche pro
tempore-nel sodalizio, come si desume in particolare a pagina 284 dove sono illustrati gli elementi
probatori che dimostrano che il Brasile è stato, per numerosi periodi, collettore di mazzette e distributore
degli illeciti utili agli altri vigili .
Ne consegue che le censure della difesa, oltre ad essere in sé inammissibili perché versate in fatto, sono
comunque tali anche per genericità in quanto risultano eccentriche rispetto alle argomentazioni spese dal
giudice del merito.
In ordine al trattamento sanzionatorio
(quinto motivo)
si deve rilevare che il giudice dell'appello ha fornito,
attraverso la ricostruzione dei diversi fatti e del grado di implicazione dei partecipi, la motivazione che
giustifica il differenziato trattamento sanzionatorio, con la conseguenza che l'aumento per continuazione
relativa ai diversi imputati, risulta effettuato sulla base di canoni differenziati che vedono il Basile
assoggettato ad aumenti maggiori rispetto ad taluni, ma minori rispetto a quanto effettuato nei riguardi di
altri (ad esempio Parisi o Taglialatela). Discende da ciò che le osservazioni del difensore, più che dare corpo
a un vizio di manifesta illogicità della motivazione, si sostanziano in una richiesta di diversa valutazione
della gravità del fatto, non consentita nella sede di legittimità.
Deduce Granata Sabatino
(condannato in primo grado per il reato di corruzione continuata di cui al capo
32 e in appello anche per il reato di partecipazione ad associazione per delinquere di cui al capo 1), motivi,
articolati dagli
avv.ti Krogh e Lepre
in termini del tutto analoghi a quelli illustrati e riportati sopra,
nell'interesse del fratello Granata Raffaele, posto in una situazione processuale anch'essa sovrapponibile.
1) In particolare l'avv. Krogh riprende ed amplia la disamina della eccezione di nullità del processo di
primo grado celebrato col rito abbreviato, ma con violazione del principio della cristallizzazione
degli atti, a causa della richiesta di misura cautelare reale da parte del pubblico ministero, dopo la
ammissione del rito.
Secondo la difesa, la richiesta del pubblico ministero con conseguente disposizione, pressoché in un
unico contesto, del sequestro e della confisca, aveva leso il diritto dell'imputato di esperire i rimedi
previsti contro un sequestro illegittimo.
Inoltre la difesa aveva dovuto subire un capo della decisione -quello della confisca- aggiuntivo
rispetto a quelli che si poteva attendere all'atto dell'ammissione del rito; per giunta senza poter
esercitare il proprio diritto alla prova in tema di provenienza dei beni confiscati.
Il difensore sostiene l'erroneità del ragionamento della Corte secondo cui l'ammissione del rito
abbreviato comporta la cristallizzazione soltanto degli atti aventi valore di prova: ed in effetti, alla
15
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
richiesta di sequestro, corredata di atti volti a provare quantomeno il fumus del reato, non poteva
non essere riconosciuto valore probatorio aggiuntivo.
La difesa lamenta anche l'affermazione della corte secondo cui non rileverebbe, nel senso della
lesione di diritti difensivi, la mancata trasmissione al giudice per le indagini preliminari delle
conversazioni intercettate: un'affermazione inammissibile se si considera lo stato della
giurisprudenza delle sezioni unite sul diritto della parte all'accesso alle registrazioni (sentenza delle
sezioni unite numero 23 100 del 2010);
2)
ancora, l'avvocato Krogh ripropone il vizio di motivazione e la violazione di legge con riferimento
alla affermata responsabilità per il reato di associazione per delinquere di cui al capo 1).
Pone in evidenza il contrasto logico fra la nozione di associazione per delinquere, utilizzata nel capo
1) e la realtà dei fatti che ha visto vigili e funzionari comunali in posizione storica e giuridica del
tutto opposta e contrastante rispetto a quella degli imprenditori: soggetti non legati da uno scopo
comune ma volti a realizzare, ciascuno, il proprio interesse personale.
Il giudice dell'appello sarebbe venuto meno al dovere di contrastare il ragionamento del primo
giudice che aveva assolto dal reato in questione.
Inoltre il difensore sostiene che il reato associativo è stato configurato come reiterazione dello
schema transattivo proprio del reato di corruzione che, da reato fine, è stato trasformato in un
reato mezzo attraverso cui sarebbe nata l'associazione.
D'altra parte, prosegue, se invece si fosse trattato di un'associazione nata prima ed a prescindere
dall'accordo corruttivo, tanto avrebbe dovuto essere specificamente motivato;
3)
nel terzo motivo del ricorso dell'avvocato Krogh si denunciano la violazione di legge e il vizio di
motivazione, con riferimento alla responsabilità per il reato di corruzione di cui al capo 32).
Ad avviso del difensore la prova sarebbe costituita da poche intercettazioni, dal tenore equivoco,
prive di riscontro obiettivo, per giunta intercorse fra terzi, oltre che da una modesta ammissione
da parte dell'imputato.
Sostiene la difesa che la ammissione di un fatto di corruzione è essa stessa prova della inesistenza
degli altri reati contestati;
4)
la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento alla confisca, misura sanzionatoria che
non avrebbe potuto essere applicata retroattivamente, come affermato anche dal Tribunale del
riesame in un incidente cautelare promosso da coimputato.
Il difensore, in particolare, critica la motivazione esposta dalla Corte territoriale che ha affermato la
natura preventiva della misura- che ha colpito indifferentemente tutti i beni del patrimonio
dell'imputato- citando giurisprudenza di legittimità superata da due pronunce della Corte
costituzionale, la n. 97 del 2009 e n. 196 del 2010, che hanno invece affermato la natura afflittiva e
punitiva della misura stessa, sia pure in situazioni non identiche: con la conseguenza che essa
rientra nella nozione di pena per la quale l'articolo 7 Cedu impone la non retroattività della
disposizione legislativa che istituisce tal genere di misura.
Per la eventualità che tale interpretazione non sia condivisa dalla Corte, la difesa chiede che sia
sollevata eccezione di legittimità costituzionale degli articoli 200 c.p. e 12 sexies I. n. 152 del 1991,
modificato dall'articolo 1 comma 220 della legge n. 296 del 2006.
Sotto un diverso profilo, la difesa lamenta la mancata motivazione riguardo a tutti i rilievi contenuti
nella consulenza del professor Sandulli e volti a dimostrare come la capacità reddituale
dell'imputato dovesse essere considerata arricchita dai numerosi mutui e finanziamenti bancari
ottenuti sia come soggetto privato che come gestore di società;
16
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
5) si denuncia infine il difetto assoluto di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche.
L'avvocato Lepre,
ha redatto un autonomo ricorso contenente, come detto, doglianze in tutto
analoghe a quelle già rappresentate con riferimento alla posizione di Granata Raffaele.
In più, con il terzo motivo di ricorso, ha dato atto della confessione proveniente dall'imputato con
riferimento a uno dei tre episodi di corruzione contestati al capo 32) ed ha dedotto il vizio di
motivazione limitatamente alla responsabilità affermata in relazione ai residui due episodi contestati.
Evidenzia il difensore come l'unico elemento probatorio utilizzato, cioè la conversazione intercettata
tra il ricorrente e tal Costagliola, è equivoco e insufficiente, soprattutto dopo che era emerso come
numerose delle conversazioni riferite al Sabatino concernessero una persona diversa (Sestile).
In realtà la conversazione con Costagliola trovava spiegazione nel fatto che il fornitore di calcestruzzo
riferiva al ricorrente fatti di diretto interesse per suo fratello Raffaele.
In data 16 aprile 2013, ha fatto anche pervenire
una memoria
con la quale ha segnalato la
pubblicazione della sentenza della prima Sezione penale che ha affermato il principio della non
comprensione della fattispecie di cui all'articolo 321 tra gli illeciti per i quali può venire applicata la
misura di sicurezza patrimoniale atipica di cui all'articolo 12 sexies.
I ricorsi dei difensori di Granata Sabatino sono fondati
,in primo luogo ,negli stessi termini già rilevati con
riferimento alla posizione di Granata Raffaele e cioè relativamente alla statuizione di conferma della
parziale confisca dei beni
(quarto motivo).
Si rinvia alla motivazione del principio di diritto sopra enunciato sul tema, così ritenendosi di recepire anche
il senso della memoria dell'avvocato Lepre - peraltro illustrata senza equivoci nel corso della discussione
orale- nella quale la novità giurisprudenziale favorevole alla sua tesi risultava enunciata, pur senza
indicazione degli estremi della sentenza, mentre appariva allegata alla memoria stessa — evidentemente
per errore materiale- una sentenza (quella n. 4431 del 2011) sfavorevole al ricorso, così come del resto,
dallo stesso ricorrente, già indicato a f. 35 dell'originario ricorso per cassazione.
Gli
altri quattro motivi
di ricorso devono invece essere oggetto- con la eccezione della quale si dirà- di una
complessiva pronuncia reiettiva, nello stesso senso di quella emessa a fronte delle analoghe osservazioni
articolate nell'interesse di Granata Raffaele: con l'ulteriore precisazione che il motivo di ricorso sul diniego
delle attenuanti generiche risulta articolato, dall'avvocato Krogh, in termini addirittura di inammissibilità.
Se infatti è indiscutibile che l'esercizio del potere discrezionale dipendente dalla applicazione dell'art. 133
cp deve essere giustificato con apposita e logica motivazione, è anche vero che il motivo di ricorso con il
quale si censura siffatta motivazione o comunque l'esercizio di tale potere sotto il profilo della violazione di
legge è comunque soggetto a valutazione preliminare di ammissibilità, che precede e prescinde dalla
fondatezza del motivo stesso: una valutazione che deve essere condotta alla stregua dei criteri posti
dall'articolo 581 cpp, i quali pretendono la specificazione delle ragioni di fatto e di quelle in diritto a
sostegno della doglianza.
Discende da ciò che la generica censura sulla mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di attenuanti
generiche è in sé e, in tali termini, ammissibile soltanto quando sia stata fatta accertare la radicale assenza
di risposta, da parte del giudice del merito, ad una questione sottopostagli , a sua volta, ammissibilmente.
Invece l'inadeguatezza della risposta, che pur sia stata data, deve essere denunciata con indicazione, da
parte del ricorrente, degli elementi di fatto che sarebbero stati indebitamente trascurati dal giudice del
merito: una evenienza non ricorrente nel caso di specie.
17
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
La doglianza sulla nullità del giudizio abbreviato
(primo motivo
)dovuta alla presentazione della richiesta di
misura cautelare reale dopo la ammissione del rito, d'altra parte, è da ritenere infondata per le ragioni
sopra illustrate e soprattutto- la specifica prospettazione dell'avvocato Krogh- ora carente di interesse,
atteso che la stessa mira essenzialmente a far riconoscere come illegittima la richiesta di misura cautelare
del pubblico ministero sfociata in un provvedimento di accoglimento, che risulta posto nel nulla, senza
rinvio, per effetto del principio di diritto sopra enunciato.
D'altra parte, anche nel merito, la questione sarebbe comunque da rigettare atteso che l'angolazione dalla
quale la questione viene posta dal menzionato legale, è quella della introduzione, che attraverso la richiesta
del pubblico ministero si realizzerebbe, negli atti del giudizio abbreviato, di prove nuove costituite da quelle
che corredano, ai fini del fumus del reato, la richiesta di misura cautelare.
Senonché una simile affermazione non solo è del tutto generica ma, per di più, è essa stessa
manifestamente illogica se si considera che la prospettazione del fumus del reato non può che essere, data
la fase della richiesta, quella che dipende dall'attività posta in essere del pubblico ministero durante le
indagini preliminari e cioè la stessa posta fondamento della richiesta di rinvio a giudizio e poi del rito
speciale. La documentazione alla richiesta di misura cautelare reale, peraltro nemmeno destinata a
raggiungere la soglia indiziaria, non può che essere in rapporto di continenza rispetto a quella ben più
ampia che il Pubblico ministero deposita al Gip anche per l'eventualità che essa debba valere per un
giudizio abbreviato.
Il contrario non è dimostrato e neppure allegato dalla difesa, come del resto colto lucidamente anche dal
Procuratore Generale di udienza.
Infine è da considerare che le norme che attribuiscono la competenza a provvedere in materia di misura
cautelare reale al giudice competente a pronunciarsi nel merito (vedi articolo 321 cpp) è di carattere
generale e non vi è ragione di ritenerla derogabile nel caso di instaurazione del rito abbreviato.
Quanto infine alla deduzione della mancata trasmissione del contenuto delle intercettazioni telefoniche,
oltre a richiamarsi qui tutte le considerazioni sulla decadenza dell'eccezione di nullità, deve essere poi
precisato che già nella sentenza impugnata, da pagina 117 in avanti, si è bene specificato come la
trascrizione delle intercettazioni telefoniche fosse stata regolarmente versata negli atti depositati dal
Pubblico ministero mentre i "files audio", per quanto non trasmessi, costituivano, si, materia di un diritto di
accesso della parte che aveva il potere di farne richiesta per il tramite del difensore - con correlata sanzione
in caso di immotivato diniego o ritardo-; tuttavia tale diritto non risultava in alcun modo azionato dal legale
del tempo, unico soggetto legittimato, e quindi tanto meno violato nel caso di specie.
li
secondo motivo
sopra enunciato è infondato per tutte le ragioni già illustrate a proposito dell'analogo
motivo articolato nell'interesse di Granata Raffaele.
Deve qui aggiungersi che l'affermazione del difensore secondo cui il giudice dell'appello avrebbe trascurato
la motivazione assolutoria del primo giudice, è smentita dall'analisi della sentenza impugnata ove, al
contrario, si dà atto (a pagina 263 e seguenti) dei dubbi nutriti dal Gup a proposito della adesione degli
imprenditori all'associazione per delinquere configurata sicuramente fra i vigili, e della loro consapevolezza
dell'esistenza dell'organizzazione nonché della volontà di contribuire al fine unitario. E si offrono, altresì, le
ragioni capaci di superare tali dubbi in una prospettiva che non lascia spazio alla ricostruzione della vicenda
in termini alternativi.
Ancora è da rilevare come il principale argomento dell'avvocato Krogh e cioè la confusione in cui sarebbe
incorso il giudice del merito nel sovrapporre e confondere il patto corruttivo e il patto associativo, non è
tale da rappresentare un vizio di manifesta illogicità della motivazione.
Non è il patto sulla compravendita della funzione amministrativa a costituire il nerbo dell'associazione in
esame ma è , semmai, vero che i plurimi reati di corruzione registrati nell'ambito di una cerchia ristretta e
18
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
sempre ricorrente di soggetti, siano stati considerati uno degli elementi indicativi, concorrenti con altri,
dell'esistenza, fra quei soggetti, di un autonomo sodalizio criminoso finalizzato la commissione di tal genere
di reati.
Si trattava, infatti, di un patto di mutuo e reciproco interesse, un sorta di inedita "fondazione di
partecipazione", all'interno della quale lo scopo comune era quello di rendere agevole e senza "intoppi" il
sistema della illegalità da realizzare, nel settore della edilizia, attraverso un numero indefinito di altri reati
come le omesse denunce o i favoreggiamenti o le rivelazioni di segreti d'ufficio o ancora i falsi oppure, per
quanto concerneva l'interesse degli imprenditori e dei professionisti, reati attinenti alla violazione della
normativa urbanistica e quindi tali da comportare lucrosi affari per essi.
Un patto, in altri termini, che comportava l'esistenza di disponibilità garantite, dai singoli partecipi,
all'espletamento di ruoli seriali, con la conseguenza che il fine comune dell'associazione criminosa era
esattamente quello del mantenimento in vita di tale patto comune, con la garanzia che ognuno dei soggetti
avrebbe posto in essere l'attività, complementare a quella degli altri, necessaria anche per la successiva
realizzazione di profitti economici, essi si, non sempre e non necessariamente comuni
,
32:34e-
,
*.
-
wq•• ).
Relativamente, infine, alle comuni doglianze dei due difensori
(terzo motivo)
riguardo alla motivazione
posta a fondamento del giudizio di responsabilità per il reato di corruzione continuata (capo 32), se ne
rileva
la parziale fondatezza.
Relativamente al concorso nel fatto di corruzione concernente il cantiere abusivo "non meglio individuato"
di pertinenza di Granata Raffaele e De Vito Alfredo, la motivazione esposta dai giudici del merito da pagina
122 a pagina 130, non reca alcun serio elemento che concerna la posizione del ricorrente.
Sono state infatti citate le conversazioni che coinvolgono i coimputati e Granata Raffaele in particolare,
mentre Granata Sabatino non viene nemmeno indirettamente menzionato.
Per tale posizione la motivazione deve essere annullata con rinvio.
Viceversa , in riferimento alla corruzione concernente il manufatto abusivo realizzato materialmente da De
Vito e Granata Raffaele per conto di Mazzola Vincenzo, in via Recapito, la motivazione è esaustiva e consta
dell'analisi del contenuto di una serie concatenata di intercettazioni telefoniche, tra le quali due
concernenti personalmente il ricorrente, unitamente ad un incontro dello stesso personalmente avuto con
l'interlocutore, subito dopo ciascuna delle conversazioni (vedi pagina 136 e 137).
Infine, con riferimento al manufatto abusivo di Via Masseria Vecchia, di pertinenza di Granata Raffaele,
risulta non esservi contestazione da parte dell'avvocato Lepre che ha riconosciuto la idoneità probatoria
della confessione resa dall'imputato Granata Sabatino (vedi pagina 121, 148).
Deduce Carleo
(
condannato per il reato di associazione per delinquere di cui al capo 1) e per il reato di
corruzione attiva di cui al capo 41, in concorso con l'imprenditore Pelliccia, relativamente all'esecuzione di
lavori eseguiti in tutti i quattro cantieri contestati nell'imputazione - così ribaltata la parziale assoluzione da
due fatti-reato del capo 41) e dal capo 1), intervenuta nel primo grado -)
1) la omessa motivazione con riferimento ai motivi di appello e alla memoria depositata al giudice di
secondo grado, con riferimento all'imputazione di partecipazione ad associazione per delinquere
per la quale era già intervenuta assoluzione in primo grado.
La difesa lamenta la inidoneità della motivazione adottata dalla Corte d'appello per ribaltare quella
del Tribunale: una motivazione, essenzialmente svolta a pagina 317, secondo cui la prova della
partecipazione all'associazione, da parte del geometra Carleo, derivava dal rilievo che egli aveva
rapporti continuativi con il capitano Taglialatela per la risoluzioni delle problematiche sorte nel
cantiere di Micillo, peraltro non oggetto di imputazione.
Inoltre erano stati valorizzati i suoi rapporti con i tecnici comunali (pagina 320 e 321) .
19
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
In realtà, la Corte aveva del tutto omesso di rispondere ai rilievi difensivi che facevano notare come
non fosse chiaro il ruolo attribuito al ricorrente, ora considerato referente dei funzionari dell'Ufficio
tecnico, ora socio in affari dell'imprenditore Pelliccia; in secondo luogo era stato evidenziato che
l'imputato aveva avuto rapporti con il solo Pelliccia e con Gargiulo, ma mai con gli altri vigili urbani
coimputati.
Era emerso soltanto, dalle intercettazioni, che egli aveva agito come intermediario del Pelliccia per
la consegna del denaro a due presunti corrotti, tecnici comunali, in sole due occasioni.
Comunque i rapporti con costoro risultavano di assoluta conflittualità ed era mancata altresì la
prova dell' elemento psicologico del presunto reato associativo;
2)
la violazione degli articoli 319 e 321 c.p.
Sostiene la difesa di avere dedotto in appello che gli atti amministrativi per i quali era stata elevata
l'imputazione di corruzione, erano risultati del tutto legittimi e tale realtà avrebbe dovuto essere
valorizzata ai fini della qualificazione giuridica del fatto come corruzione impropria antecedente ex
articolo 318 comma uno c.p.;
3)
l'erronea applicazione dell'articolo 62 bis cp e il vizio di motivazione in ordine alla richiesta di
attenuanti generiche.
Queste erano state invocate nei motivi d'appello in ragione dell'apporto minimo alla realizzazione
delle costruzioni e del mancato personale beneficio ma la Corte territoriale aveva esibito una
motivazione onnicomprensiva che aveva trascurato gli argomenti specifici in questione;
4)
il vizio di motivazione con riferimento all'entità della pena, che era stata fissata in misura prossima
al massimo edittale nonostante il ruolo dell'imputato che aveva agito come mero intermediario.
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Infondato si rivela
il primo motivo
di ricorso con il quale viene contestata la motivazione in ordine alla
affermata responsabilità per il reato di partecipazione alla associazione per delinquere.
La doglianza del ricorrente consiste nel tentativo di rappresentazione svincolata dei diversi elementi invece
valorizzati dal giudice dell'appello, unitamente a tutti gli altri acquisiti, per affermarne la responsabilità in
ordine al reato associativo dal quale il giudice di primo grado lo aveva assolto.
Essenzialmente, a partire da pagina 318 fino a pagina 321, è stato illustrato, dal giudice del merito, il ricco
compendio probatorio sulla base del quale esso ha potuto ritenere esistente in primo luogo un pactum
sceleris dai contorni più limitati rispetto al maggior sodalizio di cui all'imputazione, stretto, il primo, fra i
dipendenti comunali, gli imprenditori e il gruppo di professionisti privati tra i quali il Carleo, tutti volti ad
assicurare l'esistenza di una affidabile struttura di relazioni , rapporti e ruoli complementari in virtù dei
quali veniva assicurato lo strumentale esercizio della funzione pubblica ad esclusivo vantaggio degli
interessi privati.
Uno dei sintomi principali di tale sodalizio è stato individuato (pagg. 320, 195) nella esistenza di una cassa
comune nella quale confluivano gli illeciti importi, tali dovendosi ritenere non solo le mazzette per la
vendita di questo o di quell'altro atto di ufficio, ma pure le percentuali riconosciute ai privati professionisti
per la collaborazione nella redazione dei progetti o per le consulenze: attività privata volta, per l'appunto, a
condizionare lo strumentale esercizio della funzione pubblica, così come era testimoniato, tra l'altro, dalla
circostanza obiettiva che Carleo, soggetto descritto in sentenza come colui che curava per l'imprenditore
Pelliccia tutte le questioni riguardanti l'ufficio tecnico ( pag. 194, 195) , aveva consentito ai tecnici comunali
D'Alteri° e Gargiulo di "appoggiarsi" al suo studio per svolgere , in privato, le stesse attività che poi
venivano evase nella sede pubblica. Senza considerare che Gargiulo, nonostante la veste pubblica, era
socio al 50% con l'imprenditore Granata Sabatino nella società Grafofin srl( pag. 197).
20
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Ancora risultano valorizzate in sentenza conversazioni di Pelliccia ( pag. 198, 200 e 201) dalle quali è stata
tratta la prova della esistenza di relazioni radicate e sperimentate tra l'imprenditore, il Carleo e i tecnici
comunali, nei confronti dei quali il Pelliccia stesso si è dimostrato sempre munifico, mantenendo gli
impegni assunti per acquistarne i favori.
Oltre a ciò, tale più ristretto accordo associativo si è ritenuto potesse essere perfettamente iscritto nel
contesto associativo di cui all'imputazione nel senso della esistenza di due autonomi centri di interessi,
facenti capo, uno, ai vigili urbani e, l'altro, ai dipendenti comunali, distinti per composizione, metodologie
ed obiettivi ma pure, ciononostante, collocabili nell'ambito di un medesimo contesto collettivo, con
l'adesione ad un comune programma, per la realizzazione del quale l'apporto dell'uno era necessario
all'integrazione dell'attività criminosa dell'altro e viceversa (pagina 321).
Il
motivo secondo
costituisce la mera riproposizione di una questione già sottoposta alla Corte di merito e
da questa risolta in maniera corretta.
La Corte d'appello ha esattamente sottolineato come gli atti amministrativi per i quali è stato versato il
prezzo della corruzione dovessero essere considerati comunque contrari ai doveri d'ufficio dal momento
che l'imprenditore non pagava per ottenere ciò che gli spettava di diritto ed anzi, con riferimento ad
esempio al primo episodio, non risultava essere il richiedente o il formale destinatario dell'atto. La
retribuzione era stata corrisposta per il sollecito conseguimento di un titolo che gli avrebbe assicurato una
formale legittimazione ad intraprendere la realizzazione di un intervento edilizio affatto diverso, per
consistenze destinazione, da quello apparentemente autorizzato (pagina 205).
Oltre a ciò, è stato precisato come il reato di cui all'articolo 319cp sia configurabile quando dal
comportamento del pubblico ufficiale emerga un atteggiamento diretto, in termini concreti, a vanificare la
funzione demandatagli, in tal modo rimanendo integrata la violazione dei doveri di fedeltà, di imparzialità e
del perseguimento esclusivo degli interessi pubblici che sullo stesso incombono (pagina 245).
In tema di corruzione propria, costituiscono atti contrari ai doveri d'ufficio non soltanto quelli illeciti
(perché vietati da atti imperativi) o illegittimi (perché dettati da norme giuridiche riguardanti la loro validità
ed efficacia), ma anche quelli che, pur formalmente regolari, prescindono, per consapevole volontà del
pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, dall'osservanza di doveri istituzionali espressi in
norme di qualsiasi livello, ivi compresi quelli di correttezza ed imparzialità ( Sez. 6, Sentenza n. 30762 del
14/05/2009 Ud. (dep. 23/07/2009 ) Rv. 244530Conformi: N. 3529 del 1999 Rv. 212566, N. 3388 del 2003
Rv. 224056).
Il terzo e il quarto motivo sono infondati,La
motivazione resa dal giudice dell'appello,sul trattamento
sanzionatorio, sia pure in forma apparentemente indistinta per tutti gli imputati, deve collegarsi tuttavia
alla disamina e alla ricostruzione delle vicende che riguardano ciascuno di essi nonché al giudizio di
particolare disvalore delle condotte, in quelle sedi espresso.
Per il ricorrente, dunque, tale è la base fattuale che giustifica l'entità della pena e la decisione di non
concedere le circostanze attenuanti: priva di fondamento è pertanto la generica doglianza con la quale è
stata denunciata la assenza di una argomentazione individualizzata.
Deduce Pianese
(condannato già in primo grado per il reato di partecipazione ad associazione per
delinquere e, in appello, dopo l'assoluzione in primo grado, anche per i reati di cui ai capi 43 e 43
A) (B) C) )
1) il vizio della motivazione con riferimento ai reati fine appena citati.
Si trattava della corruzione passiva contestata in concorso con i vigili lovinella e Ferrillo, per favorire
gli abusi edilizi commessi dai coniugi Ortucci-Russo nell'immobile sito in via 1° maggio.
21
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Sostiene la difesa come la vicenda sia stata gestita quasi interamente da altri soggetti (Testa e
lovinella) tra l'estate del 2005 e il 30 dicembre dello stesso anno, quando l'imputato effettuò il
sequestro del cantiere.
La conversazione ritenuta, dal giudice dell'appello, dotata di valenza probatoria a carico del
ricorrente è quella del 29 dicembre 2005 nella quale lovinella, nel corso di un colloquio riferito alla
necessità di notificare il sequestro ai Russo, aveva convocato il ricorrente dicendogli anche che
avrebbe potuto "preparare le calze della Befana" per i figli.
Orbene, la Corte d'appello aveva ritenuto tale locuzione riferibile alla ricezione di una quota della
tangente pattuita con i Russo, ma aveva tralasciato di considerare tutti gli argomenti, anche
obiettivi, addotti dalla difesa per sostenere -come del resto aveva già fatto il giudice di primo
grado- che il colloquio in questione e le calze si riferissero effettivamente al regalo natalizio per i
bambini, essendo oltretutto lo lovinella, titolare di una tabaccheria;
2) la violazione di legge e il vizio della motivazione con riferimento al reato associativo.
La difesa aveva posto in evidenza, nei motivi d'appello, come le conversazioni telefoniche
valorizzate a carico del ricorrente fossero soltanto cinque, a fronte di una mole enorme di
captazioni.
Quattro di queste erano intervenute fra soggetti diversi dall'imputato e una sola conversazione -
quella del 22 febbraio 2006- era stata ritenuta decisiva come prova della partecipazione
all'associazione.
Rispetto a tale conversazione, intercettata nell'auto di servizio condotta dal vigile Ferrillo, tuttavia,
la difesa aveva eccepito l'assenza totale di elementi capaci di dimostrare che la voce intercettata si
riferisse esattamente all'imputato.
La Corte d'appello aveva replicato in maniera del tutto incongrua, rilevando la mancata richiesta, da
parte della difesa, di una perizia fonica, nonostante che un simile incombente non fosse consentito
nel rito abbreviato e nonostante che, comunque, la prova in questione fosse a carico dell'accusa.
In data 13 maggio 2013 la difesa ha depositato una memoria con la quale ha denunciato, relativamente al
primo motivo di ricorso, anche la contraddittorietà della motivazione rispetto al contenuto delle
intercettazioni eseguite il 29 dicembre 2005.
Queste, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte d'appello, per la prima volta, ed in totale autonomia
rispetto alla sentenza di primo grado nonchè alle osservazioni del pubblico ministero, non dimostrerebbero
che lo lovinella aveva richiesto al Pianese il documento della Ortucci - il cui possesso, da parte del primo,
non sarebbe stato giustificato, se non alla luce della attività criminosa che gli si contesta- quanto che gli
aveva detto che quel documento era necessario per completare la pratica di sequestro e che lo aveva
richiesto in copia all'agenzia Russo immobiliare.
Il ricorso è infondato.
In ordine alla interpretazione delle conversazioni intercettate, come operata dal giudice del merito, la Corte
di cassazione non può essere chiamata a svolgere il proprio sindacato, posto che tale interpretazione è
riservata esclusivamente alla menzionata sede, in base alla costante giurisprudenza di legittimità.
Nel caso di specie, l'interpretazione offerta dalla Corte territoriale, sia pure in senso diverso da quello
patrocinato dal primo giudice, è del tutto rispondente ai canoni della completezza della analisi e della logica
anche perché è stata proposta con riferimento a dati ulteriori e pure di natura obiettiva, emergenti da
precedenti conversazioni e dai rapporti intrattenuti in un primo momento fra il collega Iovinella Franco -
separatamente condannato per tale reato- e la famiglia Russo che era interessata alla commissione di reati
per i quali ha versato il prezzo della corruzione.
22
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
In particolare l'interpretazione che la Corte d'appello ha ritenuto di fare propria, in linea con la tesi
dell'accusa, sta nel rilievo che l'intervento del Pianese, nella redazione del ritardato verbale di sequestro del
manufatto edilizio iniziato già sei mesi prima, è avvenuto con la consapevolezza della natura illecita
dell'intero comportamento tenuto dall'ufficio della polizia municipale: e tale consapevolezza è stata
desunta in particolare dal fatto che il ricorrente si è reso autore di un verbale di sequestro quale atto
preconfezionato, redatto in ufficio, non preceduto da un effettivo e reale sopralluogo sul cantiere (pagina
252).
Oltre a ciò, lo stesso ricorrente, nel corso di conversazioni intercettate, aveva espresso l'opportunità che
l'atto venisse esperito "con calma" .
Il fatto — contestato dalla difesa - che a tanto il Pianese abbia proceduto sulla base della fotocopia del
documento d'identità della persona denunciata, di cui avrebbe avuto il possesso in maniera del tutto
anomala, costituisce un elemento indiziario di contorno e ulteriore rispetto alle chiare emergenze già
valorizzate.
Il travisamento del contenuto della intercettazione dalla quale è stata ricavata la prova dell'anomalo
possesso del documento di identità della Ortucci, d'altra parte, è stato denunciato dalla difesa, senza il
rispetto dei principi in tema di autosufficienza del ricorso.
Non risultano infatti neppure allegate al ricorso, nella forma integrale e in copia xerografica, come preteso
dalla giurisprudenza di questa Corte, le intercettazioni che si assumono travisate nel loro palese significato.
Anche
il secondo motivo
appare infondato.
In primo luogo, lo stesso episodio di cui al capo 43, sopra descritto, è stato ritenuto, a pagina 311 e
seguenti, come uno dei principali elementi indicativi non solo della responsabilità del ricorrente in ordine al
reato associativo ma, a monte, della esistenza della convergenza delle condotte degli associati nel sinergico
intervento, sul cantiere di via 1° maggio di Ortucci Livia, sia da parte dei vigili urbani lovinella e Pianese sia
dei tecnici comunali Testa e Mallardo, che concordarono con i responsabili dell'abuso le illecite modalità
del sopralluogo tecnico e del sequestro, effettuato ad opere ultimate, addirittura su richiesta del
destinatario (pagina 312).
Ma, elemento decisivo sono le conversazioni intercettate fra vigili urbani alle quali il giudice dell'appello ha
correttamente attribuito, dato il palese significato del loro contenuto, valore di prova di quanto affermato
dai colloquianti di e cioè della piena partecipazione del ricorrente al sistema illecito descritto
nell'imputazione.
A ciò va aggiunto il tenore della conversazione del 22 giugno 2006, intercettata in ambientale nell'auto di
servizio nella quale era presente anche il collega Ferrillo.
Si tratta di una conversazione dal significato apertamente confessorio, in sé neppure contestato dal
difensore.
D'altra parte, il motivo di ricorso incentrato sulla mancata risposta ai rilievi della difesa concernenti i dubbi
sull'esatta identificazione della voce attribuita al ricorrente è addirittura manifestamente infondato se si
considera che, a pagina 301, la Corte territoriale ha attestato che a tale identificazione si è giunti sulla base
non solo di riconoscimento vocale da parte degli operatori addetti all'ascolto delle conversazioni captate,
ma soprattutto della verifica dei turni di servizio e della composizione delle pattuglie nonché delle correlate
presenze risultanti dai cartellini marcatempo: circostanze tutte che incredibilmente la difesa trascura nella
redazione del proprio motivo di ricorso.
Deduce D'Alterio (
condannato in primo grado per il reato di cui al capo 41, in esso assorbito quello di cui
all'articolo 40, ossia corruzione passiva continuata con riferimento, tra gli altri, a quattro cantieri edili; in
appello, anche per associazione per delinquere di cui al capo 1 e per il capo 42, ossia concorso in falsità
ideologica con riferimento al cantiere abusivo di via San Francesco d'Assisi)
23
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
1)
la violazione di legge e il vizio della motivazione con riferimento al reato associativo.
La difesa fà notare come la contestazione di tale reato sia stata realizzata con la previsione della
unione delle forze di tre specifiche categorie di operatori: quella degli imprenditori, quella dei
tecnici pubblici e privati e infine quella dei vigili urbani.
Una simile previsione, sebbene ammissibile in linea di principio, non appare in concreto realizzabile
fra i vigili e i dipendenti dell'ufficio tecnico che hanno competenze distinte fra loro.
Il giudice di primo grado aveva infatti ritenuto non provato che, all'associazione per delinquere
sicuramente configurabile tra i vigili, avessero aderito in maniera stabile anche soggetti diversi,
tanto che la difesa aveva insistito sul concetto della incompatibilità di interessi fra categorie di
soggetti- vigili e tecnici- emersa anche da un'intercettazione riportata a pagina 200, per richiedere,
in appello, l'assoluzione con formula piena.
Ed invece la Corte d'appello, a pagina 320 della sentenza impugnata, aveva ritenuto la possibilità di
dedurre, dalle prove raccolte, l'esistenza ed anzi la coesistenza di due distinti centri di interessi
facenti capo, l'uno, ai vigili urbani, e, l'altro, ai tecnici comunali: tuttavia una simile evenienza non si
deduce dal capo di imputazione nel quale, oltretutto, il ruolo dei tecnici non è neppure specificato.
D'altra parte, quando, a pagina 321, la Corte d'appello passa delineare la esistenza di un sodalizio
unico, pur nella compresenza di distinti centri di interesse, incorre, secondo la difesa, in una
manifesta illogicità della motivazione dal momento che, proprio la contrapposizione degli interessi
dei diversi gruppi, dimostra la impossibilità della loro adesione ad un unico sodalizio: tant'è che un
accordo fra gli stessi non è stato possibile configurare neppure in termini di contestazione, in
concorso, dei reati-fine;
2)
l'erronea applicazione dell'articolo 319 c.p.
Il reato è stato addebitato pur affermandosi la mancata identificazione dell'atto illegittimo riferibile
al tecnico comunale.
Sostiene la difesa che la motivazione offerta dalla Corte d'appello, secondo cui è sufficiente, per la
configurazione del reato, la prova della violazione dei doveri di imparzialità, onestà e di vigilanza da
parte del pubblico ufficiale, si scontra con la concreta assenza di detta prova riferita ai singoli reati
di corruzione contestati;
3)
il vizio della motivazione con riferimento a due ipotesi di corruzione di cui al capo 41 e al reato di
falso di cui al capo 42.
Evidenzia la difesa come il capo 41 contenga la contestazione di quattro episodi di corruzione per
due dei quali (cantieri di Lago Patria e di via Epitaffio), non si formula contestazione perché
l'imputato è confesso.
Ed invece, con riferimento agli altri due fatti di corruzione (cantieri di via San Francesco di Assisi e di
via Maristi), la difesa lamenta la mancanza di risposta alle censure con le quali, in appello, è stata
protestata l'innocenza dell'imputato: non vi era prova, cioè, che l'imprenditore Pelliccia avesse dato
o promesso denaro all'imputato, in relazione alla esecuzione di tali opere.
Anzi la difesa aveva ricordato come, per il secondo cantiere indicato, l'imprenditore avesse escluso
dazioni di danaro al ricorrente. E che i rapporti illeciti avessero riguardato Pelliccia e Gargiulo oltre
Carleo, lo si ricava dalla lettura della ricostruzione della vicenda, da pagina 235 in poi della sentenza
impugnata.
Quanto al cantiere di via San Francesco d'Assisi, la difesa sostiene che l'elemento di prova addotto
a pagina 227 della sentenza (e cioè la conversazione intercettata fra Pelliccia e Carleo ) fosse del
tutto equivoco come già ritenuto dal primo giudice: vi si parlava di una "cosa" portata da Antonio
per far cambiare da altro tecnico comunale una misura indicata in un progetto, senza però che vi
24
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
fosse prova che tale "cosa" fosse una tangente e non piuttosto un documento oppure che Antonio
fosse proprio l'imputato.
La Corte d'appello aveva offerto, a pagina 229, una risposta incongrua ritenendo che tale vicenda
rilevasse soltanto a titolo di falsità ideologica ed invece ignorando che, al capo 41, la stessa vicenda
è stata contestata ed addebitata anche a titolo di corruzione.
Ad ogni buon conto, mancava la prova della consapevolezza del falso da parte di D'Alterio che si era
occupato della pratica senza spostarsi dall'ufficio.
A pagina 231, poi, la Corte territoriale convalida contraddittoriamente la tesi che quella "cosa"
fosse una tangente.
Quanto al nome Antonio, non era stato considerato che, imputato nel processo, per fatti in tutto
analoghi, era anche lannone Antonio sicché tale nome di battesimo non è detto che dovesse
riferirsi necessariamente al ricorrente;
4) il vizio della motivazione che si verrebbe a determinare, sia con riferimento al diniego delle
attenuanti generiche che alla mancata applicazione della sospensione condizionale, se fossero
accolti i rilievi formulati sub 3).
Il ricorso è fondato nei termini che si indicheranno.
In ordine alle obiezioni formulate col
primo motivo
di ricorso, ci si deve riportare a quanto già sopra
evidenziato con riferimento alla totale assenza di illogicità nella delineazione di una associazione per
delinquere che veda accomunati, nella consapevole volontà di adesione e di mantenimento di un patto
delittuoso finalizzato alla commissione di un numero indeterminato di reati, soggetti aventi qualifiche,
posizioni soggettive ed interessi personali diversificati ed autonomi.
Ed invero la impossibilità logica di delineare tal genere di sodalizio si avrebbe soltanto se i fatti emersi
avessero riguardato realmente persone o gruppi di persone volti alla realizzazione di fini inconciliabili tra
loro: ciò che si sarebbe verificato, ad esempio, se taluni avessero perseguito fini illegali le altre avessero
invece voluto mantenere fede al rispetto delle regole.
Una simile evenienza non si verifica e per questo il reato è configurabile quando, invece, la comune volontà
di violare le norme poste a difesa dei beni giuridici intaccati dai comportamenti di tutti gli imputati,
costituisce un fine unificante, per la realizzazione del quale è necessaria e si concretizza una stabile
organizzazione di rapporti fra tutti gli interessati, che vede la professionalità e\o le capacità imprenditoriali
di ciascuno, messe a disposizione dell'organizzazione stessa per la realizzazione del detto fine: a nulla
rilevando in senso contrario - poiché costituisce il movente dei singoli comportamenti ed un fine ulteriore
rispetto a quello comune -il fatto che fossero diversificate le utilità economiche che ciascuno dei soggetti
interessati mirava, successivamente, a raggiungere.
Per tale ragione non coglie nel segno la censura del difensore rivolta contro la parte della motivazione della
sentenza con la quale si dà atto della possibilità di configurare, all'interno del sodalizio contestato e poi
addebitato, anziché semplicemente singoli soggetti, anche dei veri e propri centri di interesse: una simile
motivazione, infatti, non ha impedito alla Corte territoriale di andare a sostenere, del tutto plausibilmente,
la convergenza — che non è sovrapponibilità- di detti centri di interesse- che, dunque, si prestano
sostanziano passaggi argomentativi della motivazione e non autonomi reati associativi mancanti di
contestazione- verso la formazione di un unitario e sovraordinato sodalizio, che serviva proprio a
comporre, in un programma unitario, sul piano anche semplicemente funzionale, quegli stessi interessi.
Il secondo motivo è
infondato per le stesse ragioni già esposte in replica ad analoga questione posta con il
secondo motivo del ricorso di Carleo.
Il terzo motivo è parzialmente fondato.
25
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Relativamente al coinvolgimento di D'Alterio nel reato di corruzione passiva, riferito al cantiere di via
Maristi, effettivamente non si rinviene alcuna specifica motivazione che valga a delineare la posizione del
ricorrente.
Da pag. 235 fino a pag. 245, gli argomenti spesi dalla Corte attengono a conversazioni capaci di illustrare il
comportamento di Pelliccia, del tecnico comunale Gargiulo e di Carleo, ma nulla che, in maniera chiara e
univoca, possa valere a delineare il coinvolgimento del D'Alterio.
Si impone l'annullamento della sentenza impugnata perché il giudice del rinvio colmi la lacuna rilevata.
Invece inammissibili, sia perché versate in fatto sia perché comunque manifestamente infondate, sono le
doglianze che concernono la motivazione sull' addebito del fatto di corruzione relativo al cantiere di via San
Francesco d'Assisi e alla correlata falsità ideologica.
La Corte d'appello ha ricostruito in maniera esaustiva e tale da non presentare alcuna lacuna su punti
decisivi, la vicenda della complessa procedura amministrativa che ha riguardato il rilascio del permesso di
costruire e successive varianti, aventi ad oggetto fabbricato per civile abitazione composto da tre piani più
un piano sottotetto non abitabile e contenente 18 alloggi.
La Corte ha cioè ricostruito le dinamiche dei rapporti che avevano visto il menzionato imprenditore, col
concorso di Carleo, richiedere all'Ufficio tecnico del Comune, essendo responsabile del procedimento il
ricorrente, dapprima il permesso costruire e poi le varianti per i numerosi e gravi abusi edilizi commessi:
abusi che venivano candidamente ammessi nel corso delle conversazioni intercettate e che non venivano
rilevati neppure dai responsabili dell'ufficio tecnico nonostante le reiterate segnalazioni da parte del
personale del Commissariato intervenuto più volte sul cantiere. In particolare sono stati ricostruiti i dati
comprovanti il ricorso ad un espediente, di cui necessariamente doveva essere complice il responsabile del
procedimento amministrativo D'Alterio, per far risultare retrodatata, rispetto all'intervento della P.s., una
richiesta di variante in corso d'opera e quella di sanatoria.
Sulla base di tali elementi la Corte ha anche plausibilmente ritenuto che la decisiva conversazione del 17
marzo 2006, dalla quale si evinceva che un verbale di sopralluogo dell'UTC era stato fatto modificare dopo
"la consegna di una cosa ad Antonio", costituisse la dimostrazione finale dell'intero ragionamento
probatorio, in ragione del quale D'Alterio aveva mercificato la propria funzione pubblica in cambio di una
somma di danaro.
Le contrarie deduzioni della difesa non dimostrano un vizio di motivazione rilevante ai sensi dell'articolo
606 lett. e cpp poiché consistono, nella sostanza, a fronte della citata motivazione, nella riproposizione di
circostanze di fatto (non essere, l'Antonio della conversazione, il ricorrente ma altro soggetto imputato;
non essere la "cosa" una tangente ma probabilmente un documento) che la Corte d'appello ha
razionalmente interpretato in modo diverso, con argomentare che, per le ragioni dette, si sottrae
all'ulteriore sindacato di questa Corte.
L'ulteriore motivo,
per le ragioni esattamente rilevate dal difensore, resta assorbito poiché il giudice del
rinvio sarà onerato della necessaria rivalutazione dell'intero trattamento sanzionatorio nel caso
dell'eventuale assoluzione dal reato per il quale si dispone l'annullamento con rinvio.
Deduce Taglialatela
(condannato, in primo grado, per il reato di associazione per delinquere di cui al capo
1) e per altri 31 reati-fine e, in appello, altresì, per due ulteriori fatti di corruzione - capi 20 e 29b,
quest'ultimo assorbito nel capo 27-)
1) la violazione dell'art. 192 cpp e il vizio di motivazione.
Sostiene il difensore che i rapporti tesi fra i vigili e la assoluta estemporaneità degli accordi
intercorsi con gli imprenditori darebbero il senso della impossibilità oggettiva della costituzione di
26
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
un'associazione per delinquere fra tali soggetti, come sarebbe dimostrato anche dal fatto che il
principale collaboratore del ricorrente, il vigile Corso, era stato assolto dal reato associativo.
In realtà, il numero dei reati-fine commessi e la evidente riconducibilità di ognuno nell'ambito del
medesimo disegno criminoso, spiega ed esaurisce la vicenda accertata, nell'ambito degli istituti di
cui all'articolo 110 e 81 c.p., senza dover far ricorso alla insussistente fattispecie del reato di cui
all'articolo 416 c.p.;
-
con riferimento ai reati di cui ai capi 3, 3A, 38, 3C (vicenda del cantiere abusivo di Miraglia
Salvatore sito a via Oasi sacro cuore) la difesa sostiene la mancanza di prova del coinvolgimento
del ricorrente;
con riferimento ai reati di cui ai capi 6 e 6A (vicenda del cantiere edile di via Scodellaro, di
pertinenza di Cacciapuoti), ugualmente la difesa sostiene come la stessa si sia esaurita in un
comportamento del vigile Corso;
con riferimento ai reati di cui agli capi 10,10 A, 10 B (vicenda relativa ai manufatti abusivi di
Spina Giuseppe , siti a via Grotte del sole, località Reginella , la difesa eccepisce in primo luogo
la
inutilizzabilità delle intercettazioni
valorizzate poiché, come si leggerebbe nella informativa
di PS, non sarebbero state mai trascritte integralmente ma valutate (quantomeno quella del 2
agosto 2005) con riferimento alla annotazione riassuntiva contenuta nel brogliaccio: si
tratterebbe comunque di conversazioni prive di contenuto accusatorio;
-
con riferimento al capo 13 (corruzione in relazione a un cantiere abusivo di tale Salvatore), la
conversazione intercettata e valorizzata sarebbe ambigua non permettendo nè l'individuazione
del corruttore nè la somma asseritamente versata; sarebbe stata trascurata l'ipotesi del
tentativo;
con riferimento ai capi 19 e 19 A (favoreggiamento di tale Piccolo Giuseppe e connessa
corruzione), l'addebito sarebbe stato mosso con riferimento ai cantieri edilizi non più di
competenza dell'imputato, trasferito a operare su altra zona del territorio comunale;
-
con riferimento al capo 20 (corruzione passiva subita ad opera dell'imprenditore Pinto
Pasquale), sottolinea la difesa come le prove esibite dalla Corte consistano nel contenuto di
due conversazioni del 12 agosto 2005, in realtà finalizzate soltanto a fissare gli appuntamenti.
Sarebbe frutto di un salto logico, il collegamento di tali telefonate con altre intervenute tra il
ricorrente e il capitano Del Franco;
-
con riferimento al capo 21 (falsità ideologica continuata in favore di Lipori Vincenzo), la prova
sarebbe ambigua;
con riferimento ai capi 27,28 e 29 (corruzioni subite ad opera di una serie di imprenditori) il
difensore sottolinea l'assoluta incertezza delle ricostruzioni della posizione del ricorrente;
-
con riferimento al capo 32, il difensore formula censure analoghe;
-
con riferimento ai capi 33, 33 A e 33 B, il difensore sostiene trattarsi dello stesso fatto di cui al
capo 32, sollevando la questione della violazione del ne bis in idem, del resto già ritenuta
fondata dal Tribunale del riesame;
-
con riferimento ai reati di cui ai capi 34,34 A, 34 B, 34 C, la difesa rinnova le stesse censure;
-
con riferimento ai reati di cui ai capi 35 e la difesa lamenta la mancata applicazione dell'articolo
384 c.p. ossia delle ipotesi di auto favoreggiamento;
con riferimento al capo 39 (corruzione subite ad opera dell'imprenditore Pelliccia) per i lavori
abusivi eseguiti a via Metito„ il difensore propone una lettura alternativa delle conversazioni
valorizzate in sentenza;
-
con riferimento ai capi 44,44 A, 44 B, il difensore lamenta la mancanza di prova;
27
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
con riferimento ai capi 45,45 a (favoreggiamento e omessa denuncia in favore di Pennacchio
Giuseppe, il difensore contesta ancora una volta l'interpretazione della conversazione
intercettata.
Il ricorso è inammissibile
perché basato su ragioni diverse da quelle che possono essere sottoposte al
giudice della legittimità e comunque deduce questioni manifestamente infondate.
Ha più volte osservato, questa Corte, che il ricorso è ammissibile soltanto quando miri a colpire capi o punti
della motivazione della sentenza impugnata con argomenti specifici sia sul piano fattuale che giuridico, con
la conseguenza che il ricorso che si sostanzi nella mera riproposizione o dedizione dei motivi d'appello già
sottoposti al giudice del merito e da questi esaurientemente affrontati, risulta affetto da inammissibilità per
genericità, poiché non risponde ai criteri indicati in premessa.
Nel caso di specie, è del tutto evidente che il ricorso in esame costituisca null'altro che la sottoposizione a
questo giudice della legittimità degli argomenti propriamente destinati al giudice dell'appello se si
considera, da un lato, che i brani e le motivazione della sentenza di appello non risultano espressamente e
specificamente aggrediti e, dall'altro, che la sentenza avuta di mira dall'impugnante è quella di primo grado.
Tanto si desume, ad esempio dalla citazione espressa di tale sola sentenza a pagina 4 dei motivi di ricorso;
dalla menzione di pagine della stessa sentenza del Gup, a pagina 5 , 6 dello stesso atto di ricorso; dalla
doglianza di disparità di trattamento con riferimento alla assoluzione del vigile Corso, in realtà condannato
a seguito del giudizio di appello; dal riferimento, a pagina 15 del ricorso, alla condanna per il reato di
concussione, in realtà riqualificato come corruzione della sentenza di appello con esclusione del metus
publicae protestatis; dal riferimento alle informative di P.s. (tra i numerosi casi vedi pagina 20 del ricorso)
ossia ad un atto probatorio invece che, come si dovrebbe in sede di legittimità, alla motivazione esibita dal
giudice del merito a proposito della valutazione di tale atto probatorio.
Quanto alla questione dell'assorbimento dei fatti di cui al capo 33 nel capo 32, a riprova di quanto appena
osservato, va rilevato che il giudice dell'appello la ha ritenuta fondata a pagina 130 della motivazione e la
ha inserita nel dispositivo sia pure, quanto quest'ultimo, mediante correzione d'errore materiale disposta
con ordinanza del 21 novembre 2011, comunque antecedente di due mesi alla presentazione del ricorso in
esame.
Infine la questione della inutilizzabilità delle intercettazioni, non potendo certamente essere accolta in
ragione fatto che i brogliacci sono atti utilizzabili, in sé, nel giudizio abbreviato, costituisce una doglianza
risolvibile esclusivamente sul piano della valutazione della prova.
Anche la questione dell'applicabilità dell'articolo 384 c.p. non risulta presentata come violazione di legge o
come vizio di motivazione in cui il giudice dell'appello, dopo essere stato specificamente sollecitato, sia
incorso.
Deduce Sodano
(
condannato per il reato di associazione per delinquere di cui al capo 1) nonché per altri 23
reati-fine e, in appello, anche per i reati di cui agli capi 20 e 29 B, quest'ultimo assorbito nel capo 27)
1) il vizio della motivazione el a violazione di legge con riferimento alla attribuita responsabilità per il
reato associativo.
Il difensore ripropone la questione, che egli ritiene non adeguatamente affrontata dalla Corte
d'appello, della impossibilità logica di configurare un'associazione fra soggetti i quali erano risultati
agire in forma autonoma se non in aperto contrasto l'uno con l'altro, come dimostrato dal fatto -
riferito dall'imprenditore Nobis -che spesso le tangenti dovevano essere pagate più volte per lo
stesso abuso edilizio.
28
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Per tale ragione le condotte accertate avrebbero dovuto essere meglio inquadrate nell'ipotesi del
concorso di persone di cui all'articolo 110 c.p.
La difesa contesta anche l'adeguatezza della motivazione con riferimento al contestato ruolo di
"promotore" del sodalizio criminale;
2) la violazione dell'articolo 62 bis e degli articoli 132 e 133 cp, essendo stati trascurati, nella
motivazione resa per tutti gli imputati in forma onnicomprensiva, gli elementi favorevoli al
ricorrente e cioè il suo stato di incensuratezza, la assoluta osservanza delle prescrizioni imposte con
la misura degli arresti domiciliari e infine le dimissioni dall'amministrazione.
Il ricorso è infondato
e deve essere rigettato.
Il
primo motivo,
essendo comune alle doglianze formulate da numerosi altri ricorrenti, ha trovato risposta
nella replica ad esse e segnatamente nella disamina del motivo di ricorso del coimputato Corso, anch'egli
vigile urbano e del terzo motivo di ricorso del coimputato Basile: a tali passi della motivazione si fa rinvio
estendendola anche al ricorrente.
Quanto alla ritenuta sussistenza, in capo al ricorrente, della posizione apicale di cui all'articolo 416 comma
primo, si osserva che la motivazione della sentenza fonda tale assunto sul rilievo, dimostrato
essenzialmente attraverso le intercettazioni delle conversazioni, che il Sodano fosse uno dei collettori delle
tangenti fatte pagare agli imprenditori (pagina 296), nonché soggetto in posizione sovraordinata sia per il
rapporto privilegiato con i capitani, sia per il pressoché totale accaparramento di ogni illecito affare ( v.pag.
275, e, soprattutto, p.297).
Si tratta di circostanze di fatto che dimostrano la esistenza di una congrua motivazione e che quindi danno
la misura del carattere quantomeno generico delle doglianze difensive.
Infine deve dichiararsi
infondato anche il residuo motivo
di ricorso.
La parte della motivazione dedicata alla individuazione di tutte le componenti del trattamento
sanzionatorio non misconosce e tantomeno ignora le circostanze della incensuratezza del prevenuto o
della sua strategia processuale.
Si rinviene infatti in detta motivazione, seppure col ricorso ad espressioni cumulative, un giudizio che non è
comunque censurabile se reso con riferimento e sulla base di notazioni che comunque si attagliano a
comuni situazioni o posizioni dei ricorrenti.
Nel caso di specie risulta negativo il bilanciamento tra la entità dei fatti accertati, considerati sia dal punto
di vista della capacità a delinquere dell'agente che della gravità delle condotte, e gli elementi sopra
ricordati — incensuratezza e comportamento processuale- sono espressamente citati a pag. 325 della
sentenza e valutati.
D'altra parte, la domanda di collocamento a riposo del prevenuto — oltre ad essere consegnata a questa
Corte come una non apprezzabile circostanza di fatto- non è chiarito , dalla difesa, come possa essere
tributaria di una valutazione più favorevole- quale comportamento del colpevole successivo al reato-
rispetto alla specifica condotta processuale post-delictum, giudicata, dalla Corte meramente,
opportunistica e incapace di dimostrare una effettiva resipiscenza.
Deduce Migliaccio
(condannato in primo grado, con conferma in appello, per i reati di corruzione e
concorso in violazione dei sigilli di cui ai capi 36 e 36 C, ha visto ridurre in appello la pena accessoria della
interdizione dai pubblici uffici)
1) l'assenza di prove a suo carico con riferimento al reato di corruzione attiva di cui al capo 36, non
potendo egli essere identificato nell' "Armando" di cui alla conversazione fra vigili urbani
intercettata il 2 maggio
2006;
l'assenza di prove altresì sulla sua implicazione nei fatti di violazione
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
dei sigilli, non essendo mai stato nominato custode e non essendo interessato al cantiere
sequestrato;
2) l'erronea applicazione delle norme sulle attenuanti generiche, essendo l'imputato stato assolto dal
reato associativo, persona incensurata, non raggiunto da misura cautelare e neppure mai
convocato dal pubblico ministero per l'esame.
Il ricorso è infondato.
Il
primo motivo
è addirittura inammissibile per manifesta infondatezza.
La difesa torna a sostenere questioni di fatto già rappresentate al giudice dell'appello il quale ha fornito un
ragionamento giustificativo della condanna, assolutamente esaustivo e, invece, trascurato nel motivo di
ricorso.
Il giudice dell'appello ha chiarito la duplicità delle opere abusive in relazione alle quali risulta, dalle
intercettazioni, che il ricorrente abbia pagato o promesso somme di danaro: una mansarda e una pedana
con piano terra in cemento armato in via Madonna del pantano.
Non si rinviene, dunque, alcuna possibilità di equivoco, nella analisi delle emergenze a proposito del doppio
cantiere cui si riferivano le condotte corruttive.
Ancora la Corte d'appello, a pagina 158, spiega chiaramente come, nelle conversazioni fra vigili urbani
destinatari del prezzo della corruzione e con specifico riferimento al cantiere di via Madonna del pantano, il
nome del costruttore corruttore fosse fatta in termini espliciti e corrispondenti a quelli di Armando
Migliaccio: un passaggio della motivazione che, se da un lato vale a qualificare la stessa come completa e
razionale e non ulteriormente sindacabile da parte della Cassazione, viene invece significativamente
trascurato nel ricorso in esame.
Con riferimento alle specifiche e reiterate condotte descritte a carico del ricorrente da pagina 154 a pagina
158, dunque, l'analisi della gravità della condotta risulta esposta in termini tali da far risultare congruo, per
l'intensità del dolo e la gravità dei fatti, il diniego delle circostanze attenuanti generiche oggetto del
secondo motivo
di ricorso, pertanto infondato.
Deduce Nobis
(condannato in primo grado per i reati di corruzione attiva di cui al capo 37 e violazione dei
sigilli di cui al capo 38 B, esclusa l'aggravante dell'articolo 7, D.L. N. 152 del 1991, e, in appello, anche per il
reato di associazione per delinquere di cui al capo 1)
1)
la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento alla affermata responsabilità per il
reato associativo.
Dalle intercettazioni ambientali non emergono indizi gravi, precisi e concordanti, capaci di far
ritenere superabile, al giudice dell'appello, dopo l'assoluzione intervenuta in primo grado, il
ragionevole dubbio ( v. p. 267 e 163).
Possono, viceversa, ritenersi accreditati soltanto sospetti poiché le intercettazioni fanno risaltare,
semmai, non la coscienza è volontà di inserirsi in un ambito associativo delinquenziale ma
all'esclusivo fine di raggiungere il risultato imprenditoriale, pur in presenza di richieste
schizofreniche dei vigili urbani;
2)
la violazione degli articoli 81 e 112 c.p.
Ai fini della continuazione era stato ritenuto più grave il reato di cui al capo 37, perché aggravato ai
sensi dell'articolo 112 n. 1 c.p.
Tuttavia tale ultima aggravante risulta contestata ed addebitata erroneamente (a pagina 327 della
sentenza), ritenendosi che il numero di persone vada computato con riferimento anche ad altri
vigili urbani, diversi da quelli ai quali è stato contestato il reato in parola, ma che risulta
dall'intercettazione abbiano partecipato alla ripartizione degli utili: una affermazione contraddetta
30
V
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
dall'intercettazione ambientale del 7 giugno 2006 e comunque dipendente da fatti non oggetto di
specifico contestazione;
3) il vizio della motivazione con riferimento al diniego delle attenuanti generiche: una statuizione
disposta sulla base di un giudizio generale, che invece aveva trascurato lo specifico atteggiamento
collaborativo tenuto dall'imputato dinanzi al pubblico ministero, con chiamate auto ed etero
accusatorie.
Il ricorso è infondato .
Non apprezzabili si rivelano le critiche costituenti il
primo motivo
di ricorso, sia
quelle riferite alla congruenza logica della configurazione del reato associativo, sia quelle riferite alla
posizione specifica del ricorrente.
Quanto alle prime valgono per le ragioni già esposte con riferimento agli altri imputati che hanno sollevato
la medesima obiezione.
Quanto alle seconde, invero, deve darsi atto che il discorso giustificativo della responsabilità del ricorrente
si rivela del tutto completo e logico essendo stato espresso, da pagina 159 in poi, unitamente alla
valutazione delle prove concernenti i reati-fine.
Le numerose conversazioni intercettate sono state ritenute, del tutto plausibilmente, dal giudice del
merito, chiaramente indicative del fatto che l'imprenditore Nobis Aldo non solo conosceva perfettamente il
sistema corruttivo messo in piedi dai vigili del comune di Giuliano ma aveva accettato di prendervi parte
consapevolmente, quale imprenditore del tutto consenziente alla esistenza di quei rapporti collaudati che
vedevano nel suo comportamento, in occasione di ogni costruzione da realizzare e in occasione dei correlati
abusi sempre presenti, la espressione del ruolo di colui che preannunciava ai vigili alla realizzazione di nuovi
cantieri abusivi (vedi ad esempio pagina 162), pagava regolarmente i prezzi richiestigli, aveva rapporti
prevedibili e annunciati con i vigili che gli consentivano "di prendersela comoda" (vedi interrogatorio di
Basile riportato a pagina 161).
Può aggiungersi, come del resto già rilevato anche in tema di associazione per delinquere- ammessa
comunemente dalla giurisprudenza- fra fornitori e acquirenti abituali di sostanza stupefacente (v. Rv.
209646 ), che non è ostativa alla configurabilità del reato associativo neppure la differenza dello scopo
personale o dell'utile che i singoli partecipi si propongono, potendo essa sussistere nell'ipotesi, conforme al
caso di specie, nella quale l'esistenza di una rete di rapporti stabilizzati, in virtù dei quali vi sia una offerta
corruttiva da parte dei componenti dell'ufficio pubblico, trovi fondamento e alimento nella consapevolezza
della esistenza di comportamenti- degli imprenditori di volta in volta interessati- specularmente proni alla
accettazione , mediante anche una congruente risposta di tipo remunerativo, alla offerta medesima. E
quindi responsabili di mantenere sempre attuale e attivo - anche con la loro disponibilità, preventivamente
assicurata - quel sistema illecito organizzato.
Il secondo motivo è dedotto in carenza di interesse.
Tenendosi conto del più recente approdo delle Sezioni unite in materia, secondo cui l'individuazione della
violazione più grave ai fini del computo della pena per il reato continuato, deve essere effettuato con
riferimento alla valutazione compiuta in astratto dal legislatore (sentenza SSUU del 28 febbraio 2013, rv
255347), la statuizione impugnata risulterebbe conforme a tale principio di diritto,dal momento che il
reato di cui al capo 37 risulta aggravato ai sensi dell'articolo 112 c.p. e pertanto è connotato da una pena
edittale più alta nel massimo rispetto reato di cui al capo 37B.
Senonché, scendendo a valutare l'applicazione concreta del principio si nota come correttamente la difesa
sostenga la assenza dei presupposti per la configurabilità dell'aggravante di cui all'articolo 112 numero
1
c.p.
Tale circostanza prevede infatti l'aumento di pena se il numero delle persone che sono concorse del reato è
di cinque o più, e con riferimento ai reati a concorso necessario come la corruzione, la giurisprudenza di
31
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
questa Corte- che il giudice dell'appello mostra di conoscere perfettamente citandola- ha affermato che la
circostanza aggravante del numero delle persone, di cui all'art. 112, comma primo, n. 1, cod. pen., è
configurabile nei reati plurisoggettivi necessari (nella specie, corruzione propria), in presenza di un numero
minimo pari a sei concorrenti (ossia, i due concorrenti necessari, oltre quelli eventuali), escludendo dal
computo le persone assolte e ricomprendendovi invece quelle che sono decedute ( Sez. 6, Sentenza n.
10996 del 17/02/2010 Ud. (dep. 22/03/2010) Rv. 246687Conformi:
N.
8043 del 1983 Rv. 160511,
N.
8767
del 1989 Rv. 181615, N. 11531 del 1991 Rv. 190165, N. 33435 del 2006 Rv. 234366).
Ciò posto, l'errore di diritto in cui è incorsa la Corte territoriale è quello di ritenere che il numero dei
partecipi, ai fini della configurazione della aggravante, sia quello che, in via di fatto, è possibile desumere
dalla analisi del materiale probatorio e non piuttosto quello che, a monte di ciò, sia stato destinatario di
una specifica contestazione dell'addebito di concorso nel reato plurisoggettivo.
Nel caso di specie i concorrenti ai quali è stato contestato il reato di cui al capo 37 sono cinque in tutto (
quattro vigili e un imprenditore), senza che sia neppure menzionato il concorso con ignoti, con la
conseguenza della assenza dei presupposti , sia in astratto che in concreto, per la contestazione della
aggravante.
La presa d'atto di tale situazione dovrebbe tuttavia comportare il ricalcolo della pena per il reato
continuato tenendo conto, come reato più grave, dell'ipotesi di cui al capo 38 B, con pena minima superiore
a quella minima prevista per il reato di cui al capo 37 e quindi con trattamento sanzionatorio finale
sicuramente peggiorativo per l'imputato.
Ciò posto appare oscuro l'interesse e non è comunque chiarito nel ricorso
i/
concreto risultato perseguito
attraverso la proposizione del motivo in esame.
Il
terzo motivo
è infondato come già rilevato nei confronti degli altri ricorrenti.
Il giudizio espresso dalla Corte è complessivo perché si riferisce a dotazioni comuni riguardanti i coimputati
interessati e, sotto tale profilo, si sottrae censure da parte di questa corte di legittimità.
Il comportamento processuale che il ricorrente rivendica come collaborativo, in realtà è stato valutato dalla
Corte la quale invece lo ha giudicato opportunistico riferendosi a circostanze di fatto già emerse.
Per tale ragione non può dirsi violato l'articolo 133 e l'articolo 62 bis c.p. e neppure sono apprezzabili vizi di
motivazione sul tema.
Deduce Gargiulo (
condannato in primo grado per il reato di corruzione passiva continuata di cui al capo 41,
in esso assorbito il fatto di cui al capo 40, e, in appello, anche per il reato associativo di cui al capo 1)
1) il vizio della motivazione con riferimento alla denegata derubricazione del reato contestato come
corruzione propria di cui al capo 41 in quello, invece, di corruzione impropria susseguente di cui
all'art. 318 comma 2 cp.
Il giudice dell'appello aveva osservato che il carattere illegittimo dell'atto compiuto dal pubblico
ufficiale consisteva nella violazione del dovere di imparzialità e di correttezza che deve connotare
l'attività professionale di tale soggetto. Così ragionando, però, il giudice del merito finisce per
annullare la sostanziale differenza che corre fra l'ipotesi di corruzione propria e quella di corruzione
impropria posto che quando il pubblico ufficiale ponga in essere un atto amministrativo in sé
legittimo, ma rispondente all'interesse particolare del privato che, in cambio, paga una somma di
denaro, tiene una condotta che, per quanto connotata da possibile parzialità, sortisce l'effetto della
emissione di un atto che tale avrebbe dovuto essere anche in assenza del pagamento di un prezzo
corruttivo.
E nel caso di specie non vi è dimostrazione alcuna del fatto che gli atti amministrativi in ordine i
quali l'imprenditore Pelliccia pagò un prezzo di corruzione, fossero illegittimi;
32
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
2)
il vizio della motivazione con riferimento alla affermata responsabilità per il reato associativo di cui
al capo 1).
La motivazione fornita dal giudice del merito non utilizza argomenti ulteriori e diversi rispetto a
quelli idonei a delineare il mero concorso di persone nel reato continuato, difettando, in particolare
qualsiasi illustrazione del necessario programma che si sarebbe dovuto dimostrare comune e
condiviso non solo fra i vigili urbani ma anche fra i componenti dell'ufficio tecnico e gli
imprenditori.
Oltretutto, essendo stato attribuito il ruolo di capi promotori ai vigili urbani, rimane oscuro il modo
con il quale i detti vigili avrebbero potuto ingerirsi, con ruolo preminente, nella attività dei
professionisti addetti all'ufficio tecnico;
3)
la violazione dell'articolo 192 comma 3 c.p.p. con riferimento alla valutazione delle chiamate di
correo, nonché il vizio di motivazione nella forma anche del travisamento della prova, con
riferimento, tra l'altro, all' interrogatorio reso da Gargiulo il 3 luglio 2008.
La Corte d'appello, nel descrivere, a pagina 191, i criteri di valutazione della attendibilità soggettiva
delle chiamate di correo, aveva sostenuto di prescindere dalla considerazione dei motivi della
scelta collaborativa.
Un tale assunto contrasta, tuttavia, con lo stato della giurisprudenza di legittimità che pretende la
valutazione della genesi delle collaborazioni.
Nel caso di specie, se si fosse proceduto alla valutazione della genesi delle dichiarazioni
collaborative, sarebbe rimasta accertata la fragilità emotiva dei dichiaranti, soggetti che, per
riacquistare la libertà, hanno assecondato in ogni modo l'interesse degli inquirenti ad acquisire
contributi rilevanti.
In particolare, la difesa lamenta l'omessa valutazione dell'interrogatorio del ricorrente dal quale
emergeva il chiaro disinteresse dell'inquirente per la ricostruzione operata dall'interrogato.
Erano state anche prodotte ordinanze in materia cautelare a dimostrazione del fatto che la
mancata ammissione di fatti rilevanti per la delineazione del reato associativo veniva punita con il
rigetto delle istanze dei difensori;
4)
il vizio della motivazione con riferimento alla qualificazione, come illegittimo, del permesso di
costruire in sanatoria rilasciato il 9 aprile 2008, dall' UTC in favore dell'imprenditore Pelliccia , e
ritenuto oggetto della corruzione inerente l'immobile di Lago Patria.
La Corte aveva ritenuto conseguito un atto solo apparentemente legittimo, mentre era vero che
l'atto era anche sostanzialmente regolare dal momento che era stato richiesto proprio
dall'imprenditore Pelliccia che era anche munito del certificato di imprenditore agricolo
professionale ed aveva, in tale qualità, diritto a poter costruire un manufatto ad uso abitativo in
zona agricola;
5)
la violazione dell'articolo 429 c.p. p. in ragione della non specificità delle imputazioni di cui al capo
41, diversamente da quanto sostenuto in sentenza a pagina 190;
6)
la erronea applicazione della legge penale e il vizio di motivazione con riferimento alla disposta
confisca ex articolo 12 sexies DI n. 306 del 1992.
Sostiene la difesa che il pubblico ministero sarebbe venuto meno all'onere di provare la
sproporzione dei beni rispetto ai redditi acquisiti dall'imputato e da sua moglie nell'arco di una vita:
e ciò in violazione dei doveri di chiariti dalla sentenza della Cassazion n.ro 5452 del 2010 e
nonostante che la difesa, attraverso la consulenza privata, avesse dato atto delle fonti reddituali
operative sin dal 1980, rappresentate anche dei proventi dell'attività svolta in forma societaria -
attraverso la Grafofin- e dei finanziamenti bancari.
33
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Infondati sono il
primo e il quarto motivo di ricorso.
La nozione di atto contrario ai doveri d'ufficio, che ha giustificato la configurazione del reato di corruzione
propria, è stata fatta propria dalla Corte territoriale in termini del tutto corretti con la esatta motivazione
secondo cui anche un atto che appare formalmente corretto ma che corrisponda a finalità ed interessi del
tutto diversi da quelli che sarebbero propri, integra il concetto sopra evocato poichè costituisce
l'espressione della violazione dei doveri di correttezza ed imparzialità del pubblico ufficiale.
La Corte d'appello ha fatto l'esempio, a pagina 204 e 205, con riferimento all'addebito di corruzione propria
di cui alla prima ipotesi del capo 41 (casa colonica sita in località Lago Patria), della licenza che l'attività
corruttiva posta in essere dall'imprenditore Pelliccia nei confronti, tra gli altri, del ricorrente, aveva
permesso di conseguire.
Si era trattato- così rispondendosi anche ai rilievi mossi nel motivo di ricorso sub 4- di una concessione
edilizia richiesta al nome da un soggetto diverso, tal Pennacchio Giovanni, coltivatore diretto, per la
realizzazione di una fabbricato rurale senza pagamento di oneri contributivi, come previsto dalla legge.
Tale titolo in realtà era servito proprio all'imprenditore Pelliccia e non già al formale intestatario
Pennacchio, per conseguire una formale legittimazione ad intraprendere la realizzazione di un intervento
edilizio affatto diverso, per consistenza e destinazione, da quello apparentemente autorizzato.
In altri termini, la corruzione era servita a far conseguire all'imprenditore un atto apparentemente regolare
ma sostanzialmente illegittimo perché con esso si consentiva al Pelliccia, privo delle richieste qualità, di
edificare in una zona agricola, un manufatto destinato ad uso abitativo dal valore economico assai
superiore rispetto a quello assentito.
Il fatto, invece, che il Pelliccia avesse la qualità di imprenditore agricolo, appare dedotto, come circostanza
di fatto e non come vizio della motivazione, nel ricorso e , in quanto tale, non è apprezzabile,dalla
Cassazione che non valuta direttamente elementi di prova.
Per di più, la stessa Corte, ha evidenziato la violazione dei doveri di imparzialità consistita, secondo le
dichiarazioni del Pelliccia accreditate in sentenza a pagina 206, nella anticipazione della trattazione della
pratica rispetto all'ordine cronologico del protocollo, tanto che era stata sospesa l'istruzione di altre
pratiche precedentemente attivate, inviando ai richiedenti una lettera di sospensione.
Al
secondo motivo,
espressivo di doglianze comuni con quelle di altri ricorrenti, si è risposto sopra, qui
rinviandosi alle argomentazioni già formulate ed in particolare a quelle in risposta al primo analogo motivo
articolato nell'interesse di D'Alterio.
Il
terzo motivo
è infondato per le ragioni già evidenziate a pagina 191 e 192 della sentenza impugnata, dalla
difesa ingiustamente censurate ai sensi dell'articolo 606 lett. b cpp.
Nel sottolineare, ai fini del giudizio sulla credibilità soggettiva del dichiarante, la irrilevanza dei motivi della
scelta dichiarativa, la Corte territoriale non ha violato i principi giurisprudenziali in materia, ma ha fatto
corretta applicazione dell'orientamento, comunque condiviso, secondo cui, in tema di valutazione delle
dichiarazioni accusatorie rese dal cosiddetto "collaborante", è inconferente la considerazione che costui,
essendo normalmente autore di reati di una certa gravità, miri alla fruizione di misure premiali in funzione
della collaborazione prestata, dovendo invece farsi riferimento, ai fini della verifica della sua attendibilità
soggettiva, ad altri parametri, quali la spontaneità delle dichiarazioni, la persistenza nelle medesime, la
puntualità specifica nella descrizione dei vari fatti; elementi, questi, in presenza dei quali resta irrilevante
anche il motivo (nella specie costituito dal disappunto per l'esito di un processo), per il quale il collaborante
si è indotto a formulare le sue accuse (Rv. 198079).
Ed è vero che la valutazione della attendibilità oggettiva della chiamata di correo e degli elementi di
riscontro ,secondo lo schema delineato dalla giurisprudenza (v. SSUU rv 192465 e, conformi, tra le molte,
rv 211876, rv 201168), non può avvenire — e la prova cade- se è negativo il risultato della verifica della
34
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
attendibilità soggettiva, tale dovendosi però intendere quello che dipende dalla prova di una volontà
calunniatrice in capo al dichiarante stesso ovvero di concreti indizi sulla volontà di una scelta collaborativa
chiaramente deviata ( vedi , analogamente, rv 244541).
Si deve cioè ritenere che il giudizio sulla credibilità soggettiva nell'ambito della complessiva e unitaria
valutazione della chiamata in reità, ha una funzione primaria di determinazione del livello di rigore
necessario per il controllo delle dichiarazioni, sicché se il dichiarante ha una certa propensione a mentire,
non per questo la regola probatoria di cui all'art. 192 comma 3 cpp deve ritenersi verificata negativamente.
Si impone, al contrario, solo la massima cautela nella valorizzazione dell'apporto probatorio fornito e il
massimo scrupolo nella confutazione delle obiezioni difensive sulla tenuta del racconto (Rv. 250244).
Nel caso di specie non è stato trascurato e tanto meno è stato oggetto di travisamento della prova il fatto,
dedotto dalla difesa, che le scelte collaborative di taluni imputati possano essere dipese dalla necessità di
perseguire, per tale via, effetti favorevoli quanto alla libertà personale.
Ha tuttavia posto in evidenza il giudice dell'appello (pagina 192) che
"il contributo dichiarativo di tali
imputati è stato meramente di contorno in quanto gli stessi si sono limitati ad ammettere fatti e
circostanze, pur con le indirette implicazioni etero accusatorie, già emersi nel corso delle indagini, la cui
conoscenza e significanza accusatoria aveva consentito non solo l'elevazione di contrazioni preliminari ma
anche l'adozione di presidi caute/ari".
Il
quinto motivo
contiene in sé la dimostrazione della sua stessa manifesta infondatezza.
Ed invero è la difesa a evidenziare che la questione è già stata sottoposta al giudice dell'appello e che la
Corte territoriale vi ha dato risposta.
Diversamente, però, da quanto apoditticamente affermato dal difensore, tale risposta è del tutto corretta e
ad essa deve farsi rinvio essendosi giustamente sottolineato come le condotte risultino descritte in maniera
per nulla generica, con la indicazione degli atti contrari ai doveri d'ufficio e la menzione dei cantieri
individuati ,in cui sono stati realizzati i lavori che hanno portato ai fatti di corruzione anche sulla base delle
dichiarazioni di alcuni degli imputati.
Infine il
sesto motivo è inammissibile per genericità.
La sentenza impugnata ha giustificato la confisca dei beni immobili appartenenti al Gargiulo e alla sua
ristretta cerchia familiare, motivando, a seguito della condanna per il reato di corruzione passiva di cui
all'articolo 319 c.p., il presupposto della assenza di prova sulla provenienza legittima e quello rappresentato
dal valore sproporzionato al reddito.
La Corte d'appello risulta essersi attenuta ai principi della più recente giurisprudenza in materia secondo
cui, ai fini che qui ci occupano, la necessaria valutazione della sproporzione tra i beni oggetto della misura
cautelare e la situazione reddituale dell'interessato, deve essere condotta avendo riguardo al reddito
dichiarato o alle attività economiche esercitate non al momento della applicazione della misura e rispetto a
tutti i beni presenti nel patrimonio del soggetto, bensì a quello dei singoli acquisti e al valore dei beni di
volta in volta acquisiti (Sez. 6, Sentenza n. 5452 del 12/01/2010 Cc. (dep. 11/02/2010) Rv. 246083).
La "sproporzione" prevista per la confisca di cui all'articolo 12 sexies è infatti un parametro legislativo che
contribuisce alla costruzione della presunzione iuris tantum di illecita provenienza del bene del
condannato, per uno dei gravi reati previsti, nel senso che una simile presunzione si va a consolidare nei
confronti del soggetto che effettui l'acquisto di un bene senza risultare in possesso, in quel momento, della
necessaria e lecita provvista economica e senza neppure allegare motivi e fatti capaci di portare alla
dimostrazione dell'acquisto del bene stesso con mezzi economici di lecita origine.
Risulta, pertanto, del tutto eccentrica la riproposizione del rilievo secondo cui l'imputato e sua moglie
avrebbero conseguito, nell'arco di un trentennio circa, remunerazioni economiche complessivamente
capaci di giustificare gli acquisti dei beni mobili e immobili successivamente confiscati: la Corte ha già
congruentemente risposto che tali remunerazioni corrispondono alla somma di normali redditi da lavoro
35
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
dipendente, destinati a soddisfare gli ordinari bisogni familiari e pertanto non computabili ai fini che qui ci
occupano.
Va poi notato che le ulteriori motivazioni esibite dalla Corte sono idonee ad illustrare il detto criterio della
sproporzione con riferimento ai singoli acquisti mentre, al contrario, le censure contenute nel ricorso
risultano del tutto generiche perché evocative di principi generali, derivanti dalla dottrina e dalla
giurisprudenza, che si assumono violati senza la specifica indicazione delle circostanze di fatto alle quali
dovrebbero essere riferiti. E senza che una simile connotazione di genericità possa essere superata sulla
base del rilievo che il ricorso reca, in allegato, la consulenza tecnica di parte del Dott. Pisano.
È in violazione dei principi dettati dall'articolo 581 cpp, il motivo di ricorso argomentato per relationem con
riferimento ad altro atto e senza la menzione specifica- oltre che l'indicazione della collocazione- dei fatti
concreti che, in ipotesi contenute nel detto allegato, sarebbero posti a fondamento delle doglianze.
Viceversa, la implicita richiesta rivolta alla Corte di legittimità di leggere autonomamente la detta
consulenza di parte per rilevare le circostanze di fatto indebitamente pretermesse dal giudice del merito,
significa rivolgere alla Cassazione la richiesta di un apprezzamento diretto di risultanza di prova,
inammissibile nella sede che le è propria.
Deduce Valletta
(condannato per associazione per delinquere di cui al capo 1) e 23 reati fine nonché, in
appello, anche per i reati di corruzione passiva di cui al capo 22) e al capo 29B), quest'ultimo assorbito nel
capo 27)
l'inosservanza della legge penale con riferimento al capo 1) essendo emersi, dalle intercettazioni,
evidenti contrasti fra gli appartenenti al corpo dei vigili urbani, incompatibili con la delineazione
della affectio societatis: tanto più che l'imputato ha fatto parte della squadra dei vigili soltanto per
il breve periodo compreso fra febbraio e settembre 2006, venendo poi trasferito nella
circoscrizione di Casacelle.
In secondo luogo la difesa denuncia la mancanza di motivazione sul ruolo di promotore attribuito al
ricorrente.
In terzo luogo critica la sperequazione fra gli imputati ai quali l'aumento per la continuazione è
stato applicato in misura differenziata.
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Con osservazioni in gran parte versate in fatto e quindi al
limite della inammissibilità, il difensore del ricorrente semplicemente trascura le argomentazioni, esaustive
e razionali, esibite dal giudice del merito per descrivere il perfetto inserimento del ricorrente in un sodalizio
che operava con unicità di scopo e di programma, pur fra gli occasionali ma sempre superati contrasti
interni, comunque determinati da rivendicazioni sugli utili.
Innumerevoli sono gli elementi probatori citati nella sentenza come la conversazione tra Parisi e Sodano,
menzionata a pagina 279-280, dalla quale i giudici hanno ricavato la prova che il ricorrente si sentiva parte
di un accordo con gli altri vigili, nella formulazione della richiesta del prezzo dell'estorsione all'imprenditore
di turno; o le numerose altre conversazioni dalle quali è stato ricavato il sistema, collaudato da tutti i vigili,
della falsificazione dei verbali relativi agli abusi edilizi; o, ancora quelle dalle quali emerge l'esistenza di una
cassa comune nella quale confluivano i prezzi delle tangenti, che venivano successivamente redistribuiti
sulla base di criteri stabiliti da alcuni appartenenti al corpo , tra i quali, appunto, il ricorrente (vedi pagina
284), il quale si trovava, per questo, in una posizione di vertice del sodalizio, rifluita nella contestazione del
comma 1 dell'articolo 416 c.p. (vedi anche motivazione a pagina 297, sulla capacità del ricorrente di
condizionare le scelte del sodalizio).
36
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
La ricchezza del compendio probatorio dà ragione della evidente incapacità del trasferimento del vigile, da
un distaccamento all'altro del Comune di Giuliano, dopo mesi di intensa attività delittuosa, a costituire
prova della sua estraneità al sodalizio.
Anche la denuncia di vizio della motivazione sul trattamento sanzionatorio risulta generica, tenuto conto
che il differenziato aumento della pena per continuazione trova chiaramente giustificazione nella
differenziata descrizione e valutazione delle diverse condotte degli imputati, contenuta nell'intero corpo
della motivazione.
Deduce Parisi
(
condannato per associazione per delinquere di cui al capo 1) e per 26 reati- fine nonché, in
appello, anche per i reati di corruzione passiva di cui al capo 22) e al capo 29B), quest'ultimo assorbito nel
capo 27)
1)
la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento ai capi 11, 11A, 11 B, relativi alle
omissioni e agli abusi concernenti un illecito manufatto edilizio -un pozzo- realizzato dal costruttore
Fontana.
Il difensore lamenta la totale assenza di motivazione in ordine ai rilievi difensivi.
Questi erano consistiti nel segnalare che il manufatto non era di pertinenza del Fontana ma di
Piccolo Giustino; non integrava neanche un abuso edilizio, consistendo in un piccolo scasso per
canalizzare l'acqua piovana, come si era richiesto di accertare con rinnovazione dell'istruttoria
dibattimentale.
La motivazione resa dalla Corte di merito a pagina 37 e 38 era, dunque, del tutto insufficiente, non
essendosi, conseguentemente, ammesso che non era configurabile l'omissione di denuncia di un
fatto non costituente reato.
Per tale ragione, tenuto conto che la condotta dell'imputato poteva al massimo ridursi ad un
favoreggiamento mediante rivelazione di segreti di ufficio, avrebbe dovuto trovare applicazione il
principio dell'assorbimento del reato di cui all'articolo 326 cp in quello di cui all'articolo 378 cp e
non costituivano adeguata motivazione per il rigetto di tale richiesta, gli argomenti svolti a pagina
12 con riferimento a una situazione diversa;
2)
il vizio di motivazione e la violazione di legge con riferimento al reato di cui al capo 18, riqualificato
come corruzione propria.
La prova addotta dalla Corte d'appello è il contenuto di una conversazione intercettata il 21 aprile
2006, tra altri coimputati che fanno riferimento, per la spartizione delle tangenti, a tale Lelluccio,
senza che risulti alcuna prova certa della riferibilità di tale nomignolo al ricorrente, come già
esposto dallo stesso nell'interrogatorio e poi nei motivi d'appello;
3)
la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento ai reati di cui ai capi 19 e 19 A.
In una memoria difensiva, trascurata dalla Corte d'appello, era stato segnalato che le conversazioni
che facevano riferimento a un certo "talebano" riguardavano non la persona di Piccolo Giuseppe
ma l'imprenditore Nobis.
La Corte d'appello, a pagina 47, aveva riconosciuto l'errore ma non vi aveva dato peso, così
incorrendo nella violazione del principio di doverosa correlazione fra accusa e sentenza, tenuto
conto che il prezzo della corruzione non poteva ritenersi versato dal Piccolo, secondo quanto invece
contestato nelle imputazioni.
A ciò la difesa aggiunge che la Corte ha anche trascurato tutte le allegazioni del ricorrente a
proposito del fatto di essere stato calunniato dai suoi coimputati, nelle intercettazioni invece
valorizzate a suo carico;
4)
la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento al delitto di falso di cui al capo 21.
37
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Il falso, consistito nella retrodatazione di un verbale recante la data del 26 ottobre 2005, ma
compilato il 23 dicembre, risulta il frutto della condotta di Taglialatela e di lacolare e non
dell'imputato;
5)
la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento ai capi 22 (ritenuto in accoglimento
dell'appello del PM), 22A), 22 B).
Con riferimento a tali ultimi due reati, la difesa contesta la motivazione della Corte che ha respinto
le sue osservazioni a proposito del contenuto non univoco delle intercettazioni, con un
ragionamento in contrasto col principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio.
Con riferimento poi al reato di corruzione, per il quale il giudice di primo grado aveva pronunciato
assoluzione non rinvenendo prove certe della ricezione di somme di denaro, la difesa sostiene che
la Corte abbia aderito, senza prove, alla prospettazione del PM impugnante, contravvenendo ai
principi della sentenza delle Sezioni unite Mannino, a proposito della valutazione della prova
indiziaria che deve essere prima atomistica e poi unificante;
6)
la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento ai capi 23 e23 A.
La Corte territoriale, a pagina 67, riferisce il contenuto di intercettazioni dalle quali emerge che il
ricorrente, ricevuta la segnalazione dell'abuso, telefonò a un collaboratore per l'effettuazione del
sopralluogo.
Tale emergenza, chiaramente indicativa della correttezza del comportamento del ricorrente, viene
del tutto ignorata a pagina 69 dove, invece, si illustra un comportamento consistito nella omissione
di denuncia;
7)
la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento ai capi 27,28,28A), 29, 29B-addebitato
in accoglimento dell'appello del PM - 30, 31,31A, 32, 33,33 A, 33B, 35,35 A, 37, 38, 38A.
Sostiene il difensore che, nella motivazione della sentenza impugnata, estesa da pagina 71 a pagina
169, non si dà alcuna replica ai motivi di appello e tantomeno alla memoria difensiva versata in atti
ancora nel giudizio di primo grado.
Risulterebbe apodittica, secondo l'impugnante, l'affermazione che egli aveva riscosso somme di
denaro, essendo emerse semmai prove del contrario.
Così l'imprenditore Falco non aveva fatto il nome del ricorrente come quello di persona che
riceveva il danaro.
Si trattava comunque di dichiarazioni non riscontrate e delle quali non era stata vagliata la
attendibilità intrinseca.
Anche gli imprenditori De Vito e Granata non avevano fatto riferimento al ricorrente.
Infine l'imprenditore Nobis sarebbe di dubbia attendibilità.
Quanto poi alle vicende dei manufatti abusivi descritti ai capi 37 e seguenti , si tratterebbe di
manufatti sottoposti a sequestro nel gennaio 2006; la constatata violazione dei sigilli aveva
comportato la denuncia dei proprietari dei cantieri alla Procura della Repubblica.
Infine la difesa lamenta la acritica adesione della Corte d'appello alla tesi del pubblico ministero in
ordine al capo 29B nonché il silenzio sulle istanze volte alla rideterminazione del tempus commissi
delicti;
8)
la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento al reato associativo di cui al capo 1).
Sarebbe del tutto carente, persino sul piano grafico, la motivazione riguardo alle doglianze espresse
nella memoria depositata dalla difesa in primo grado.
Ad ogni buon conto, nella motivazione esistente, redatta a partire da pagina 262, manca qualsiasi
attenzione ai rilievi della difesa che, a pagina 269, si dicono generici quanto alla contestazione del
tenore delle intercettazioni. Inoltre è manifestamente illogica l'affermazione del giudice/
38
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
dell'appello, di considerare utili, ai fini della decisione, anche conversazioni dal contenuto non
univoco.
Nella sentenza impugnata non sarebbero stati emendati numerosi travisamenti delle prove dedotti
dalla difesa e, inoltre, non sarebbe stato adeguatamente valutato il clima di dissidio fra i soggetti
coinvolti; sarebbero state ingiustificatamente valorizzate le regalie, invece ammesse dall'imputato;
non sarebbe stata considerata la tesi esposta da costui negli interrogatori e nella memoria.
In questa -nuovamente trascritta nel ricorso- era stato precisato il ruolo dell'imputato, addetto ad
attività di ufficio e disbrigo pratiche.
Inoltre contesta la difesa che dalle intercettazioni possa ricavarsi il ruolo di promotore, addebitato
al ricorrente, nonostante che costui, nella più sfavorevole delle ipotesi, fosse ritenuto responsabile
di avere percepito somme comunque inferiori a quelle percepite dai colleghi.
Non risulta affrontata la richiesta della difesa, formulata nei motivi d'appello, di riqualificare il fatto
come concorso esterno in associazione per delinquere ai sensi degli articoli 110 e 416 c.p.,
dovendosi anche considerare che la condotta rilevante era stata tenuta soltanto nei mesi di marzo
e aprile 2006;
9) la violazione degli articoli 62 bis, 69, 132 133 c.p. nonché 81 capoverso c.p.
Sarebbe immotivato il diniego delle attenuanti generiche e la fissazione della pena prossima al
massimo edittale, nonostante il ruolo marginale avuto dall'imputato, la sua incensuratezza e il
lavoro svolto.
In data
10 maggio 2013 l'avvocato Gaito ha presentato una memoria
difensiva nella quale ha dedotto, in
relazione all'8° motivo di ricorso, la manifesta illogicità della motivazione in tema di responsabilità
per il reato associativo e la insufficienza della motivazione quanto al riconosciuto ruolo apicale.
In particolare, il difensore critica gli argomenti utilizzati a pagina 263 e 273, dimostrativi proprio
della tesi difensiva e cioè del fatto che le singole pattuglie di vigili urbani si sarebbero trovate in
competizione l'una contro l'altra, nella spartizione dei profitti illeciti, al punto da giungere alla
reciproca delazione sulle altrui iniziative: una realtà assolutamente in contrasto con la affermazione
della esistenza, fra di essi, della affectio societatis, caratterizzata dalla volontà dell'agente di
apportare un concreto contributo alla realizzazione del comune scopo criminoso.
Il difensore, nella stessa prospettiva, cita pagina 284 della sentenza ove è menzionato il contenuto
di conversazioni intercettate dalle quali emerge chiaramente che, sia Parisi che Granata che Basile,
avevano perseguito tangenti soltanto a titolo personale.
Nulla che potesse far utilmente pensare alla "cassa comune" di cui parla la sentenza ma, al
contrario elementi chiaramente indicativi dell'agire, gli agenti, per personali interessi criminosi
collegati solo strumentalmente dalla appartenenza al Corpo dei vigili urbani.
Una situazione nella quale l'accordo criminoso rimane confinato nella sfera del concorso di persone
nel reato mentre, sulla base di un'indagine contro- fattuale potrebbe bene affermarsi che, tolte le
condotte illecite contestate, l'unica struttura a residuare sarebbe stato l'Ufficio comunale dei vigili.
Quanto al ruolo apicale attribuito al prevenuto, il difensore cita le pagine della sentenza (296,297)
nelle quali è semplicemente descritta la qualità della collaborazione dell'imputato ai singoli reati
fine: una qualità che, a parere della difesa, esprime soltanto attivismo e non anche il ruolo di
organizzatore.
Nel corso della discussione orale, l'avv. Gaito ha sollecitato questa Corte a rilevare, di ufficio, la mancata
applicazione - nella sentenza impugnata, in ordine alla posizione del suo assistito- della giurisprudenza
CEDU in tema di doveri istruttori che incombono sul giudice dell'appello il quale intenda ribaltare,
39
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
condannando, una assoluzione pronunciata in primo grado: e ciò in ossequio al principio in tal senso
enunciato dalla sentenza della Cassazione, ric. Marchetti del 2013.
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
In ordine alla questione da ultimo ricordata, da affrontare per prima perché — se fondata- avrebbe carattere
assorbente delle altre, quanto ai reati per i quali era intervenuta assoluzione in primo grado e condanna in
appello-deve osservarsi che essa è, in primo luogo, irricevibile per la genericità della sua formulazione che
non consente di apprezzarne la rilevanza nel caso concreto.
Non è stato precisato dal difensore, infatti, se e in quali termini, per tali reati contestati e addebitati al
Parisi ( che, in realtà, appaiono ritenuti provati sulla base di materiale intercettativo e documentale) si
versasse nella situazione probatoria presa in considerazione dalla sentenza CEDU di cui appresso si dirà più
approfonditamente. Ossia la situazione per cui, alla condanna in appello, dopo la assoluzione in primo
grado, il giudice sarebbe pervenuto esclusivamente ribaltando - senza risentire il teste - la valutazione di
inattendibilità della sua prova dichiarativa: quella, così, divenuta il fondamento della decisione di secondo
grado, senza però il rispetto del principio della sua formazione dinanzi al giudice che la valorizza.
Ma, oltre a tale profilo di inammissibilità, vi è il rilievo che la sollecitazione della difesa, rivolta ai poteri
officiosi della Cassazione, non è comunque ricevibile .
La sentenza di questa Corte di legittimità dalla quale dovrebbe trarsi il principio evocato dal difensore (n.
28061 del 7 maggio 2013, ric. Marchetti), è, invero, del tutto condivisibile quando ribadisce il principio della
sentenza delle SSUU Mannino, a proposito della motivazione "rinforzata" che il giudice dell'appello deve
rendere, nel caso in cui intenda pervenire alla affermazione di responsabilità dopo una assoluzione in primo
grado: mancando tale onerosa motivazione, la sentenza di condanna in appello va annullata con rinvio.
La stessa sentenza Marchetti non appare invece compiere una operazione processualmente condivisibile
quando evidenzia, di ufficio, che la decisione del giudice dell'appello è da cassare perché in violazione
dell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell' Uomo, così come interpretato dalla CEDU nella
sentenza del 5 luglio 2011, Dan/Moldavia. Una decisione che, come è ormai noto, ha affermato che, data la
rilevanza degli interessi in gioco per il ricorrente, non può ritenersi rispondente al principio del giusto
processo, la sentenza del giudice dell'appello che condanni l'imputato , dopo la assoluzione di costui in
primo grado, soltanto ribaltando il giudizio sulla (in)attendibilità del teste della accusa, senza tuttavia avere
proceduto ad esaminarlo di nuovo, in modo da fondare la nuova valutazione sulla attendibilità, non già sui
verbali delle dichiarazioni, ma sulla diretta escussione della fonte.
In primo luogo, la mancata denuncia della questione, con appositi motivi di ricorso per cassazione, è una
scelta processualmente rilevante, dipendente evidentemente dal disinteresse alla rinnovazione della
istruttoria dibattimentale da partAhi era stato già assolto: ma rilevante anche perchè determina una
omessa attivazione, da parte dell'imputato, del rimedio processuale nel sistema nazionale, che lo pone, non
essendosene doluto, nella condizione di non poter attivare il rimedio CEDU, il quale presuppone la
consumazione di tutti i rimedi del sistema processuale domestico, sulla questione stessa.
Singolare è pretendere che la Cassazione compia una scelta che, invece, compete all'imputato.
Oltre a ciò, deve rimarcarsi che la questione della incidenza, nel diritto domestico, dei principi espressi dalla
giurisprudenza della CEDU, riconducibile, con i dovuti adattamenti, alla nozione di denuncia di "violazione
di legge"ex art. 606 lett. c) cpp, richiede pur sempre, ai sensi dell'art. 581 cpp, la illustrazione delle ragioni
in fatto e in diritto che dovrebbero sostenerla: ragioni che, oltretutto, non possono e non debbono
riguardare soltanto la portata del precetto CEDU, ma , soprattutto, lo strumento processuale interno che,
nel caso concreto, si presta ad una interpretazione "conforme" con il precetto CEDU.
La norma Cedu, infatti - come ribadito anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 113 del 2011 - nel
significato ad essa attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, integra, quale «norma interposta»,
40
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la
conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli «obblighi internazionali» (vedi anche
sentenze C. Cost. n. 1 del 2011; n. 196, n. 187 e n. 138 del 2010; n. 317 e n. 311 del 2009, n. 39 del 2008;
sulla perdurante validità di tale ricostruzione anche dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 13
dicembre 2007, sentenza n. 80 del 2011) .
Ciò significa che la norma CEDU è una fonte normativa che non è equiparabile, in tutto e per tutto, ai fini
della sua operatività, ad una fonte di diritto interno.
E ciò non solo in quanto, come ha ribadito da ultimo anche la Corte costituzionale nella sentenza n. 210 del
2013,
ricordando le omologhe precedenti pronunce n. 303 e 80 del 2011, il rapporto tra norme CEDU e
diritto interno non è mutato a seguito della entrata in vigore del Trattato di Lisbona che, secondo taluni
autori, avrebbe ricondotto i diritti elencati nella Convenzione, all'interno delle fonti della Unione,
consentendo al giudice nazionale di disapplicare la norma domestica in contrasto con i diritti fondamentale;
della CEDU: infatti la adesione della UE alla CEDU non è ancora avvenuta.
In sostanza, la vincolatività della norma CEDU, nel principio da essa estrapolato di volta in volta dalla Corte
europea, sta nella sua idoneità a fungere da punto di riferimento per una interpretazione , ad essa
conforme, dei corrispondenti principi del diritto nazionale, ove tale operazione ermeneutica sia possibile
alla stregua dei principi interpretativi posti dal medesimo diritto nazionale. Se invece, la norma o il principio
della CEDU si pongono in insanabile conflitto con la norma nazionale, il giudice deve richiedere l'intervento
della Corte Costituzionale per far rilevare che la norma crea una situazione di mancato rispetto degli
obblighi internazionali.
Pertanto, escluso questo secondo caso quantomeno alla stregua della giurisprudenza fino ad oggi
formatasi, resta la ipotesi- derivante dalla sentenza Dan- della necessità di verificare la possibilità di
"conformare" il rito di appello col principio in essa affermato, nel senso della adattabilità della procedura
della rinnovazione della istruttoria dibattimentale, quando si profili un ribaltamento della assoluzione di
primo grado.
E tuttavia, la mancata rinnovazione è evenienza capace di inficiare la decisione di condanna in appello ,
quando ricorrono specifici presupposti di necessità di rivalutazione della attendibilità del teste "chiave",
che il soggetto interessato deve dedurre specificamente con ricorso per cassazione.
Ciò, perché la valutazione della esistenza di tali presupposti può implicare attestazioni o allegazioni di
merito che la Cassazione può non essere in grado di effettuare in via autonoma: quelli, cioè, non solo
inerenti la unicità della prova dichiarativa ai fini del decidere, ma anche il connotato dell'essere in gioco la
sola "attendibilità intrinseca" del dichiarante, posto che il mutamento di giudizio sulla attendibilità
"estrinseca", invece, ben può attenere a circostanze trascurate dal giudice di primo grado e per questo
valorizzabili dal giudice dell'appello, senza dovere risentire il teste.
Non si ritiene, dunque, per tutti i motivi esposti, che la questione della incidenza, al caso concreto, dei
principi affermati nella sentenza CEDU, sia rilevabile di ufficio.
Passando ai motivi di ricorso, si rileva che infondato è il
primo motivo
attinente ai reati contestati con
riferimento all'abuso edilizio eseguito dal costruttore Fontana Mario.
Le doglianze della difesa risultano manifestamente infondate dal momento che la motivazione della
sentenza è presente e completa; essa risulta comprensiva delle doglianze difensive mentre, per converso, la
lamentela dell' impugnante, circa la mancata motivazione in ordine alla memoria è ,essa si, generica poiché
non indica i punti rilevanti ed anzi decisivi che, se affrontati, avrebbero minato la tenuta del tessuto
motivazionale.
Quanto all'interpretazione delle conversazioni intercettate, è noto che la Cassazione non può sostituirsi
all'opera del giudice del merito a meno che non la si dimostri chiaramente incongrua e manifestamente
illogica: evenienza non verificatasi nel caso di specie.
41
V
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
In ordine, poi, al preteso assorbimento fra il reato di favoreggiamento e quello di rivelazione d'ufficio, vale
la soluzione -sfavorevole- illustrata dalla Corte d'appello a pagina 12 e richiamata da pagina 38: una
soluzione che, per quanto contestata dalla difesa, è in linea con il costante orientamento della
giurisprudenza di questa Corte secondo cui i reati di favoreggiamento personale e quello di rivelazione di
segreti di ufficio, oltre a presentare una diversità di bene giuridico sottoposto a tutela, differiscono anche
per le condotte, in quanto quella prevista dall'art. 378 cod. pen. è a forma libera, comprendendo
qualsivoglia comportamento finalizzato a consentire all'autore di un reato di eludere le investigazioni
dell'autorità o di sottrarsi alle ricerche di questa, mentre quella prevista dall'art. 326 cod. pen. si
caratterizza per la rivelazione da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio di
notizie di ufficio che devono rimanere segrete, e dalla effettività della conoscenza da parte dell' "extraneus"
dell'atto protetto. Ne consegue che, pur potendo la condotta del reato di favoreggiamento comprendere
anche quella di rivelazione di segreto di ufficio, quest'ultima figura criminosa conserva, agli effetti del
concorso formale di reati, la propria autonomia , sicché deve escludersi l'assorbimento per specialità di tale
reato in quello di favoreggiamento (Sez. 6, Sentenza n. 5947 del 27/02/1998 Ud. (dep. 20/05/1998 ) Rv.
211958; conforme Sez. 6, Sentenza n. 737 del 14/10/2009 Ud. (dep. 11/01/2010) Rv. 245698).
Il secondo motivo
di ricorso è inammissibile perché costituisce l'esatta riproposizione della questione
proposta in appello e risolta dalla Corte territoriale con una motivazione, resa a pagina 45, in termini del
tutto logici e plausibili e contrastati dall' impugnante soltanto con argomenti di puro fatto.
In quella sede il giudice a quo ha chiarito le ragioni gravemente indiziarie che militavano a sostegno di
riferimento del nomignolo di Lelluccio, come percettore di tangente, all'odierno ricorrente e, soprattutto la
assoluta genericità e inconferenza delle affermazioni dell'imputato sul punto.
Il terzo motivo
attiene al reato contestato come corruzione propria posto in essere attraverso la ricezione
di somme versate da tale Piccolo Giuseppe che intendeva realizzare alcuni cantieri edilizi abusivi non meglio
identificati.
Non è apprezzabile il rilievo della difesa secondo cui la Corte territoriale avrebbe violato il principio di
necessaria correlazione tra accusa e sentenza, quando aveva riconosciuto che le conversazioni intercettate,
relative al pagamento di somme ai pubblici ufficiali ,da parte di un certo "talibano", dovevano intendersi
riferite a comportamenti propri dell'imprenditore Nobis e non del costruttore Piccolo Giuseppe.
Infatti la giurisprudenza di legittimità è costante nel sostenere che la violazione dell'obbligo di correlazione
tra l'imputazione contestata e la sentenza, non si verifica quando l'accusa venga precisata o integrata con le
risultanze degli interrogatori e degli altri atti acquisiti al processo, atteso che, avendo in tal caso il
medesimo imputato apprestato la necessaria difesa in relazione alla diversa prospettazione del fatto
volontariamente offerta, non è dato riscontrare quella violazione al diritto alla difesa conseguente alla
trasformazione o sostituzione dell'addebito che la norma intende sanzionare (Sez. 6, Sentenza n. 20118 del
26/02/2010 Ud. (dep. 26/05/2010) Rv. 247330; Conformi:
N.
5777 del 1995 Rv. 201673, N. 11462 del 1997
Rv. 209692, N. 5329 del 2000 Rv. 215903, N. 11082 del 2000 Rv. 217222).
Nel caso di specie, oltretutto, la aggiunta della figura e del comportamento dell'imprenditore Nobis alla
condotta in esame è stata ritenuta correttamente, dalla Corte, incapace di modificare la sostanza
dell'accusa, posto che il detto costruttore è risultato implicato nei lavori di abusivi realizzati sia per Piccolo
Giuseppe classe 1961 che per Piccolo Giuseppe classe 1943: in ogni caso, cioè, la figura di Piccolo Giuseppe
indicata nel capo d'imputazione, risulta confermata anche nella ulteriore ricostruzione accreditata in
sentenza.
La doglianza a proposito della natura calunniosa delle conversazioni intercettate a carico di colleghi, d'altra
parte, risulta rappresentata in questa sede soltanto come considerazione di fatto e, in quanto tale, non
apprezzabile data la sede della legittimità.
42
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Il quarto motivo
è manifestamente infondato tenuto conto che la redazione del verbale di chiusura
dell'esercizio commerciale recante la data del 26 ottobre, pacifica opera del ricorrente, risulta, dalla
imputazione, rinnovata e completata materialmente nel dicembre del 2005 da altri coimputati, ma
costituiva essa stessa, nella originaria stesura, comprensiva di data e firma, una condotta integrante la
falsità ideologica consistita nell'attestare falsamente un'attività di polizia municipale, mai compiuta.
Il quinto e il sesto motivo
vengono illustrati con considerazioni generiche oppure versate in fatto, come
tali inammissibili.
Da pagina 62 a pagina 65 della sentenza impugnata si legge una motivazione articolata a proposito della
interpretazione che il giudice del merito ha ritenuto di attribuire alle conversazioni intercettate ivi
menzionate.
A tale logica motivazione, che fa uso di massime di esperienza del tutto plausibili e non meritevoli di
censura, soprattutto con riferimento al modo con il quale è stato interpretato il linguaggio reputato criptico
dallo stesso giudice, la difesa contrappone- inammissibilmente- una critica che si appunta proprio sul senso
attribuito alle parole intercettate: un senso che la Corte territoriale ha motivatamente e
argomentatamente disatteso sicché non può venire in considerazione, in questa sede, la violazione del
principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio.
Tale principio, sancito appositamente dall'articolo 533 comma uno Cpp con novella del 2006, ma
sostanzialmente deducibile anche dal comma due dell'articolo 530 c.p.p., prevede, invero, e impone la
censura della decisione del giudice che sia stata di condanna nonostante una situazione di incertezza
probatoria che dallo stesso avrebbe dovuto essere colta e appositamente valorizzata.
Tuttavia tale incertezza o contraddittorietà probatoria debbono essere obiettivamente rilevabili alla luce di
un ragionamento che pur dovrebbe tenere conto delle argomentazioni rappresentate dalla difesa nei
motivi di impugnazione o nelle memorie depositate, mentre non possono consistere nel dubbio, in sé,
coltivato dalla difesa a proposito della significatività delle emergenze raccolte.
La funzione valutativa del giudice del merito è, appunto, quella di analizzare e verificare il dubbio sollevato
dalla parte per poi rendere una adeguata motivazione a proposito del sé, tale dubbio possa essere superato
o meno alla stregua delle prove o degli indizi raccolti.
Ne consegue che la motivazione del giudice dell'appello può essere censurata soltanto se sia carente
quanto ad analisi in ordine al dubbio prospettato dalla difesa ma non anche se, in modo razionale e
completo, si dimostri capace di superare quello stesso dubbio.
Anche i principi della sentenza Mannino appaiono invocati in maniera non congruente rispetto alla
motivazione impugnata, dovendosi semmai riconoscere che, in materia di interpretazione di intercettazioni
telefoniche, la valenza e il significato da attribuire alle singole espressioni non può che costituire la
risultante della loro lettura integrata, tenendo conto anche degli altri elementi oggettivi o di riscontro già
accertati.
In ordine, poi, ai reati concernenti gli abusi presso il lido Onda del mare, non si apprezza alcuna
contraddittorietà della motivazione posto che, se da un lato lo stesso giudice ha dato atto del materiale
intercettativo capace di dimostrare che l'imputato ricevette la segnalazione dell'abuso e segnalò ad un
collaboratore la opportunità di recarsi sul posto, d'altra parte è stata anche valorizzata la circostanza che,
dall'arrivo della notizia criminis , il 16 dicembre 2005, all'effettivo sequestro dell'opera oramai realizzata
(otto case mobili con ruote e bagni appoggiate su un masso di calcestruzzo) trascorsero più di tre mesi
senza che tale inerzia - peraltro troncata soltanto per il timore dell'intervento dei Carabinieri, desunto da
altre intercettazione - abbia trovato alcuna effettiva giustificazione, nella prospettiva della persecuzione del
reato, mentre la ha trovata nella prospettiva dilatoria rappresentata dall'accusa.
Il settimo motivo
è infondato.
43
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Oltre al rilievo della assoluta genericità della doglianza concernente la mancata ridefinizione del tempus
commissi delicti, deve osservarsi che ugualmente generiche sono le critiche alla ritenuta attendibilità degli
imprenditori ai quali si attribuiscono dichiarazioni etero accusatorie.
La censura è formulata con considerazioni avulse dal contesto della motivazione e pertanto senza che sia
possibile, perché nemmeno sottolineato dalla difesa, comprendere la rilevanza e l'incidenza delle censure
mosse all'attendibilità soggettiva di taluni dichiaranti, non posti in una specifica relazione del ricorso, con le
accuse addebitate all'imputato.
Le censure mosse dalla configurazione del reato associativo,
nell'ottavo motivo
di ricorso, trovano risposta
nei rilievi formulati a proposito di analoghe doglianze di altri difensori.
I rilievi già formulati con riferimento alle posizioni apicali attribuite a Sodano e Valletta, valgono con
riferimento alla posizione del ricorrente, illustrata con particolare approfondimento nelle pagine 284
285,292,295,297, contenenti anche specifici argomenti relativi alla configurazione dell'ipotesi di cui
all'articolo 416 comma uno cp.
La esaustività della motivazione relativa alla configurazione della piena partecipazione dell'imputato alle
finalità e al programma associativo spiega la ragione della omessa valutazione di qualificazioni giuridiche
alternative, come quella del concorso esterno, il cui presupposto in fatto risulterebbe incompatibile con
quello accreditato per sostenere la configurabilità del concorso necessario.
Quanto ai rilievi dell'avvocato Gaito, a proposito della antinomia oggettiva che si dovrebbe registrare tra il
patto associativo in contestazione e la obiettiva rilevazione di dissidi e contrasti interni alla parte del corpo
dei vigili coincidente con il sodalizio criminoso, nonché persino delazioni ad opera di sodali, deve
rispondersi con la affermazione della piena razionalità e tenuta logica della motivazione al riguardo
adottata dal giudice del merito.
Il rilievo difensivo è, invero, soltanto astratto e formale, posto che il giudice del merito ha dato pienamente
conto di come le denunce, i contrasti, i malumori e gli esposti anonimi abbiano rappresentato soltanto il
sintomo di fibrillazioni all'interno di un sodalizio la cui operatività è risultata risalente nel tempo, con
tangenti elargite anche in lire, come ricostruito sulla base anche delle dichiarazioni dell'imprenditore
Pelliccia .
Invero, quella fibrillazione e quei contrasti non sono risultati prova dell'inesistenza o del contrario della
esistenza del vincolo associativo a carattere criminale, già dimostrato sulla base di emergenze di tutt'altro
tenore ( intercettazioni, sopralluoghi di PG, dichiarazioni accusatorie ). Al contrario, sono stati valutati come
incapaci di generare fratture reali fra sodali che, nonostante le proteste, hanno continuato a lavorare a
fianco con i denigrati e i presunti scorretti non sottraendosi alla consumazione dei reati fine.
Una simile motivazione non evidenzia alcuna manifesta illogicità ma si limita ad includere l'analisi di un
dato in apparente controtendenza (quello delle denunce anonime, evidenziato dalla difesa) per
dimostrarne la assoluta compatibilità con il quadro accusatorio già delineato. E a rappresentare un
percorso argomentativo capace di esporsi senza conseguenze alla prova contro-fattuale proposta
suggestivamente dalla difesa: anche in eventuale assenza di attuali reati fine in corso di esecuzione, il
sodalizio criminoso delineato nella sentenza impugnata aveva la capacità di mantenersi autonomamente in
vita come entità idonea a mettere in pericolo l'ordine pubblico, per la sua latente presenza, derivante da un
accordo implicito che non necessitava di essere rinnovato ogni volta e che risultava attivo e capace di
finalizzare ad un risultato utile tutte le condotte delittuose che i diversi sodali decidevano di perpetrare nel
senso rappresentato nel capo di imputazione.
Anche
l'ultimo motivo
di ricorso non può essere apprezzato dal momento che la motivazione della
sentenza impugnata, con riferimento a tutte le voci che vanno a comporre il trattamento sanzionatorio,
compresa quella costituita dalle attenuanti generiche, hanno trovato disamina da parte del giudice il quale
ha valutato e bilanciato tutti i dati di gravità, oggettiva e soggettiva, emergenti dalla ricostruzione
44
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
dell'intera vicenda, ritenendoli così prevalenti rispetto agli elementi favorevoli addotti a sostegno della
richiesta di del trattamento sanzionatorio.
Deduce De Vito
(
condannato per il reato di corruzione attiva di cui ai capi 32 e 33- dichiarato in appello
assorbito l'uno nell'altro-, nonché, ancora in appello, anche per il reato di partecipazione ad associazione a
delinquere di cui al capo 1)
1)
La violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento al reato associativo.
In relazione al reato associativo, designato con riferimento alla convergenza di tre diversi gruppi di
soggetti agenti, l'imputato era stato assolto in primo grado.
Il giudice dell'appello aveva dedicato poche righe a spiegare la partecipazione degli imprenditori al
sodalizio criminoso.
Tuttavia gli scarsi argomenti utilizzati dalla Corte d'appello (omogeneità e modalità dei rapporti
degli imprenditori con i vigili urbani, frequenza dei contatti e strategie operative) servivano a
spiegare i fatti anche in termini di ripetizione di reati unificabili nel vincolo della continuazione.
Al contrario emergeva come ognuno agisse per il proprio esclusivo interesse e gli imprenditori, in
particolare pagavano tangenti che i vigili pretendevano.
Ugualmente difettava l'individuazione del ruolo svolto in seno alla organizzazione, dovendosi
considerare che l'imprenditore cercava di i favoritismi in maniera estemporanea e occasionale,
comunque indipendentemente dai vincoli gerarchici.
Anche l'elemento rappresentato dalla cassa comune riguardava i vigili e non certo il gruppo degli
imprenditori.
Per tale ragione doveva ritenersi capaci di integrare il vizio di motivazione l'affermazione, fatta dalla
corte pagina 278, riguardante le modalità operative dell'agire dell'imprenditore, invero sottomesso
alle richieste del dei vigili con riferimento al singolo cantiere di volta in volta individuato.
Anche a pagina 280 è stata descritta una strategia dei vigili (quella della delazione) in evidente
danno agli interessi dei costruttori.
A pagina 281 veniva valorizzata una conversazione nella quale la richiesta dei vigili veniva, da essi
stessi, definita come di natura estorsiva.
A pagina 283 vi era menzione della cassa comune quale elemento indicativo di appartenenza
all'associazione, proprio dei vigili.
E poi ancora a pagina 290,294 e 297 erano indicati elementi (richiesta di tangenti, rapporti di
amicizia) del tutto contrastanti con l'ipotesi associativa.
La particolare posizione dell'imputato poi era stata illustrata a pagina 321 e seguenti in maniera del
tutto insufficiente.
In particolare erano stati trascurati rilievi formulati dalla difesa avverso l'appello del pubblico
ministero, a proposito dei rapporti assai contenuti con gli altri imprenditori, alla unicità
dell'episodio corruttivo che lo riguardava e alle mansioni meramente esecutive da lui svolte;
2)
la violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza, con riferimento al passo della
sentenza nel quale si ipotizzava l'esistenza di una ristretta associazione fra gli imprenditori e i
tecnici comunali, diversa da quella enunciata nell'imputazione;
3)
il vizio della motivazione con riferimento al diniego delle attenuanti generiche, essendo unico il
reato di corruzione, e al trattamento sanzionatorio, deteriore rispetto a quello di altri imputati.
Il ricorso è fondato.
Pur dovendosi rimandare, per quanto riguarda alla configurazione del reato
associativo, alle osservazioni sopra diffusamente formulate nel replicare agli omologhi motivi di ricorso
degli altri imputati, deve notarsi che , nella motivazione esibita dal giudice di appello, da pag. 262 a pag.
364, non è presente la dovuta disamina della posizione del ricorrente in questione.
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
dente
Sotto il primo profilo, può osservarsi, invero, la Corte d'appello ha osservato che i rapporti amichevoli e di
mutua intesa che caratterizzano i colloqui intercettati, non contraddetti da alcuna specifica evidenza, ma
anzi di più avvalorati dalle stesse dichiarazioni dei prevenuti i quali-per loro stessa ammissione-erano soliti
comunicare la loro intenzione di procedere alla edificazione abusiva concordando la corresponsione della
tangente sul valore degli immobili da realizzare, mostrano che in realtà i privati hanno agito sulla base di un
accordo del tutto paritario con i pubblici ufficiali, comperando nell'inerzia e ogni successiva eventuale
condotta di favore, senza soggiacere ad alcun apprezzabile sia pur larvato, ricatto.
Tuttavia, con riferimento alla specifica accusa partecipativa mossa al ricorrente, non può farsi ricorso alla
valorizzazione della presunzione derivante dalla commissione dei reati fine della associazione, sembrando
che non ricorra, nel caso di De Vito, il carattere della serialità degli stessi ed essendo stato, il ricorrente,
ritenuto responsabile di un solo fatto corruttivo.
Si impone, in suo favore, l'annullamento con rinvio perché la motivazione sia completata, ove ve ne siano i
presupposti.
Alla inammissibilità dei ricorsi di Del Franco e Taglialatela di consegue, ex art. 616 cpp, la condanna di
ciascun ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo
determinare in euro 1000.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Granata Raffaele e Granata Sabatino,
limitatamente alla statuizione di conferma della confisca ex art. 12 sexies I. 356 del 1992, statuizione che
elimina, disponendo la immediata restituzione dei beni agli aventi diritto . Rigetta nel resto il ricorso di
Granata Raffaele.
Annulla la stessa sentenza, nei confronti di Granata Sabatino, anche limitatamente al primo dei tre episodi
delittuosi di cui al capo 32
("cantiere non meglio individuato");
annulla altresì la stessa sentenza, nei
confronti di D'Alterio, limitatamente al quarto episodio di corruzione di cui al capo 41
("cantiere di via
Maristi");
annulla la sentenza impugnata nei confronti di De Vito: con rinvio, per tutti e tre i menzionati
ricorrenti, su tali punti, ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli, per nuovo esame . Rigetta nel resto
i ricorsi di tali imputati.
Rigetta i ricorsi di Corso, Basile, Carleo, Pianese, Sodano, Migliaccio, Nobis,Gargiulo, Parisi e Valletta che
condanna, singolarmente, al pagamento delle spese del procedimento.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Del Franco e Taglialatela che condanna, singolarmente, al pagamento
delle spese del procedimento nonché al versamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di
euro 1000 per ciascuno.
C
eciso 11 22 settembre 2013
il Cons. est.
CtAl
»A
L/L
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