La nuova contestazione suppletiva, resa dalla pubblica accusa, ai fini della individuazione del termine massimo di custodia, in pendenza del dibattimento, non riverbera I suoi effetti sullo status custodiae: una aperta vexata quaestio

AutoreCarlo Dell'Agli
Pagine97-100

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Il ventaglio della giurisprudenza di legittimità, in tema di computo dei termini di durata della custodia cautelare 1 per la fase del giudizio, si arricchisce di una decisione tanto particolare e corretta, quanto congrua e rilevante.

Il contrasto di giurisprudenza sull'individuazione del reato «per cui si procede» 2, al fine di stabilire la durata dei termini massimi di custodia cautelare della fase del giudizio, fu rimessa con ordinanza del 4 aprile 2000 dalla sez. II penale, alle sezioni unite a norma dell'art. 618 c.p.p., perché decidessero «[...], se detti termini debbano calcolarsi tenendo conto esclusivamente della contestazione che figura nel provvedimento restrittivo ovvero a quella oggetto del giudizio di merito, comprensiva di un'aggravante ad effetto speciale [...]».

A bene vedere, il giudice di legittimità - nell'ambito di questo ragionevole criterio valutativo suscitato da quesito sul se, nella materia che ne occupa, debbano essere prese in considerazione, al fine del computo del termine di durata massima della custodia cautelare, anche l'aggravante ad effetto speciale contestato dal pubblico ministero nel corso del dibattimento ovvero si debba fare riferimento unicamente alla imputazione contenuta nel provvedimento restrittivo - affronta la questione in esame, sostanzialmente, con analisi critica sulla stretta relazione (non certo con la perentorietà delle proprie considerazioni) fra giudizio di merito e procedimento incidentale de libertate.

Invero, l'apparato motivazionale del provvedimento del Supremo Collegio, da stimarsi soddisfacente sotto il profilo della legittimità, prima di essere giunto al dato risultato decisorio, dà in chiaro una esposizione riassuntiva dell'excursus valutativo richiamando l'essenzialità dei due indirizzi di segno opposto rimessi dalla sezione rimettente.

Secondo un primo indirizzo, seppure meno recente 3, logico-interpretativo inclina all'affermazione che la contestazione di un'aggravante ad effetto speciale «ai fini del computo dei termini di durata massima della custodia cautelare, non è produttiva di effetti» laddove «non sia contenuta nel provvedimento cautelare» che certamente rappresenta un autentico titolo di custodia 4.

In definitiva, la materia dell'istituto de libertate detta delle precise regole, secondo un modello processuale, cuiPage 98 non ci si può sottrarre soddisfacendo dei ben precisi principi costituenti un rigoroso corollario (v. Cass., sez. III, 24 agosto 1999, n. 2748, Vandi del punto Osserva in fatto e in diritto):

a) la richiesta del pubblico ministero deve riguardare una condizione di espressa limitazione;

b) al tribunale di riesame deve essere data una piena condizione di possibilità nel merito;

c) la esigenza eventuale possibile di un controllo di legittimità;

d) un provvedimento ad hoc del giudice che procede, specificando i basilari elementi prescritti ex lege, atti a permettere la difesa a colui al quale si indirizza.

Stando invece, all'indirizzo opposto, sviluppato dal richiamo a precedenti pronunce della giurisprudenza 5, inclina a ritenere che, ai fini del calcolo del termine di durata della custodia, è necessario fare riferimento all'imputazione contenuta nel decreto che dispone il giudizio oppure a quella modificata intervenuta nel corso del dibattimento e non a quella che figura nell'originario provvedimento restrittivo 6.

Il giudice di legittimità, nel prosieguo del delicato assunto motivazionale, nella subiecta materia ove sono in gioco esigenze tassative di garanzia dello status libertatis, stima sempre la necessità di sussumere, quale proprio indirizzo, quello recepito in senso di maggiore rigore aderente al c.d. «garantismo» partendo dal mero presupposto che la libertà personale può essere limitata «solo nei casi tipici e con gli strumenti tassativamente previsti dalla legge».

Cristallizzato questo principio generale, a totale salvaguardia delle garanzie dell'imputato e a tutela del diritto della libertà costituzionalmente presidiato secondo il prioritario principio dell'habeas corpus, la Suprema Corte ha chiosato escludendo che «l'atto che dà vita alla custodia [...] non è sostituibile con equipollenti nel decreto che dispone il giudizio».

Tale rigorosa esposta soluzione delle sezioni unite, invero sostenuta da argomentazioni convincenti - siccome conforme ai principi a garanzia della libertà personale statuiti dalla Costituzione» (v. artt. 13, 27 e111), dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali 7 e quindi dalle direttive della legge n. 81/87 al governo per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale attuate con la rigida disciplina contenuta negli artt. 27, 311 del codice di rito i cui criteri direttivi, ai fini del calcolo della pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari, sono indicati negli artt. 278 e 297, ove nel primo si statuisce che bisogna prendere in considerazione le circostanze ad effetto speciale, quale è l'aggravante di cui all'art. 7 della L. 203/91, nella fattispecie contestata dalla pubblica accusa in pendenza del dibattimento e, nel secondo, cui è correlata la considerata normativa, disciplina gli effetti della custodia cautelare - gravita la propria conclusione sulla esplicita asserzione che «l'unica causa efficiente degli effetti dei provvedimenti cautelari, è l'ordinanza cautelare emessa dal giudice che procede (nella fattispecie, il giudice per le indagini preliminari) e che non si rinviene nel sistema un modello equipollente idoneo ad incidere automaticamente nell'azione cautelare con effetti peggiorativi dello status custodiae» (cfr. sentenza in esame del punto 3 dei Motivi della decisione).

Il giudice di legittimità, seguitando sempre nella propria linea esegetica, sostiene che le finalità delle considerate regole sorrette sulla base dei principi di stretta legalità cautelare si ancorano con le disposizioni di cui all'art. 303 c.p.p. che prescrive espressamente le fasce e il tetto massimo dei termini custodiali computati in relazione al «delitto per cui si procede».

Con schietta osservazione testuale, la Corte a sezioni unite fa rilevare che la relazione tra la contestazione cautelare e l'imputazione oggetto del processo di merito è disciplinato dal codice di rito in ragione della autonomia e le «vicende (sostanzial-) processuali» del procedimento principale, anche dopo l'intervenuta sentenza di condanna non definitiva 8, possono avere l'imprevedibile predominio su quello incidentale de libertate soltanto in funzione...

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