Il reato di favoreggiamentodel difensore

AutoreCauteruccio Romina
Pagine25-25
25
dott
Rivista penale 1/2012
DOTTRINA
IL REATO DI FAVOREGGIAMENTO
DEL DIFENSORE
di Romina Cauteruccio
SOMMARIO
1. Premessa. 2. Il favoreggiamento del difensore. 3. La deon-
tologia del penalista.
1. Premessa
Il reato di favoreggiamento personale di cui all’art. 378 del
codice penale tutela le investigazioni dell’autorità e tutte le at-
tività correlate svolte dalla polizia giudiziaria anche al di fuori
del processo penale, in tal modo è f‌inalizzato all’incriminazio-
ne della condotta idonea ad ostacolare le indagini degli organi
inquirenti. Ne consegue che integra il reato di favoreggiamen-
to personale anche una condotta meramente omissiva che si
concreta nel silenzio, nella reticenza o nel rif‌iuto di fornire
notizie utili ad indagare eff‌icacemente sul reato commesso e
sul suo autore (1), fuori dei casi di concorso nel medesimo.
La fattispecie penale in questione è infatti un reato
di pericolo, e, in quanto tale, si perfeziona con qualsiasi
comportamento idoneo, anche in astratto, ad intralciare il
corso della giustizia.
L’elemento oggettivo della fattispecie si realizza anche
laddove l’autorità sia già a conoscenza della verità dei fatti
o l’intento di intralciare la giustizia non sia stato concre-
tamente realizzato.
2. Il favoreggiamento del difensore
La fattispecie in questione offre spunti di rif‌lessione per gli
appassionati di deontologia, accendendo i rif‌lettori sul difenso-
re penalista alle prese con la ricerca della verità. La questione
del reato di favoreggiamento personale è infatti argomento
emergente per gli avvocati penalisti che svolgono attività inve-
stigativa, ai sensi degli art. 38 e 222 del Decreto Legislativo n.
271 del 28 luglio 1989 nonché art. 327 bis, comma 3, c.p.p., Leg-
ge 7 dicembre 2000 n. 397, al f‌ine di coadiuvare le indagini per il
reperimento di fonti di prova utili alla difesa dell’assistito.
Il difensore di persona imputata nel processo penale si
espone al rischio del predetto reato di favoreggiamento a van-
taggio del cliente, nell’ipotesi in cui l’attività posta in essere
dall’avvocato costituisca comportamento estraneo alla difesa
tecnica dell’assistito e si identif‌ichi, pertanto, in attività che
può rientrare nell’alveo di condotte miranti ad intralciare la
ricerca della verità da parte dell’autorità giudiziaria (2).
In questo senso risulta diff‌icile mettere sullo stesso
piano il corretto adempimento del mandato con la ri-
schiosa e a volte fuorviante ricerca della verità, proprio
rif‌lettendo sulla metafora dell’avvocato alle prese con il
miraggio affascinante della verità e con l’impegno inesora-
bile dell’adempimento del mandato (3).
In ordine a quanto rilevato costituisce attività favoreg-
giatrice l’accettazione di un incarico difensivo conferito solo
formalmente dall’assistito, ma sostanzialmente rilasciato
dal correo che provvede al pagamento dell’avvocato, al solo
scopo di rivelare al complice il contenuto delle dichiarazioni
del proprio assistito. La condotta predetta è potenzialmente
lesiva delle investigazioni dell’autorità poiché consente, a
colui cui viene fatta la rivelazione, di predisporre la propria
difesa sulla base del contenuto degli atti rivelati, ovvero di
sottrarsi alle indagini, in tal guisa intralciando la ricerca
della verità (4). Nel caso esaminato, il Tribunale del rie-
same attribuiva al difensore una condotta che travalicava i
limiti della difesa del proprio assistito perché funzionale ad
una forma di “solidarietà anomala” idonea a concretizzare
la condotta di favoreggiamento di cui all’art. 378 del c.p., in
quanto strumentale non già alla corretta, scrupolosa e lecita
difesa, ma alla elusione o deviazione delle investigazioni.
3. La deontologia del penalista
Il corretto adempimento del mandato rimanda ai principi
generali del codice deontologico forense, che nell’autonomia
del rapporto (art. 36), deve difendere gli interessi della parte
assistita nel migliore modo possibile, nei limiti del mandato
e dell’osservanza della legge e dei principi deontologici.
In particolare giova sul tema dell’attività investigativa,
il dovere di verità di cui all’art. 14 del codice deontologico
forense, laddove stabilisce che le dichiarazioni in giudi-
zio relative alla esistenza o inesistenza di fatti obiettivi e
aggiungerei “rilevanti” , che possano esplicarsi in un prov-
vedimento del magistrato, e dei quali il difensore forgia
conoscenza, devono essere vere.
In questa sede preme mettere in evidenza come accanto
al codice deontologico forense è fonte di tutela della verità
processuale anche il codice deontologico del Magistrato
(5), c.d. “codice etico”, ai tempi della sua emanazione come
espressione delle regole etiche cui, secondo il comune sen-
tire dei magistrati, deve ispirarsi il loro comportamento.
Tuttavia, trattasi di un codice che detta indicazioni di
principio prive di eff‌icacia giuridica, che si collocano su
un piano diverso rispetto alla regolamentazione giuridica
degli illeciti disciplinari.
In conclusione sono meritevoli di approfondimento sia
l’etica della difesa con le sue regole deontologiche, che la
deontologia dei magistrati per garantire la serietà con-
giunta con un progetto di deontologia comune e condiviso
dagli operatori processuali.
NOTE
(1) Commentario breve al Codice Penale, a cura di GIUSEPPE
ZUCCALÀ, ed. Cedam.
(2) Cassazione penale, sez. IV, 21 marzo 2000, n. 7270; fattispecie
nella quale la Corte ha escluso che una richiesta di formazione di un
falso documento, fatta dal difensore ad un terzo estraneo, dimostri uni-
vocamente l’intenzione di utilizzare il documento stesso.
(3) ETTORE RANDAZZO, in L’avvocato e la verità, ed. Sellerio
Palermo.
(4) Tribunale di Milano, sez. XI, 5 novembre 2009, mass. tratta da
Foro Ambrosiano 2009, 4, 394.
(5) In delibera del comitato direttivo centrale dell’Associazione
Nazionale Magistrati del 7 maggio 1994.

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