Riflessioni sull'aberratio

AutoreGiovanni Manno
Pagine975-979

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Una macroscopica quanto involontaria svista sembra essere alla base del complesso articolarsi di dottrina e giurisprudenza intorno al concetto di aberratio tanto che - ancor prima di essere giuridico - il problema pare originarsi anche da una iniziale inesattezza filologica. E valutando adeguatamente le conseguenze che possono derivarne e che in larga misura ne sono nate, la vera portata del termine, a prima vista, sembra per uno strano destino ridotta a figurare secondo un significato che non ha mai avuto.

In effetti è di estrema facilità riscontrare come, benché nel codice penale stesso agli artt. 82 e 83 si parli di «errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato», il significato del termine aberratio nell'esatta traduzione italiana risponda al concetto alquanto diverso di «deviazione», di allontanamento da una via, di discordanza tra quanto l'autore dell'illecito si era prefisso di attuare e quanto, invece, ha realizzato. E sulla «sconnessione», sulla divergenza pone la propria attenzione il PALAZZO 1 analizzando l'errore sul fatto e poi quello sulla aberratio.

Prendere per quale punto di partenza e come base i due articoli citati per dimostrarne se non l'inesattezza almeno la poca opportunità rimane di rilevante evidenza. Di errore, in effetti, si parla essenzialmente in ambito di diritti civili sia come vizio di una volontà che nasce per costituire poi il presupposto di un negozio e quindi nel senso di errore nella valutazione di una realtà non esattamente centrata nella sua essenzialità ai fini del negozio stesso, sia come imprecisione di un calcolo puramente matematico capace di alterare un risultato dall'altra parte contraente già previsto e accettato; già prefissato ma non esattamente attuato.

Va da sé che nulla di tutto questo si verifica nella mente o nell'animo del colpevole di aberratio. E non si verifica per il semplice motivo che una qualsiasi premeditazione orientata già verso il soggetto colpito «per errore» rimane totalmente estranea alla psiche dell'agente. Si capisce che una finalità è, parimenti, estranea a chi commette un semplice errore materiale. E a prendere in considerazione anche l'ipotesi di un'assenza totale di intenzionalità e quindi di dolo nei casi di aberratio è la legge stessa quando in entrambi gli articoli citati, dopo aver asserito l'esistenza dell'errore «nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato», considera anche la possibilità di una deviazione avvenuta in seguito ad «altra causa».

Va subito avvertito che qui ci si riferisce soltanto all'illecito in cui si sostanzia la natura dell'azione «deviata», per il cui verificarsi è sempre necessario quale punto di partenza il proposito o la inevitabile costrizione (si pensi allo stato di necessità) a commettere un reato diverso, dal quale l'aberratio sia derivata. È allora questo illecito di supporto che può venire accompagnato anche da una chiara o latente intenzionalità, che del dolo è indice precipuo. Ma nei casi di aberratio l'evento può essere pure prodotto da negligenza, distrazione, imprudenza, dalla legge denominata «altra causa». Si ammettono, di conseguenza, almeno due casi nei quali l'intenzione di commettere il reato a cui viene dato l'appellativo di aberratio è sicuramente da escludere: quella della deviazione dovuta all'errore nell'uso dei mezzi di esecuzione e quella cagionata da una causa «altra», cioé diversa rispetto a quella che sta alla base del reato «di supporto». Dal che si evince chiaramente come la natura dolosa della «deviazione» sussista solo in quest'ultimo illecito. Così, se A vuole colpire B e invece danneggia C, l'effettiva lesione avviene verso C mentre l'effettiva intenzione rimane sempre orientata verso B. Sarebbe davvero arduo dimostrare l'effettiva esistenza di un danno maggiore subito da B rispetto a C: il primo, tranne che una seria esposizione al pericolo di subire il danno effettivo, non risulta validamente leso quanto il secondo - totalmente estraneo e fuori dal disegno criminoso di A - e su cui invece ricadono le effettive conseguenze dell'illecito. I due reati vengono in tal modo a sovrapporsi, a coesistere come eventi di un'unica condotta: uno avviene mettendo di certo in atto un'azione dolosa, ma senza che il dolo si trasmetta anche all'altro, il quale - benché più grave - sarà caratterizzato da colpa incosciente e non sicuramente da dolo. Il motivo, la ragione che ha determinato «l'errore» può essere in effetti di varia natura: può trattarsi di mira sbagliata, di eccessiva e spavalda sicurezza nel colpire il bersaglio, di istantaneo malore, di un cedimento del terreno, di un tuono improvviso, di un lampo, di tante altre eventualità. In uno studio risalente, il CARNELUTTI denomina «errore-inabilità» questa deviazione dell'azione criminosa. E sia nel caso di aberratio ictus sia in quello di aberratio delicti c'è sempre una modificazione nello svolgimento del fatto, che non cessa per questo di essere tipico pur assumendo un nomen juris differente.

Il GALLO 2 afferma, da parte sua, che l'errore «non può che concernere l'elemento psicologico del reato» mentre il MARINI 3 prendendo in esame l'intero capo secondo del titolo terzo nel primo libro del codice sostiene che l'articolo 82 è dedicato a tutti «i casi di deviazione personale» dove invece l'articolo 60 «è disposizione che si occupa esclusivamente di circostanze».

Diversi studiosi hanno spesso richiamato l'attenzione sulla differenza esistente tra «l'errore che influisce sul processo formativo della volontà e quello che concerne la traduzione in atto del processo volitivo» 4. Ma sia che venga accettata la definizione di errore-inabilità, che viene nella fase esecutiva del reato, sia che si scelga la nozione la quale ricollega l'errore al dolo, nel reato aberrante c'è indubbiamente la deviazione da una rotta stabilita e perseguita anche se non sempre realizzata. Anche il PANNAIN, come qualche altro, ammette nell'aberratio ictus l'esistenza di due reati: uno tentato, l'altro deviato. Il tentativo - si sa - consiste in un cogitare, agere sed non perficere e sul piano sostanziale realizza un minus rispetto al reato consumato. È in quest'ultimo infatti che si ha la lesione effettiva dell'interesse protetto laddove nel tentativo si ha solo la lesione potenziale, la messa in pericolo del bene. Anche se sul piano normativo il tentativo costituisce un titolo autonomo di reato e l'art. 56, come funzione estensiva dell'ordinamento penale, consente di reprimere penalmente fatti non ancora giunti alla soglia della consumazione, la dottrina più moderna rileva una incompatibilità tra il tentativo e il dolo eventuale che è elemento possibile nel reato «di supporto». Osserva infatti il MANTOVANI 5 che «non può ritenersi diretta in modo non equivoco alla commissione di un delitto la volontà di chi, perseguendo intenzionalmente un fine diverso, si rappresenti soltanto come possibile il verificarsi di una conseguenza accessoria costituente reato»; opinione che concorda in pieno con quella del FIANDACA-MUSCO.

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Già il PANNAIN 6 nota come: «il termine (offesa) è adoperato per contrassegnare sia la lesione sia la messa in pericolo dell'oggettività giuridica del reato» ricalcando in proposito l'opinione dell'ANTOLISEI. E aggiunge che «si dovrebbe allora dire che, consistendo anche il tentativo in un'offesa, il capoverso dell'art. 82 c.p. importerebbe il concorso tra un tentativo commesso verso la vittima designata, e non colpita, e un reato consumato in danno della persona offesa per errore». Sennonché, continua l'illustre Autore, «la legge ha adottato in questo caso il criterio dell'assorbimento del tentativo nella consumazione poiché in sostanza il colpevole ha realizzato l'evento che voleva realizzare sia pure nei confronti di persona diversa da quella presa di mira» 7.

Ma, se oltre alla vittima presa di mira si siano effettivamente lese altre persone, il capoverso dell'art. 82 fa luogo - venendo applicato - a patenti ingiustizie e sperequazioni poiché la discrezionalità di un magistrato nell'infliggere la pena non è sufficiente a garantire un equilibrio di giudizio in quanto, anche nel caso in cui una sola persona «diversa» fosse stata offesa, l'aumentare fino alla metà la pena del reato più grave non troverebbe ragione dato che tale ipotesi avrebbe avuto bisogno di essere espressamente prevista. Né si può fare altrimenti con ausilio di altre norme in proposito inesistenti. Tuttavia, la riserva più notevole da fare alla tesi del concorso fra tentativo del delitto voluto e consumazione di un illecito non voluto è che il disposto dell'art. 83 c.p. non avrebbe più senso. Tale articolo...

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