Note sulla compatibilità del nuovo regime delle indagini difensive con il procedimento innanzi al tribunale del riesame

AutoreFabio Taormina
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@1. Premessa

Dopo una non breve «navetta» è stata di recente approvata dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati la proposta di legge n. 850/b, recante la intestazione «disposizioni in materia di indagini difensive».

Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 3 gennaio 2001, la L. 7 dicembre 2000 n. 397 entrerà in vigore tra pochissimi giorni.

I venticinque articoli che la compongono sono stati invariabilmente presentati, nei commenti che ne hanno seguito l'approvazione, quale dato normativo che ha introdotto nel sistema «il processo alla Perry Mason».

L'espressione, chiaramente tesa a colpire l'immaginario collettivo, richiamando la figura del più famoso «assemblatore di prove» d'ogni tempo, ed un rito - quello accusatorio puro - cui si ispirava la versione originaria del codice del 24 ottobre 1989, può dirsi colga nel segno.

Sono stati indubbiamente potenziati i poteri di intervento della difesa tecnica nel processo e ci si è indirizzati verso una tendenziale parificazione - nell'attività di ricerca della prova - tra i poteri difensionali e quelli della parte pubblica.

Quanto ciò costituisca il preludio verso un più stretto collegamento professionale tra la figura del prosecutor e quella del defendant, ed uno sganciamento della figura del pubblico ministero dall'ordine giudiziario sarà il tempo a dirlo.

Temi affascinanti che potranno costituire oggetto di importanti elaborazioni.

Pare allo scrivente, molto più modestamente, che le disposizioni recentemente approvate autorizzino qualche riflessione con riferimento al sistema normativo sul quale si innestano, e, più precisamente, con riguardo al giudizio de libertate.

L'art. 38 bis delle disposizioni d'attuazione - espressamente abrogato dall'art. 23 della neonata legge - che conteneva la embrionale disciplina delle indagini difensive era già entrato a far parte del sistema de libertate attraverso l'espresso richiamo contenuto nel comma 2 ter dell'art. 292 c.p.c. 1.

Come meglio si cercherà di spiegare nel prosieguo della presente nota, infatti, la recente riforma legislativa potrebbe rappresentare utile spunto per una modifica legislativa ulteriore che elimini una inattuale disposizione, che è quella rappresentata dal comma 10 dell'art. 309 del codice di rito.

Tale norma pare allo scrivente vieppiù inattuale, nella parte in cui prevede la caducazione automatica della ordinanza che dispone la misura cautelare laddove la decisione del tribunale del riesame sulla richiesta di riesame non intervenga entro dieci giorni dalla trasmissione degli atti da parte dell'autorità procedente - che, ai sensi del comma 5 del medesimo art. 309 c.p.p. deve procedere all'inoltro degli atti processuali sottesi alla emissione della misura entro il giorno successivo e comunque entro cinque giorni dalla presentazione dell'impugnazione.

@2. L'evoluzione delle indagini difensive: un punto d'approdo

Sulle indagini difensive disponeva, antecedentemente alla legge 397/2000 l'art. 38 delle norme d'attuazione al codice di rito.

La norma de quo costituiva il completamento di quanto affermato dalla direttiva n. 37 della legge-delega (nella parte in cui individua il P.M. quale parte pubblica dominus del procedimento di raccolta delle fonti di prova anche in favor-dell'indagato, ex art. 358 c.p.p.) e dall'art. 190 c.p.p. in tema di diritto alla prova.

A tale norma - lo si è anticipato - era stata apportata una modifica dalla legge 332/95 attraverso l'introduzione dei commi 2 bis e 2 ter.

Antecedentemente alla novella del 1995 poteva affermarsi che al difensore perteneva unicamente il compito di evidenziare la ricorrenza di dati favorevoli alla posizione dell'indagato, «canalizzandoli» in direzione della parte pubblica (P.M. nella fase anteriore all'esercizio dell'azione penale, giudice nella fase successiva) come lucidamente rassegnato anche dal Supremo Collegio con la pronuncia n. 3066/92 resa dalla sesta sezione.

Lo strumento di cui all'art. 38 att. c.p.p. era - secondo la lucida massima ricavata dalla sentenza n. 588 resa dalla predetta sezione della Cassazione l'8 maggio 1993 - «norma strumentale all'esercizio del diritto alla prova, cioè per formare e definire il thema probandum... ma, per il carattere informale ed extraprocedimentale delle ricerche effettuate non costituiva strumento surrogatorio della prova».

La modifica legislativa del 1995 aveva già non poco mutato i termini della questione, consentendo la diretta presentazione - ad opera della difesa - al giudice, degli elementi da essa raccolti.

Con la novella del 1995, quindi, si era voluto rendere autonomo il diritto alla raccolta della prova da parte della difesa: diritto alla raccolta delle fonti probatorie in favor dell'assistito non più soggetto all'attivazione dell'organo giurisdizionale, ma espletabile direttamente.

Risulta evidentemente assai potenziata la facoltà di svolgere indagini difensive: la difesa, del pari, era maggiormente stimolata ad attivarsi in via autonoma non dovendo più sottostare al vaglio preventivo del P.M. quale «introduttore necessario» del materiale probatorio al giudice 2.

Nulla statuiva però, detta norma, circa i criteri di valutazione del materiale probatorio raccolto direttamente dalla difesa. Page 122

Non era, questa, lacuna di poco momento: era invece il nodo centrale della questione.

La giurisprudenza di merito e di legittimità si era sforzata di interpretare la questione seguendo canoni di razionalità.

Nell'antevigente quadro normativo - dianzi sinteticamente rappresentato, e nel quale la potestà difensiva veniva limitata all'espletamento di un compito di impulso - la giurisprudenza del Supremo Collegio era stata ferma nel trarre la logica conseguenza della valenza minore di tale attività, statuendo addirittura la preclusione per il «giudice del riesame... a valutare le dichiarazioni di persone informate sui fatti raccolte dal difensore, da un suo sostituto, o da un investigatore, tutti soggetti privi di poteri fidefacienti poiché queste sono mere scritture private... sicché viene meno il presupposto minimo perché esse possano formare oggetto di valutazione, nei contenuti, da parte del giudice» (per tutte, si veda cass. pen., sez. II, n. 1630/95).

La stessa pronuncia però - lo si rileva per dovere di completezza - attribuiva valenza pienamente probante ai mezzi di prova precostituiti (documenti, consulenze tecniche, etc.).

Anche la pronuncia n. 6335/96 resa dalla prima sezione della Suprema Corte - nella vigenza dell'attuale regime normativo, quindi - nel postulare la diretta producibilità al giudice del riesame di mezzi di prova formati ex art. 38 att. c.p.p. appuntava la sua attenzione unicamente «agli elementi documentali favorevoli all'indagato e rilevanti ai fini della decisione».

È tuttavia da evidenziare una circostanza: queste prospettazioni, che marcavano una netta differenza nell'ambito del mezzo di prova raccolto dalla difesa - e, pacificamente, direttamente producibile al giudice della difesa stessa, senza «passare» per il filtro del P.M. - erano state successivamente smentite da altre pronunce del Supremo Collegio, tese ad attribuire effettività - sotto il profilo valutativo - alla potestas difensiva di svolgere indagini in favore dell'accusato.

In esse - si vedano, per tutte, la pronuncia resa dalla sesta sezione il 2 dicembre 1997 n. 3977, e quella n. 3402 del 6 ottobre 1997 - si stabiliva la piena equiparazione di tali mezzi di prova rispetto a quelli forniti dal P.M., senza porre mente a distinzioni tra prova costituenda e precostituita, orale e documentale.

Tale interpretazione poteva senz'altro essere condivisa in quanto aderente al dettato normativo laddove esso non distingue in alcun modo tra i mezzi di prova che in astratto la difesa potrebbe offrire, e men che meno introduce alcuna forma di discrimine tra essi basata sulla loro tipologia.

Le stesse pronunce, però - con particolare riguardo alla prova orale - ammonivano il giudice affinché questi tenesse conto «della diversità di disciplina esistente tra l'indagine condotta dal P.M. e quella condotta dal difensore ed in particolare della circostanza che gli elementi forniti dalla difesa sono circondati da una minor garanzia di veridicità, dato che ad essi non si applicano gli artt. 371 bis, 471 e 479 c.p. né le rigorose modalità di documentazione cui devono attenersi gli organi inquirenti».

Equiparazione concettuale sì, quindi, ma con cautela. La novella del 2000 sgombra il campo da queste distinzioni.

Può affermarsi che essa opera una tendenziale equiparazione tra l'attività di indagine posta in essere ad opera del P.M. e quella difensiva.

Certamente sotto il profilo della valutazione del materiale raccolto.

Viene infatti espressamente previsto che: a) le «immunità» dal compimento di atti investigativi che prima riguardavano soltanto gli studi legali, adesso sono state estese agli investigatori privati - adibiti alla ricerca della prova in favore in quel...

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