La difesa legittima. La riforma è riuscita a garantire maggiormente il diritto di autodifesa del cittadino?

AutoreCristina Colombo
Pagine1223-1230

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@1. Premessa

– La legittima difesa è l’istituto che manifesta il diritto di «autodifesa» di ogni singolo che, per tutelarsi, lede – a propria volta – un diritto altrui.È la reazione che un soggetto può opporre ad una ingiusta aggressione e che opera al posto del potere-dovere di tutela che lo Stato esercita normalmente nei confronti dei cittadini.

Quindi, nel caso in cui l’imminenza del pericolo o della lesione è tale da ricorrere allo Stato potrebbe pregiudicare il soggetto minacciato, si può parlare di una sorta di «delega» con carattere di sussidiarietà che lo Stato arriva a conferire al soggetto passivo per permettergli di tutelarsi.

Ora, per l’esiguità dello spazio a disposizione, la nostra analisi sarà rivolta principalmente al processo di «evoluzione» (involuzione?) della difesa legittima: partendo dal riferimento a brevi cenni storici per poi arrivare alla novella del 2006 e passare all’interessante problematica riguardante il rapporto di proporzionalità nonché ad accenni alla difesa necessaria, quale ampio passaggio verso lo studio vittimologico dell’aggredito, che trova le sue radici nell’istituto di sopravvivenza dell’uomo e nella legittimazione di un individuo che, improvvisamente minacciato, intende difendersi.

@2. Le origini

– Se il Diritto Romano ammetteva l’autodifesa, come risposta ad una ingiusta aggressione ad un imminente pericolo, per tutelare i beni della vita, dell’incolumità personale e del pudore, faceva lo stesso per tutelare il patrimonio, cosicché ricostruire l’utilizzo dell’istituto della legittima difesa legandolo al diritto di proprietà ha prodotto, nel corso del tempo, notevoli difficoltà per gli storici del diritto. Si affermava, infatti, che per la difesa dei propri beni fosse possibile farsi giustizia da sé quando l’aggressore fosse stato un fur noctornus o nel caso di un fur diurnus, se questi si difendeva con le armi: è allora evidente come il campo d’azione della difesa legittima apparisse più vasto nell’antica Roma rispetto ai giorni nostri. Il diritto romano ammetteva la difesa privata preventiva (vim vi repellere licet) ma anche la difesa privata reattiva, in vigore fino all’epoca Giustinianea come attività strumentale, senza l’utilizzo della violenza, alla reintegrazione dell’avente diritto nei propri beni contro detentori o possessori viziosi. Pertanto il concetto di autodifesa si «ritrovava», allora, nell’attività dedita sia alla conservazione che al ripristino dello status quo ante, mentre per l’ordinamento italiano l’unica autodifesa contemplata rimane, a tutt’oggi, la difesa privata preventiva.

Nell’analisi dell’evoluzione dell’istituto rientrerebbe, poi, anche la visione cristiana della self defence, il c.d. ius defentionis del Diritto Canonico (più vicino e non solo storicamente al nostro diritto), che ha individuato tre condizioni per la liceità della difesa legittima: l’aggressione ingiusta, la reazione proporzionata e la necessità della difesa1; riconoscendo la difesa legittima e l’impunità per l’uccisione del ladro notturno, ma non per quella del ladro diurno2. La differenza di trattamento secondo i canonisti era dovuta al fatto che la luce diurna aiutava meglio a comprendere le reali intenzioni dei ladri affermando come non fosse lecito togliere la vita al malintenzionato (che voleva solo rubare!)3.

Ora, l’attuale legislazione italiana ha risentito (insieme al Codice penale giapponese, a quello ottomano e a quello egiziano, tra il XIX e XX secolo) sicuramente, in materia di legittima difesa, anche della «contaminazione» Napoleonica (dal Codice francese del 1791, al successivo del 1795 e al Codice Napoleonico del 1810) che disponeva sulla difesa legittima sempre nella parte speciale. Questo sistema, improntato ad una applicazione restrittiva della funzione dell’istituto, ne ammetteva il valore scriminante solo quando la reazione era diretta a proteggere la vita, il pudore o nell’ipotesi di difesa del ladro notturno e dal rapinatore. L’istituto della self defence entrava, così, nei moderni codici penali quasi di soppiatto, trattato come una scriminante riferita a casi particolari e non come un istituto di parte generale. Solo con l’unità d’Italia venne applicato a tutto il Regno il Codice penale sardo, sostituito poi dal Codice Zanardelli al quale si deve l’elevazione della difesa legittima ad autonoma scriminante generale.

@3. Le teorie

– Varie sono state le teorie che nel corso del tempo hanno cercato di spiegare la legittima difesa. E numerose saranno quelle che seguiranno, considerate le modifiche che l’istituto ha subito nel corso del tempo. Tra le tante possiamo ricordare le seguenti:

a) La teoria dell’istituto di conservazione. Gli autori di questa teoria, sostenitori del naturalismo, affermavano che il contenuto della difesa legittima trovasse le sue basi in una legge di conservazione. Autori come GROZIO4, filosofo della Scuola di Diritto Naturale, SAMUELIS PUFENDORF5, dellaPage 1224 Scuola del Naturalismo tedesco e LANZA6, fondatore della scuola Umanista in Italia, posero come fondamento della difesa legittima l’istinto di conservazione dell’uomo. Questa teoria, fortemente criticata poiché il concetto di «istinto» non presenterebbe un valore universale, non riuscirebbe a speigare il «giustificato» intervento del terzo che con la sua reazione proporzionata, difende il soggetto ingiustamente aggredito: il terzo non agirebbe spinto dall’istituto di conservazione, ma proteggerebbe una situazione che di fatto o di diritto non gli appartiene;

b) La teoria della coazione morale, che conosce il suo sviluppo con la Scuola Classica7 spiega, invece, che nella difesa legittima chi reagisce è in una situazione di «volontà costretta» tanto da porlo in uno stato di coazione necessaria. La critica a questa teoria, mossa da autori come il FERRI8 ed il CARRARA, fa notare come il soggetto che reagisce compie, comunque, un atto volontario e questo significa che avrebbe anche potuto cercare altre soluzioni. Questa teoria non riuscirebbe a giustificare l’esistenza dell’eccesso colposo che presuppone una libera manifestazione di volontà al di là dei limiti necessari della legittima difesa;

c) La teoria della tutela pubblica sussidiaria, sostenuta dal CARRARA9, afferma invece che l’individuo, il quale ha ceduto i suoi diritti originari allo Stato per essere difeso nell’ambito del diritto, se ne può riappropriare tutte le volte in cui lo Stato non riesce a tutelarli. La teoria del CARRARA fu censurata soprattutto dai Positivisti10 che, a loro volta, sostennero la teoria dei motivi determinanti11 e mossero la loro critica affermando che se il diritto del privato a difendersi costituisce un diritto originario, nel momento in cui viene esercitato ha la forza di far cessare il diritto di punire che lo Stato possiede. Come spiegare allora la ragione per cui, una volta esercitato il diritto di difesa nei confronti di qualsiasi aggressione, lo Stato dia, comunque, luogo alle indagini giudiziarie sulle modalità della difesa e sulla perseguibilità dell’offensore?

d) Ancora, la teoria della mancanza di antigiuridicità nel fatto, sviluppata da FERRINI12, il quale sostenne che l’azione con la quale si allontana l’altrui pericolo o l’altrui violenza ingiusta è compiuta in conformità al diritto e che, quindi, la reazione mancherebbe di antigiuridicità e sarebbe fatto giusto: in base al principio che l’esercizio del diritto non potrebbe costituire un atto contra ius;

e) La teoria dell’esercizio da parte del privato della funzione pubblica di polizia13, ... ecc.

La pluralità di queste teorie evidenzia da subito come l’istituto da una parte vorrebbe garantire al cittadino il diritto di autotutela, ma contemporaneamente inserisce dei «paletti» per limitarla.

@4. La struttura dell’art. 5 c.p

– La legittima difesa, a cui alcuni Autori attribuiscono una funzione di stabilizzazione dell’ordinamento14, è la più nota delle cause di giustificazione; il suo fondamento è dato dall’esigenza dell’uomo di tutelare sé stesso e i suoi beni opponendosi alle aggressioni altrui, un’esigenza cui l’ordinamento concede uno spazio limitato nelle ipotesi in cui non sia possibile il ricorso immediato alla protezione dello Stato.

L’istituto della legittima difesa realizza, così, un bilanciamento dei contrapposti interessi dell’aggredito e dell’aggressore, accordando preferenza al primo per cui un fatto tipico non risulterebbe, in presenza degli elementi costitutivi della scriminante, antigiuridico. L’interesse di chi sia ingiustamente aggredito prevale rispetto all’interesse di chi si è posto contra legem15. La ragione per cui la legittima difesa esclude l’illiceità del fatto è che la reazione alla condotta dell’aggressore è indispensabile per salvare l’interesse dell’aggredito. Il fatto che l’interesse dell’aggredito abbia per la comunità un valore superiore a quello dell’aggressore implica che nella condotta difensiva mancherebbe un disvalore sociale. La struttura della legittima difesa è, così, collegata simultaneamente ad una aggressione ingiusta e ad una reazione legittima16.

Per quanto concerne la condotta aggressiva (attiva od omissiva) rileva che la minaccia provenga da una condotta umana (da animali o cose, ma solo se è individuabile il soggetto tenuto ad esercitare su di essi una vigilanza). La reazione difensiva è giustificata anche laddove l’aggressore sia un soggetto immune o non imputabile17. La condotta dell’aggressore non deve necessariamente possedere il carattere della violenza, pertanto la legittima difesa è ammessa anche per reagire al pericolo derivante dall’uso dimezzi di per sé non violenti, quali, ad esempio, l’utilizzo di gas o di narcotici. La facoltà di difesa deve ritenersi applicabile a tutti i diritti indistintamente e quindi sia a quelli personali che a quelli patrimoniali tenendo però in considerazione il fatto che l’art. 2 della Convenzione dei diritti dell’uomo limita la liceità dell’omicidio per legittima difesa ai soli casi di attacco al bene vita o ai...

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