Le scriminanti non codificate. L'esercizio dell'attività sportiva

AutoreValerio Vartolo
Pagine258-261
258
dott
3/2013 Rivista penale
DOTTRINA
LE SCRIMINANTI NON
CODIFICATE. L’ESERCIZIO
DELL’ATTIVITÀ SPORTIVA
di Valerio Vartolo
SOMMARIO
1. Introduzione. 2. La sentenza 19473/2005 della Cassazione
Penale. 3. La ricostruzione dottrinale. 4. La sentenza Rolla.
L’origine delle scriminanti sportive. 5. La trance agonistica. 6.
La giurisprudenza più recente. 7. Conclusioni .
1. Introduzione
Il tema delle scriminanti non codif‌icate, nell’esercizio
dell’attività sportiva, è uno degli argomenti maggiormente
dibattuti in dottrina e, di recente, anche in giurispru-
denza. Le diff‌icoltà, di ordine logico-giuridico, circa una
classif‌icazione sistematica delle stesse deriva, anzitutto,
dalla, per molti aspetti, novità di tale f‌igura dogmatica e
dal sempre più affermarsi del Diritto Penale quale diritto
vivente. Peraltro, anche da un punto di vista strettamente
professionale, nell’espletamento dell’attività legale, la
consapevolezza di siffatta costruzione giuridica è sempre
più rilevante nell’affrontare dibattimenti aventi ad oggetto
lesioni susseguenti alla stessa attività sportiva. In questa
analisi cercheremo, dapprima, di ricostruire, dalle origini,
la vicenda giuridica di tali scriminanti e, successivamente,
proveremo ad analizzare le stesse al f‌ine di def‌inirne una
classif‌icazione provando, dapprima, ad utilizzare istituti
giuridici già esistenti ovvero provando ad “inventarne” di
nuovi che meglio consentano di ricostruire tale fattispecie
e di evitare, di conseguenza, non pochi problemi di omoge-
neità e conformità con alcuni principi cardine del diritto.
2. La sentenza 19473/2005 della Cassazione Penale
Con sentenza del 27 settembre 1999 il Tribunale di
Venezia dichiarava F. Davide colpevole del reato di lesioni
volontarie aggravate, ai sensi dell’art. 582 e dell’art. 583
comma 2 n. 3 c.p. per aver cagionato a D. Andrea, colpen-
dolo violentemente all’addome nel corso di una partita di
calcio, la perdita dell’uso della milza. Il D. veniva imme-
diatamente soccorso e trasferito all’Ospedale di Milano
dove subiva un intervento di splenectomia ed anche la
saturazione di una perforazione intestinale. La Corte di
Appello di Venezia, in secondo grado, pronunciandosi sul
gravame proposto dal difensore dell’imputato, riformava
in parte la sentenza di primo grado perché dichiarava il
reato estinto per intervenuta prescrizione. Avverso tale
pronuncia propone ricorso per Cassazione il difensore
dell’imputato, facendo leva su una serie di argomentazioni
giuridiche alcune delle quali essenziali ai f‌ini del ragiona-
mento che, qui, svolgeremo. Ed infatti, il difensore dell’im-
putato contesta la qualif‌icazione giuridica del fatto, come
reato doloso, ed insiste aff‌inchè vengano riconosciute le
scriminanti di cui agli articoli 50 e 51 c.p. ovvero le cosid-
dette “scriminanti non codif‌icate”. La Corte di Cassazio-
ne (1) si trova, dunque, dinanzi ad un bivio: qualif‌icare
l’eventuale scriminante quale scriminante riconducibile
agli articoli 50 o 51 c.p. ovvero creare una f‌igura giuridica
ibrida in grado di superare gli ostacoli che una qualif‌ica-
zione magari più ortodossa pone all’operatore del Diritto.
Ed infatti, la Corte di Cassazione opta per questa seconda
via, sfuggendo così al rischio di rendere compatibile, ad
esempio, la manifestazione del consenso (di un competi-
tor sportivo) con la possibilità di ledere il bene della vita,
un bene indisponibile. I giudici della Suprema Corte, argo-
mentando sullo sport quale “palestra di vita” e quale luogo
in cui matura la personalità dell’individuo, ritengono che
l’estrinsecarsi dell’attività sportiva, proprio per la rilevan-
za sociale della stessa, costituisca una valida scriminante
che l’ordinamento deve riconoscere. A questo punto si in-
sinuano, ipso facto, le argomentazioni afferenti la “soglia
del rischio consentito”: La Suprema Corte argomenta circa
il fatto che, al f‌ine di valutare tale soglia, rilevino le norme
dell’ordinamento sportivo. Ora, come diremo in seguito,
già questa circostanza comporta numerosi problemi (si
pensi, ad esempio, all’attività sportiva dilettantistica) ed
in ogni caso ben potrebbe accadere che un giocatore, pur
violando una norma sportiva, non incorra in una sanzione
penale: si pensi, ad esempio, al concetto (su cui si torne-
rà) di “ansia da risultato”, che altro non è che uno stato
psicologico in base al quale un giocatore, pur oltrepassan-
do il rispetto tassativo delle norme sportive, non sarebbe
punibile perché non supererebbe la soglia del rischio con-
sentito. Vengono, pertanto, elaborati i concetti di “trance
agonistica” e “concitazione” quali elementi caratterizzanti
lo stato psico-soggettivo di uno sportivo. Diverso, secondo
i Supremi Giudici, il caso in cui la violazione delle norme
sportive avvenga per colpa o dolo. Il caso di violazione col-
posa dell’ordinamento sportivo si avrebbe ogni qualvolta
un giocatore violasse una norma sportiva “nel corso di una
ordinaria azione di gioco”, considerato che in tale circo-
stanza “la violazione è f‌inalizzata non ad arrecare un pre-
giudizio f‌isico bensì al conseguimento, seppur illecito, di
un determinato obiettivo agonistico”: si pensi, ad esempio,
ad un intervento da tergo, nel gioco del calcio, effettuato
da un giocatore che perde il pallone, nei confronti di un
altro calciatore lanciato a rete. Viceversa, si avrebbe una
violazione dolosa del regolamento sportivo laddove la gara
agonistica costituisse il mero contesto materiale in cui si
esplica una condotta sganciata da un qualsivoglia obiet-
tivo: si pensi ad un calciatore che colpisce con un pugno
un altro calciatore, ad azione ferma o ad azione lontana
dagli stessi. Ora, se la vicenda della violazione dolosa può
apparire ben chiara, è facile constatare quanto labile sia
il limite fra violazione colposa e condotta scriminata a
seguito della trance agonistica.

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