Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione non libera il datore di lavoro delle proprie responsabilità in tema di prevenzione infortuni

AutoreElena Del Forno
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La recente sentenza in commento presenta aspetti di interesse, dal momento che fornisce un’interpretazione, sotto certi profili innovativa, del ruolo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e dei rapporti tra questi e il datore di lavoro, oltre a rivelarsi degna di rilievo anche per le argomentazioni spese sul principio della massima sicurezza.

Il principio affermato nella decisione è il seguente: il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è una sorta di consulente del datore di lavoro ed i risultati dei suoi studi ed elaborazioni sono fatti propri dal datore di lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che quest’ultimo è chiamato a rispondere delle eventuali negligenze del primo.

Anzitutto, ripercorriamo brevemente la vicenda processuale.

Il procedimento penale ha tratto origine dall’infortunio mortale occorso ad un dipendente della società amministrata dall’imputato, che, introdottosi nel vano inferiore di una vasca di immissione di materiale calcareo (c.d. tramoggia) per effettuare lavori di pulizia, era stato investito dalla caduta di pietre e altro materiale versato dall’alto dai colleghi di lavoro attraverso la bocca superiore.

In primo grado l’imputato è stato condannato perché ritenuto colpevole per aver omesso di adottare efficienti sistemi di sicurezza atti a segnalare in modo inequivoco la presenza di persone operanti all’interno della tramoggia.

In particolare, la procedura prevista formalmente nel documento di sicurezza (per la pulitura della tramoggia l’operaio faceva ingresso dal basso nella vasca e vi permaneva fino a esaurire la propria attività; sulla grata superiore della tramoggia erano apposte due assi di legno a protezione), elaborata da un consulente esterno, è stata giudicata “rudimentale ed insufficiente” perché non rispettosa del principio della massima riduzione dei rischi; conseguentemente, il datore di lavoro è stato ritenuto responsabile in quanto titolare della posizione di garanzia e posto che sullo stesso incombeva per legge l’obbligo di adottare le misure di sicurezza adeguate alla situazione concreta.

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La procedura idonea e conforme alla normativa in tema di sicurezza dei lavoratori è stata individuata nell’apposizione di segnali luminosi e sonori, sulla scorta del parere al riguardo espresso dal consulente del PM: tali segnali avrebbero potuto impedire, con efficacia preventiva più valida, l’eventualità di uno scarico di materiale all’interno della bocca superiore della tramoggia.

Avanti il giudice di legittimità l’imputato ha lamentato vizi relativi all’applicazione del principio della massima riduzione dei rischi - in particolare sarebbe stato censurato il richiamo dei Giudici del merito al “fatto notorio”, al fine di ritenere migliore la soluzione tecnica alternativa rappresentata dal perito del P.M. - e delle norme sulla posizione di garanzia rivestita dal datore di lavoro nel caso, come quello di specie, di incarico ad un consulente esterno per la valutazione dei rischi, nonché alla mancata considerazione del requisito dell’abnormità riscontrabile, secondo la difesa, nella condotta tenuta nel sinistro dal lavoratore.

Nessuna delle doglianze ha colto nel segno. In particolare, da una parte, l’adozione di sistemi elettronici di rilevazione della presenza di operai all’interno della tramoggia e di segnalazione luminosa ed acustica all’esterno avrebbe consentito, a costi esigui, di elidere il rischio e prevenire anche eventuali disattenzioni e imprudenze dei lavoratori addetti, che comunque non avrebbero valicato, secondo la Corte, la soglia dell’abnormità.

Sotto questo profilo, come anticipato, è particolarmente interessante l’applicazione del principio dell’id quod plerumque accidit per la valutazione della (maggior) efficacia tra le soluzioni tecniche prospettate.

Dall’altra parte, il datore di lavoro non avrebbe affatto potuto liberarsi della propria responsabilità sol considerando che la soluzione tecnica era stata scelta da un consulente esterno all’uopo incaricato proprio perché come tale (ovvero come consulente) non avrebbe comunque mai potuto rivestire la posizione di garanzia del titolare del rapporto di lavoro.

Gli argomenti spesi dalla Suprema Corte sono, anche sotto un profilo operativo, estremamente delicati perché attengono a profili anche squisitamente tecnici.

Vale quindi la pena di prenderli in esame anche alla luce della giurisprudenza che ha delineato compiti, funzioni, ruolo e responsabilità del responsabile del servizio di prevenzione e protezione.

La sentenza in commento è chiara sul punto: il datore di lavoro risponde anche di scelte tecniche del proprio consulente della sicurezza.

Se da una parte questo principio ristabilisce equilibrio rispetto a pronunce che parevano addirittura avere l’intento di parificare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione all’imprenditore, quanto meno con riferimento alla rimproverabilità e responsabilità penale, dall’altra parte presta il fianco ad una serie di problematiche di non facile soluzione.

Entro quali limiti sarebbe esigibile da un imprenditore, che non ha conoscenze tecniche specifiche e che all’uopo nomina un responsabile del servizio di prevenzione e protezione, dotato invece di competenze specifiche, la verifica della bontà o della fattibilità o dell’efficacia della soluzione tecnica individuata e scelta dallo stesso responsabile?

Che ragione avrebbero di essere, in questa prospettiva, i requisiti professionali richiesti dal D.L.vo n. 81/08 per il responsabile del servizio di prevenzione e protezione?

Partiamo con alcuni cenni normativi.

Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. f, D.L.vo n. 81/2008, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è definito quale persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali individuati...

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