SENTENZA Nº 201900298 di Consiglio di Stato, 15-11-2018

Presiding JudgeSALTELLI CARLO
Date15 Novembre 2018
Published date14 Gennaio 2019
Judgement Number201900298
CourtCouncil of State (Italy)
Pubblicato il 14/01/2019

N. 00298/2019REG.PROV.COLL.

N. 00500/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 500 del 2016, proposto da
Federdistribuzione - Federazione Associazioni Imprese e Organizzazioni Associative Distribuzione Moderna Organizzata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Filippo Arturo Satta, Giorgio Roderi e Antonio D'Aloia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Filippo Arturo Satta in Roma, Foro Traiano, n. 1/A;

contro

Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonella Cusin, Andrea Manzi e Ezio Zanon, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Terza, n. 00766/2015, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Veneto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 novembre 2018 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati Roderi e Caruso, su delega di Manzi.


FATTO

1.Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sez. III, con la sentenza 1° luglio 2015, n. 766, ha respinto il ricorso proposto da Federdistribuzione - Federazione delle Associazioni delle Imprese e delle Organizzazioni Associative della Distribuzione - per l’annullamento del Regolamento Regionale 21.6.2013, n. 1 recante "Indirizzi per lo sviluppo del sistema commerciale", pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Veneto 25.6.2013, n. 53.

2. Secondo il TAR, in sintesi:

- la realizzazione di una grande struttura di vendita ha un considerevole impatto sul territorio, condizionandone la destinazione e gli sviluppi futuri, e ciò impone, di per sé, la necessità che i principi in materia di liberalizzazione del commercio siano contemperati dalla tutela di un interesse generale, evidentemente inciso dalla realizzazione di una struttura di una tale dimensione: tanto trova conferma negli artt. 1 e 2 della L. n. 27-2012, che ammette l’esistenza di restrizioni, fissando la legittimità di limiti per evitare possibili danni alla salute, all’ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale; nello stesso senso è anche l’art. 31, comma 2, L. n. 214-2011 che riconosce espressamente alle Regioni il potere di individuare aree nelle quali sia limitato l’insediamento delle attività commerciali; ne consegue la legittimità in materia di un controllo preventivo dell’amministrazione competente e quindi l’ammissibilità di un regime autorizzatorio;

- è altrettanto incontestata la necessità di distinguere fra atti di programmazione economica - che in linea di principio non possono più essere fonte di limitazioni all'insediamento di nuove attività - e atti di programmazione aventi natura non economica, i quali, invece, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono imporre limiti rispondenti ad esigenze annoverabili fra i motivi imperativi di interesse generale (art. 11, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 59-2010, art. 34, comma 3, lett. a), d.lgs. n. 201-2011), orientamento confermato dalla Corte di Giustizia UE con sentenza 24 marzo 2011 resa nella causa C-400/08;

- deve ritenersi altrettanto ammissibile una disciplina regionale che non impone limitazioni di tipo economico, ma stabilisce solo una disciplina idonea a tutelare il territorio e l’ambiente urbano nel rispetto delle disposizioni nazionali sopra ricordate, come confermato anche dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 104-2014);

- è infondato anche il motivo di censura (quarto) con il quale si sostiene che l’esistenza di un regime giuridico differenziato, in relazione alla superficie del punto vendita, costituirebbe un’alterazione del confronto concorrenziale idoneo a violare il principio di uguaglianza e di libertà di iniziativa economica privata, un regime differenziato tra le varie strutture di vendita non essendo di per sé sintomo dell’asserita alterazione del confronto concorrenziale, tanto più che la necessità di un’autorizzazione non pregiudica la possibilità che un qualsiasi soggetto possa ottenere lo stesso titolo abilitativo;

- non risulta apprezzabile la pretesa illegittimità costituzionale dell’art. 1 del regolamento e dell’art. 13 della L. Reg. n. 50-2012 (quinto motivo del ricorso) nella parte in cui detta disposizione introdurrebbe una misura asseritamente discriminatoria in danno degli imprenditori per il fatto che le strutture di vendita non ubicate all’interno dei centri storici sono soggette al pagamento di un onere aggiuntivo, trattandosi di una previsione, frutto di una scelta di merito, volta a favorire la collocazione di strutture di vendita nell’ambito dei centri storici e urbani;

- infondato è il motivo (settimo), concernente la legittimità del regolamento nella parte in cui prevede la tutela dei lavoratori e il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali nei tavoli di concertazione e di monitoraggio previsti dalla normativa vigente sul presupposto che si tratterebbe di una previsione estranea alla disciplina dell’attività commerciale, atteso che l’art. 2, comma 1, lett. h), della legge ricordata regionale fa propri i principi contenuti nel diritto europeo (e in particolare con la direttiva Bolkestein) nella parte in cui prevede che la tutela dei lavoratori e nello specifico l’impegno ad assumere lavoratori, possa consentire di introdurre limiti all’attività economica, disposizioni peraltro recepite anche nel d.lgs. 26 Marzo 2010, n. 59.

Inoltre, al punto 4.8 e ss. della sentenza impugnata, il TAR stabilisce, espressamente, che: “4.8 In particolare si evidenzia che risulterebbe violato l’art. 31 della L. n. 214/2011 nella parte in cui avrebbe previsto il termine del 30 Settembre 2012 entro cui le Regioni avrebbero dovuto adeguare i propri ordinamenti. 4.9 Al fine di dimostrare l’infondatezza della tesi della ricorrente è sufficiente evidenziare come la Corte Costituzionale nella sentenza n. 65/2013 ha sancito che il termine del recepimento risultava individuato nel 31 dicembre 2012 e, ciò, considerando che l' art. 1 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività) ha disposto che “i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni si adeguano ai principi e alle regole di cui ai commi1, 2 e 3 entro il 31 dicembre 2012, fermi restando i poteri sostitutivi dello Stato ai sensi dell'articolo 120 della...

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