La rilevanza disciplinare del provvedimento abnorme nel D.L.Vo N. 109 del 2006

AutoreDomenico Potetti
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1. Introduzione

Com’è noto, uno degli scopi essenziali del D.L.vo n. 109 del 2006 (d’ora in avanti D.L.vo), emesso a seguito della legge delega n. 150 del 2005, art. 1, comma 1, lett. f), è stato quello di tipizzare gli illeciti disciplinari dei magistrati mediante previsioni tassative, superando così la troppo generica formulazione dell’art. 18 del r.d.l.vo n. 511 del 1946.

Ne sono derivate le specifiche fattispecie descritte negli artt. 2, 3 e 4 del D.L.vo.

Ebbene, se la tipizzazione degli illeciti disciplinari ha rappresentato in definitiva una garanzia per il magistrato, le varie fattispecie disciplinari introdotte dal legislatore impongono all’attenzione dell’interprete una questione non nuova, ma comunque di estrema delicatezza.

Si tratta della questione del rapporto fra responsabilità disciplinare e indipendenza del magistrato.

È evidente, infatti, che attraverso iniziative disciplinari mirate è possibile non solo condizionare l’opera del singolo magistrato, ma dare messaggi altrettanto incisivi all’intero corpo giudiziario.

Il rapporto conflittuale attualmente esistente fra classe politica e magistratura, e il gran parlare che si va facendo di equilibri fra poteri dello Stato, rendono il tema particolarmente sensibile.

Ciò posto, sul piano più squisitamente tecnico, la collisione fra responsabilità disciplinare e indipendenza del magistrato può verificarsi anche (o forse soprattutto) sul terreno tipico della giurisdizione, ossia sul terreno dello specifico contenuto del provvedimento giurisdizionale.

Ovviamente, il rapporto fra provvedimento giurisdizionale e responsabilità disciplinare impone l’analisi dell’art. 2 del D.L.vo, che infatti si occupa degli illeciti disciplinari del magistrato nell’esercizio delle sue funzioni.

L’art. 2 cit. contempla una lunga serie di illeciti disciplinari, e merita ampie riflessioni.

Tuttavia, limitato scopo di questo lavoro è quello di esaminare se ed in quale misura uno specifico tipo di provvedimento (e cioè il provvedimento abnorme) sia riconducibile alla responsabilità disciplinare del magistrato.

La questione è ineludibile, perché tradizionalmente il provvedimento abnorme evoca (pur trattandosi sovente di una mera suggestione) l’idea di un errore grossolano del magistrato, come tale meritevole (in ipotesi) della sanzione disciplinare.

2. tracce del provvedimento abnorme nell’art. 2 del D.L.vo. La lett. M

Di conseguenza dobbiamo ricercarne le tracce nelle varie previsioni della disposizione “incriminatrice”.

Successivamente ci porremo il problema se vi sia corrispondenza fra le previsioni dell’art. 2 del D.L.vo e la categoria processuale-penalistica del provvedimento abnorme.

Solo alcune di queste previsioni vengono in rilievo nella trattazione del tema che ci occupa.

Per cominciare, la lettera m)dell’art. 2, comma 1, cit., prevede l’adozione di provvedimenti nei casi non consentiti dalla legge, per negligenza grave e inescusabile 1, che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali.

Trattasi, quindi, di provvedimenti riconducibili a “tipi” astrattamente previsti dalla legge; ma il difetto sta in ciò, che il provvedimento è stato emesso in un caso concreto nel quale quel provvedimento (pur astrattamente previsto) non era consentito dal legislatore.

A tale proposito, in passato le Sezioni unite 2 affermarono che la responsabilità disciplinare del magistrato, per inosservanza dei suoi doveri (allora a norma dell’art. 18 del r.d.l. 31 maggio 1946 n. 511), è configurabile nell’adozione di un provvedimento in carenza delle relative attribuzioni, qualora, indipendentemente dalla denunciabilità del relativo vizio con i rimedi dell’impugnazione, ricorra un macroscopico travalicamento di funzioni, come nel caso in cui vengano usurpati compiti spettanti ad altro giudice.

La previsione della citata lett. m) trae origine dall’art. 2, comma 6, lett. c), n. 3, della legge delega, ove si prevede “… l’adozione di provvedimenti non consentiti dalla legge che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali …”.

Rispetto alla legge delega, la lett. m) caratterizza (restringendolo) l’elemento soggettivo colposo dell’illecito (richiedendo la negligenza grave e inescusabile), e soprattutto (differenziandosi rispetto alla lett. ff), della quale si dirà in seguito) si riferisce a provvedimenti astrattamente previsti dalla legge, sia pure emessi in casi dalla stessa non consentiti.

Perché si abbia illecito disciplinare occorrono due concorrenti requisiti, di cui l’uno attiene alla causa dell’errore (negligenza grave e inescusabile), e l’altro ai suoi effetti (lesione di diritti della persona, es. l’onore e la reputazione, o lesione rilevante di diritti patrimoniali) 3.

Si tratta, quindi, di un illecito “di evento”, per utilizzare un concetto penalistico.

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3. segue: la lett. ff)

La previsione della lett. m) va esaminata congiuntamente a quella della successiva lett. ff), la quale prevede l’adozione di provvedimenti non previsti da norme vigenti ovvero sulla base di un errore macroscopico o di grave e inescusabile negligenza.

A tale proposito, l’art. 2, comma 6, lett. c), n. 9, della legge delega, prevede, come illecito disciplinare, “l’adozione di provvedimenti abnormi ovvero di atti e provvedimenti che costituiscano esercizio di una potestà riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi ovvero ad altri organi costituzionali”.

Orbene, già nella sua prima versione, la lett. ff) prevedeva (non pedissequamente rispetto alla legge delega) “l’adozione di provvedimenti al di fuori di ogni previsione processuale ovvero sulla base di un errore macroscopico o di grave e inescusabile negligenza ovvero di atti e provvedimenti che costituiscono esercizio di una potestà riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi ovvero ad altri organi costituzionali”.

La prima versione della lett. ff), quindi, meglio specificava quale doveva essere il concetto di provvedimento abnorme a fini disciplinari.

Soprattutto manifestava una scelta precisa del legislatore delegato, e cioè quella di ripudiare l’utilizzazione di un termine (“abnorme”) che (dato il suo specifico significato nel linguaggio dei tecnici del processo penale) inevitabilmente avrebbe agevolato una sovrapposizione (identificazione) del provvedimento abnorme all’illecito disciplinare.

Con ciò il legislatore ha voluto dire all’interprete che il provvedimento abnorme (in senso processuale-penalistico) non si identifica automaticamente con l’illecito disciplinare.

Anche in dottrina 4 si è notato che mentre la legge delega, come si è visto, nominava espressamente i provvedimenti abnormi, la formula originariamente scelta nel D.L.vo sembrava più ristretta, indicandosi solo l’«adozione di provvedimenti al di fuori di ogni previsione processuale».

Si è poi giunti alla suddetta disposizione finale, introdotta dall’art. 1, terzo comma, lett. b), n. 5, della 1. n. 269 del 2006.

Secondo questo Autore, sembrerebbero allora esclusi dal novero degli atti disciplinarmente rilevanti quelli che la giurisprudenza di legittimità considera funzionalmente abnormi perché provocano la stasi ingiustificata del processo (ma su ciò torneremo in seguito).

Nella stessa lettera ff) era anche prevista l’ipotesi (che con la l. n. 269 del 2006 è stata eliminata) di atti o provvedimenti che costituiscono esercizio di una potestà riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi o ad altri organi costituzionali.

In tal caso si intendeva sanzionare disciplinarmente la c.d. usurpazione di poteri, categoria del tutto evanescente, che sembrava corrispondere più al bisogno di riscatto del potere politico che non ad individuare concrete fattispecie in cui effettivamente il magistrato poteva esercitare una funzione legislativa e non, più semplicemente, ad esempio, adottare una interpretazione della legge.

Diversamente dall’illecito previsto dalla lett. m), qui (nella diversa fattispecie della lett. ff) il provvedimento emesso non esiste nell’ordinamento.

Trattasi di un provvedimento privo anche di quei requisiti minimi sufficienti, ma necessari, per poterlo sussumere sotto una categoria già prevista dalla legge.

Forse perché in questo caso l’errore è ancora più grave, il legislatore ha voluto punirlo a prescindere dai suoi effetti.

Questo, infatti, non è un illecito di evento (non richiesto), ma di pura condotta.

Giova comunque ricordare che gli effetti del provvedimento, unitamente ad una considerazione globale del caso concreto, potranno essere valutati ai sensi dell’art. 3 bis del D.L.vo...

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