La remissione tacita di querela. Un istituto da rivisitare

AutoreGiuseppe Luigi Fanuli
Pagine589-591

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  1. - Il dramma del manzoniano Don Ferrante, vittima di quelle «sue» categorie filosofiche che non ha la fantasia di saper superare, si presta magnificamente a stigmatizzare lo stato di profondo smarrimento e l'inevitabile soccombenza dell'uomo di leggi che, avvezzo alle formule ed ai principi generali, ama contemplare vecchie definizioni teoriche e poi corre il rischio di applicarle; critica puntuale dell'atteggiamento del giurista che «tende a considerare la categoria giuridica come un apriori nel quale vada collocata la realtà, e non, invece, come un istrumentario diagnostico che egli medesimo si forgia per dare della realtà la più corretta qualificazione in termini di valore» 1.

    Un esempio, tra gli innumerevoli, di divergenza tra costruzioni teoriche e prassi (ed esigenze) applicative va individuato nella linea interpretativa rigorosissima assunta dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento all'Istituto della remissione tacita di querela.

    Va ricordato come, in ordine alla individuazione dei fatti sintomatici dai quali possa desumersi oggettivamente la volontà di remissione di querela, tutte le pronunzie massimate della Corte sono nel senso di escludere la possibilità di attribuire il significato di remissione tacita di querela a questa o quella specifica condotta. Non risultano, invece, pronunzie in cui sia stato individuato, in positivo, un fatto integrante la fattispecie in questione.

    Si tratta, in sostanza, di una sorta di interpretazione abrogativa dell'istituto della remissione tacita di querela.

    Con particolare riferimento al caso affrontato dalla sentenza in commento, è consolidatissimo l'indirizzo secondo cui l'assenza della parte lesa dal dibattimento non costituisce un fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela 2.

    Non solo: secondo una recente pronunzia della stessa Corte l'omessa comparizione del querelante all'udienza dibattimentale non integra gli estremi della remissione tacita neanche se successiva all'avviso del giudicante, ritualmente notificato alle parti, per renderle edotte che la mancata comparizione del querelante all'udienza successiva avrebbe comportato la remissione di querela 3.

    È agevole individuare le radici culturali di tale interpretazione - a cui sono sottesi principi quali il favor querelae, la «sovranità» della volontà del querelante, sul cui fondamento giuridico ben si potrebbe discutere - nella concezione classica etico-retribuzionistica, che identifica, sostanzialmente le finalità e l'effettività del diritto penale con l'indefettibile esigenza che il colpevole sia punito e che, quindi, venga riaffermata l'inderogabilità della pena.

    Va segnalato, peraltro, come negli ultimi tempi si sia andata affermando nella scienza penalistica una concezione che - sotto la spinta di istanze volte alla «modernizzazione del diritto penale» - si contrappone alla dottrina retribuzionistica classica, rimproverando alla stessa di aver finito per pagare al dogma della «sacertà del diritto penale e della pena» il prezzo dell'inefficienza del sistema, tanto da realizzare un «gigante impotente» 4.

    Tali nuovi orientamenti, sulla scorta della dottrina tedesca della Folgenorientiering, propugnano un diritto penale orientato alle conseguenze esterne, che si ispiri a criteri di razionalità strumentale in senso scientifico o in senso pragmatico. Non quindi un sistema penale finalizzato alla inderogabile punizione del colpevole, ma orientato alla produzione di positivi effetti esterni: contrastare il crimine e ridurne gli effetti dannosi o pericolosi.

    A tale concezione appare ispirata - come meglio si dirà - anche la legislazione più recente che, presumibilmente, sulla base della constatata «incapacità» del sistema repressivo penale di perseguire efficacemente tutti gli innumerevoli fatti criminosi relativi a certi settori dell'ordinamento, mira a sostituire alle «tradizionali» sanzioni penali, misure di tipo risarcitorio o ripristinatorio (spesso integrate tra loro) 5 o, in ogni caso, a creare criteri di selezione penale tipizzati e, quindi, più «trasparenti».

  2. - La situazione di sostanziale inefficienza del servizio-giustizia penale è sotto gli occhi di tutti. Gli uffici giudiziari sono sottoposti ad un carico di lavoro soverchiante la loro capacità: tale situazione inflattiva ha accentuato enormemente il fenomeno della selezione, che in questo senso può considerarsi come una risposta immunitaria del sistema orientata in chiave di depenalizzazione prasseologica 6.

    L'esistenza di filtri intermedi collocati già all'interno del sistema penale viene dedotta dal «punto di osservazione» prescelto: lo scarto tra la criminalità accertata dagli organi giudicanti e la criminalità effettiva in un dato contesto. La presenza di tali filtri è poi postulata dagli studi sulla selezione penale, che registrano all'interno del meccanismo penalistico numerosi «colli di bottiglia» tali da spiegare l'enorme lontananza, in termini numerici, tra i due estremi del processo di criminalizzazione in concreto: i reati che si suppongono realmente commessi e la cifra dei reati effettivamente puniti 7.

    Le rilevazioni empiriche confortano le ipotesi (o le istanze) teoriche tendenti a negare che il diritto penale possa...

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