Causalitá omissiva e responsabilitá del medico

AutoreDanilo Riponti
Pagine1163-1165

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Il problema del nesso causale è individuato in linea generale dall'art. 40 dal nostro codice penale, che al primo comma prevede che «nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione».

Peraltro non si presenta soltanto nei reati di azione, ma anche, ed in modo assai problematico, in quelli di omissione, non tanto in quelli omissivi propri, consumati allorquando vi è il mancato compimento di azioni imposte invece dalla legge (per es. omissione di soccorso - art. 593 c.p.), bensì per quelli omissivi impropri, allorquando un evento è richiesto per l'esistenza del reato (reati commissivi mediante omissione) o è previsto come circostanza aggravante (es.: l'omissione di soccorso da cui derivi una lesione o la morte della persona in pericolo).

La legge prevede infatti, all'art. 40 cpv. del c.p., che «non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo», con ciò affermando il c.d. principio della equivalenza tra condotta commissiva e omissiva, senza tuttavia alcuna precisazione circa la identità o meno del nesso causale nei due casi, ontologicamente assai diversi tra loro: infatti, nel primo caso ci si trova di fronte ad una causalità naturalistica, mentre nel secondo si è di fronte ad una causalità normativa, collegata ad una particolare posizione, detta di garanzia, in cui il soggetto si viene a trovare in conseguenza di obbligo giuridico.

Su questo aspetto del problema, si sono svolte nella dottrina infinite discussioni che sono state originate da uno scrupolo teorico, e precisamente dalla duplice considerazione che l'omissione è qualcosa di negativo e che, in certo senso, da un nulla non possono derivare modificazioni nel mondo fenomenico (ex nihilo nihil fit, dicevano gli scolastici), e in tal senso si tratta di una causalità in realtà costruita, normativamente 1.

La dottrina è apparsa invero divisa su tale delicata tematica 2.

Il problema si pone da tempo, e con peculiarità particolari aggiuntive, in materia di responsabilità professionale del medico, ed in particolare di responsabilità omissiva 3, che di recente ha purtroppo segnalato una rilevante tendenza all'amplificazione dei contenziosi, anche di natura penale.

Il problema della causalità è assai delicato, in quanto spesso lo si è confuso nella giurisprudenza di merito con quello della colpa professionale, nel senso che in passato molte pronunce ritenevano la responsabilità del medico solo per il fatto che lo stesso aveva tenuto una condotta censurabile, a prescindere dall'effettiva idoneità eziologica della stessa a provocare l'evento: il che è assolutamente illegittimo in base alla legge e ingiustificabile, neppure a fronte della natura primaria e costituzionale dei beni - vita, salute, integrità fisica, ecc. - in questione.

Si poneva quindi la necessità di investigare in modo equilibrato e specifico sui profili causali della condotta medica, tenendoli ben distinti dagli addebiti inerenti l'elemento psicologico del reato, ed in tal senso la giurisprudenza penale ha tracciato un percorso evolutivo di notevole interesse.

Infatti in tema di reati commissivi mediante omissione colposa, è emerso in tutta evidenza come il criterio di causalità ispirato al principio della condicio sine qua non appare assolutamente inadeguato e non consente di ricostruire in modo equilibrato se le lesioni personali o la morte di un paziente sia ascrivibile alla responsabilità del medico per aver lo stesso omesso tempestivi ed efficaci interventi terapeutici.

In tema di causalità omissiva, pertanto, assume rilevanza un giudizio, c.d. «controfattuale», in base al quale è necessario sostituire mentalmente alla omissione quel comportamento che il medico avrebbe dovuto tenere, e all'esito di tale operazione concettuale verificare se in tal modo si sarebbe effettivamente potuto scongiurare l'evento, o meno; in tale ultimo caso, la condotta omissiva risulterebbe priva di qualsiasi incidenza causale.

Si è quindi passati a modificare l'approccio eziologico utilizzando come elemento di verifica e riscontro, principi generali, costituiti da leggi universali (tali cioè da consentire un giudizio di certezza della consequenzialità causale tra due fatti), ovvero leggi statistiche, che consentono di ricollegare con rigore scientifico in quali percentuali un evento consegua ad un altro (le c.d. leggi di copertura), e di conseguenza, se il comportamento omesso avrebbe potuto scongiurare l'evento.

Ciò ha implicato, in termini di consequenzialità logica, che il problema si andava a spostare sul grado di certezza, o comunque di positivo apprezzamento, del valore probabilistico della sussistenza dell'iter causale.

Si sono susseguite, quindi, varie correnti giurisprudenziali sul punto.

a) Una prima serie di pronunce (per tutte, Cass., sez. IV, 18 gennaio 1995, n. 360 e Cass., sez. IV, 17 luglio 1993, n. 6683) riteneva ed affermava la sussistenza del nesso causale e conseguentemente la responsabilità del medico sancendo che, al criterio della certezza degli effetti della condotta, si doveva sostituire quello della probabilità di tali effetti, nel senso che sussiste causalità anche nei casi in cui «l'opera del sanitario, se correttamente e tempestivamente intervenuta, avrebbe avuto non già la certezza, quanto soltanto serie ed apprezzabili possibilità di successo, tali che la vita del...

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