Requisitoria pronunciata dal sostituto procuratore generale della repubblica presso la corte suprema di cassazione, vincenzo geraci, nel processo relativo all'uccisione di marta russo, celebrato innanzi alla prima sezione penale della corte all'udienza del 5 dicembre 2001

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    La presente requisitoria non è la trascrizione di quella pronunciata all'udienza; essa, tuttavia, è stata fedelmente ricostruita sulla base degli analitici «appunti» utilizzati dal procuratore generale d'udienza nella sua requisitoria «a braccio».


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In questo processo, prima di occuparmi della prova «specifica», desidero prender le mosse da quella «generica», data l'importanza che la stessa ha assunto nello svolgimento del giudizio di secondo grado.

Non va dimenticato, infatti, che nonostante la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale sia, nel giudizio di appello, evenienza di carattere eccezionale (per tutte, Cass., SS.UU. 9 ottobre 1996, Nastasi; 24 gennaio 1996, Panigoni) stante la presunzione di completezza che assiste l'istruttoria dibattimentale, la corte d'assise d'appello, nel giudizio de quo, ha disposto l'espletamento di ben tre perizie - tutte estremamente complesse e «sofisticate» - perfino arrivando a disporne una (quella balistica) all'esito della già conclusa discussione delle parti.

Da ciò la possibilità di affermare che quello di appello, lungi dall'essere stato un giudizio di routine, ha inteso svolgere ogni più scrupoloso accertamento al fine di raggiungere la verità, tuttavia utilizzando gli esiti della prova «generica» in termini che, dalla difesa dei ricorrenti, sono stati tutti contestati (già) sotto il profilo della illogicità e contraddittorietà della motivazione al riguardo apprestata.

Ciò posto, il primo problema da affrontare a proposito della «generica» utilizzata dal giudice per il formulato giudizio di responsabilità, è quella concernente la c.d. particella «F» (quella trovata sulla finestra n. 4 dell'«incriminata» aula 6 dell'istituto di filosofia del diritto dell'università).

La stessa sentenza infatti (foglio 425), nel riconoscere la «centralità» dell'accertamento in ordine ai residui di sparo al fine di individuare il luogo di provenienza dello stesso, parte dalla premessa (f. 435) che tale particella conserva il ruolo di particella «indicativa» dello sparo per l'accertata presenza, in essa, di antimonio.

Invero la sentenza (ff. 434-435), pur essendo pervenuta alla conclusione che la particella «F» (costituita da bario, antimonio e ferro) non deriva dall'innesco del proiettile che uccise la povera Marta Russo a causa dell'assenza, in essa, del fosforo che in tale innesco invece (nella contemporanea assenza di antimonio) era contenuto, sostiene che la stessa conserva tuttavia il ruolo di particella «indicativa» dello sparo:

- per la rilevata presenza, in essa, di antimonio; - perché lo stesso antimonio è stato trovato in alcune particelle - sicuri residuo di sparo - rinvenute sulla cute e sui capelli della vittima (f. 426) oltre che sulla zona caudale del proiettile (f. 433), e per le quali i periti e i consulenti tecnici, concordemente, (f. 435) hanno ritenuto che esso antimonio fosse stato necessariamente ceduto dalla lega di piombo e antimonio che costituisce il proiettile, in conseguenza delle altissime temperature e pressione prodotte dal fenomeno esplosivo.

Da ciò, dunque, la conclusione della sentenza (f. 435) secondo cui l'antimonio presente nella considerata particella «F», se pure non deriva dall'innesco, «può essere stato però ceduto dal proiettile» sì da far ritenere che «la particella in esame, pertanto, conserva il ruolo di particella indicativa dello sparo».

Orbene, è qui che si rinviene la prima «debolezza» della sentenza.

Ciò il Procuratore generale trae dallo stesso testo del provvedimento impugnato, non certo dai pareri o dagli accertamenti peritali invocati dalla difesa del ricorrente Scattone.

La difesa infatti, riferendosi ai pareri espressi dai periti Torre, Benedetti, Romanini e dal C.T. Gentile (con la sola contraria opinione del C.T. Falso) secondo cui l'antimonio presente nella lega costitutiva del proiettile non può mai esser ceduto da solo ma - semmai - unitamente al piombo, non si è accorta di sollecitare una (inammissibile) «incursione» negli atti processuali.

In questa sede di legittimità infatti, allorquando - come nella specie - viene dedotto il vizio di cui all'art. 606 comma 1, lett. E) c.p.p., tale «incursione» non è consentita, a meno di non voler snaturare la «fisionomia» propria di tale giudizio, trasformandolo in «terzo grado di merito».

Orbene, come si è detto, è dallo stesso testo della sentenza che si trae la già anticipata «debolezza» motivazionale.

La sentenza, infatti, ha concluso nel senso della «indicatività» dimenticando di aver detto in precedenza che:

- le altre particelle sicuro residuo di sparo da essa considerate e rinvenute sulla cute e sui capelli della vittima (f. 426) oltre che sulla zona caudale del proiettile (f. 433), contengono, oltre all'antimonio, anche il piombo, che risulta assente, invece, nella particella «F»;

- in conseguenza dell'altissima temperatura e pressione prodotte dal fenomeno esplosivo (f. 430, n. 2), il bossolo, il proiettile e la canna cedono parte del materiale di cui sono composti (quindi, non solo «alcuni elementi» di tale materiale) che va ad aggiungersi agli elementi dell'innesco.

Orbene, poiché la sentenza ha spiegato (f. 431) che il proiettile è composto da una lega costituita da piombo (nella quasi totalità) e antimonio (che ne costituisce l'elemento indurente, nella percentuale minima dell'1,5%), ne deriva che, secondo l'assunto della stessa sentenza, nella particella «F» si sarebbe dovuto trovare (tra il materiale ceduto dal proiettile) anche il piombo (che vi risulta invece assente) e che è puntualmente presente, infatti, nelle particelle da essa considerate come sicuri residui di sparo (quelle rinvenutePage 292 sulla cute e sui capelli della vittima oltre che nella zona caudale del proiettile).

Ciò a meno che la sentenza non avesse compiutamente spiegato perché, data la premessa da cui essa è partita (cessione di parte del materiale, e non di alcuni elementi di esso soltanto), potesse egualmente accadere che, in conseguenza del fenomeno esplosivo, «precipitasse» soltanto l'antimonio, e non anche il piombo contenuto nel proiettile.

È vero che la sentenza (f. 430, 3) accenna al fatto che «l'aggregazione degli elementi sopra indicati è del tutto casuale»; essa però non considera che tale «casualità», nella specie, presenta una «costante» singolare: nelle particelle sicuri residui di sparo il piombo è sempre presente, mentre l'unica particella in cui esso manca è proprio quella - la particella «F» - di cui è soltanto ipotizzata l'origine da sparo.

Ne consegue che l'argomento della «casualità» rimane indebolito dalla «frequenza statistica» (perciò non completamente trascurabile) con cui il piombo compare in tutte le altre particelle considerate dal giudice, e provenienti da sparo.

Tale obiezione è destinata a risultar ancor più seria ove si consideri che, essendo il piombo (f. 431) l'elemento pressoché «totalitario» del proiettile, esso avrebbe dovuto esser ceduto in maggior proporzione, sì da doversi ancor più verosimilmente rintracciare nella particella considerata.

A tal punto, allora, potrà forse soccorrere qualche esempio tratto dalla nostra «minima» e quotidiana esperienza per convincere che, in conseguenza del fenomeno esplosivo evocato dalla sentenza, la cessione di parte del materiale di cui è composta la lega del proiettile avrebbe dovuto verosimilmente comprendere tanto il piombo quanto l'antimonio, e non solo quest'ultimo.

Se dunque, in una vicenda così drammatica e complessa, oso esemplificare è solo perché ho memoria dell'insegnamento di quel finissimo scrittore mitteleuropeo che fu STEFAN ZWEIG il quale, nel suo Il mondo di ieri, ha ricordato che «le esperienze personali sono le più convincenti».

Al riparo dell'autorità di questi, pertanto, avverto di non risultare irridente citando un esempio «minimo» e domestico.

Orbene: a me accade, talvolta, di riscaldare il caffelatte in un bricco.

Non di rado, tuttavia, succede che dopo averlo posto sulla fiamma me ne dimentichi sicché, in conseguenza dell'ebollizione che si verifica, io trovi parte del liquido riversato sul piano della cucina.

Non c'è dubbio, in tal caso, che l'originario caffelatte contenuto nel bricco avrà ceduto parte di esso al piano della cucina.

Ma cosa troverò in quest'ultimo: soltanto latte? soltanto caffè? o non piuttosto latte e caffè insieme? Pur abbandonando l'elementare esemplificazione, mi sembra di poter comunque concludere nel senso della «debolezza» della sentenza laddove essa ritiene che la particella «F», rinvenuta sulla finestra dell'aula «omicida», sia tuttavia «indicativa» dello sparo per la sola presenza dell'antimonio quando in essa, invece, non è stata trovata traccia alcuna del piombo che, per quel che s'è detto, avrebbe dovuto verosimilmente esserci qualora fosse provenuta da sparo.

Tale conclusione, a tal punto, riverbera i suoi effetti - indebolendo anch'essa - sulla c.d. «scia di antimonio» che, secondo la costruzione della sentenza, consente di tracciare una sorta di «linea ideale» tra la finestra «incriminata» e la testa della p.o. poiché in entrambe si rinvengono tracce di antimonio.

Al riguardo tuttavia (e stavolta è argomento decisivo), va rilevato il vulnus metodologico che colpisce il discorso giustificativo sotteso alla sentenza.

Quest'ultima infatti (ff. 414-415), esponendo la summa dei criteri cui il giudice si sarebbe ispirato nella valutazione degli esiti degli accertamenti scientifici, aveva esordito dicendo che gli stessi - in caso di (mera) compatibilità - avrebbero avuto un significato neutro.

Orbene, anche volendo seguire il ragionamento della sentenza impugnata, secondo cui (f. 435) la particella «F», pur non derivando dall'innesco della cartuccia «mortale», rimane tuttavia indicativa dello sparo, ciò significa che essa, in ogni caso, è meramente «compatibile» con quest'ultimo.

Ne consegue che, stante l'«anfibietà» del dato (la particella può provenire dallo sparo, come non provenire da esso) che la sentenza addirittura «confessa»...

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