Responsabilità da reato ex D.L.vo 231 del 2001: la “risalita” della colpa dalle società controllate alla società controllante

AutoreFrancesco Palumbo
Pagine468-472

Page 468

1. L’ipotesi di studio qui avanzata può essere così sintetizzata: una azienda municipalizzata di una grande città costituita in forma di società per azioni provvede - perché imposta per legge - alla cessione di propri rami di attività ad altre società (costituite in forma di s.r.l.) da essa [società madre] interamente partecipante.

La società madre [capogruppo] adotta ed aggiorna il proprio Modello di organizzazione, gestione e controllo e costituisce il proprio Organismo di vigilanza, in piena adesione, conformità e rispetto del D.L.vo 231 del 2001.

La società madre si pone (o non si pone) il problema di tale normativa [del rispetto della] da parte delle società figlie.

Nell’analisi seguente si vorrebbe rispondere ai seguenti quesiti:

1.1. sorte della società madre nell’ipotesi in cui i propri organi di rappresentanza, di controllo e di vigilanza si disinteressino completamente dell’adozione del Modello e dell’insediamento dell’O.d.V. da parte della società figlia, e soggetti di quest’ultima commettano un reato (tra quelli previsti dalla L. 231 del 2001) a vantaggio, anche, della società madre;

1.2. sorte della società madre nell’ipotesi in cui i propri Organi di rappresentanza, controllo e vigilanza prescrivano, fino ad una formale imposizione, alla società figlia di adottare il Modello e di insediare l’O.d.V. e la società figlia rifiuti, ometta o ritardi tali adempimento;

1.3. sorte della società madre nell’ipotesi in cui, prescritta o imposta alla società figlia l’adozione del Modello e l’insediamento dell’O.d.V., quest’ultima si adegui, ma con modalità inefficaci, ai fini di scansare la responsabilità prevista dal D.L.vo 231 del 2001.

La risposta ai quesiti esige espresso riferimento alla c.d. risalita di responsabilità (da reato) dalle società figlie alla società madre (capogruppo). Quanto quest’ultima potrà essere ritenuta responsabile dei fatti illeciti commessi dalle prime?

Quanto la responsabilità penale delle società figlie potrà ricadere sulla testa della società madre?

Le eventualità possibili appaiono pertanto le seguenti:

  1. la società madre Alfa adotta il Modello ed insedia il proprio O.d.V., ma non impone altrettanto alle società Beta, Delta e Gamma, figlie;

  2. la società madre Alfa adotta il Modello ed insedia il proprio O.d.V., ed impone, mediante formali messaggi e richiami, alle società Beta, Delta e Gamma figlie di fare altrettanto;

  3. le società figlie Beta, Delta e Gamma adottano un proprio Modello ed insediano un proprio O.d.V.;

  4. le società figlie Beta, Delta e Gamma, rifiutano di adottare un proprio modello e di insediare un proprio O.d.V.;

  5. le società figlie Beta, Delta e Gamma adottano un proprio modello ed insediano un proprio O.d.V. ma in termini ritenuti, con una verifica giudiziale a posteriori, inadeguati ed inefficaci a scansare la responsabilità da reato.

    2. Non appare ultroneo, anzi interessante e coinvolgente, tentare a questo punto una comparazione con la responsabilità dei genitori per fatto dei figli, sia sotto il versante civilistico, sia sotto quello penale.

    2.1. Sotto il primo aspetto, come è ben noto, la disciplina va riferita all’art. 2048 cod. civ.: il genitore risponde verso terzi del fatto dannoso del figlio.

    La giurisprudenza ha così delineato, nel suo complesso, l’imputazione ovvero (come nel nostro tema) la “risalita” di responsabilità dall’autore materiale dell’illecito ad un soggetto apparentemente estraneo alla condotta: “Per sottrarsi alla presunzione di responsabilità posta a carico dell’art. 2048 c.c. per fatti illeciti commessi dal figlio minore con essi convivente, i genitori devono dimostrare non solo di averlo adeguatamente educato ai sensi dell’art. 147 c.c., ma anche di averlo sorvegliato ai fini educativi, in modo che l’eventuale assenza di colpa in educando non esclude che i genitori possono essere convenuti con l’azione di risarcimento se vi è stata colpa in vigilando, e viceversa; per fornire tale prova non è sufficiente dimostrare di avere genericamente impartito una educazione al minore, ovvero di averlo avviato al lavoro, ma è necessario dimostrare in modo rigoroso di avere impartito insegnamenti adeguati e sufficienti per educare il minore ad una corretta vita di relazione”. Cass. 9556 del 2009 in Rep. Foro It., 2009, voce Responsabilità civile, 204.

    La decisione della Cassazione evidenzia tre elementi essenziali: che la responsabilità dei genitori è presunta iuris tantum; che tale presunzione può essere vinta soltanto con la dimostrazione di aver adeguatamente educato il minore e di averlo sorvegliato ai fini educativi; che non è sufficiente per formare tale prova la dimostrazione di avergli genericamente impartito una educazione e di averlo avviato al lavoro.

    Sull’imprescindibile requisito della vigilanza si soffermano particolarmente Cass. 9509 del 2007 e 4481 del 2001 (“aver esercitato una vigilanza adeguata all’età”); Cass. 9556 del 2009, Cass. 8421 del 2006 e Cass. 5957 del 2000 imputano ai genitori una culpa in educando ed una culpa in vigilando e Cass. 7050 del 2008 estende l’imputazione diPage 469 responsabilità “anche nel caso in cui il figlio minore non coabiti più con il padre e la madre”.

    La risalita della responsabilità dall’autore materiale dell’illecito (il figlio minore) ai genitori, oggettivamente estranei all’evento dannoso, viene dunque giustificata con la mancata osservanza, da parte dei genitori, del precetto di cui all’art. 147 cod. civ., laddove impone “ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole”.

    Il contenuto di tale precetto è ben riassunto da Cass. 6197 del 2005 in Rep. Foro It. Matrimonio, 125: “Il dovere di mantenere...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT